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Opeth (Martin Mendez)

Di Nicola Furlan - 5 Novembre 2009 - 0:25
Opeth (Martin Mendez)

La data veneta del vincente Progressive Nation Tour ci ha portati vis a vis con gli Opeth. Per il sottoscritto, la musica dei cinque è stata sempre di altissima qualità in quanto ricca di emozione, di atmosfera e di magia. Ho approfittato quindi di questa ghiotta occasione per approfondire alcuni argomenti che da tempo mi incuriosivano. Ecco a voi le parole di Martin Mendez, bassita della band, che dopo quattro battute generali è entrato nella discussione introducendo il nuovo arrivato Fredrik Åkesson, chitarrista sostituto dello storico Peter Lindgren, dietro alle sei corde degli Opeth dal 1991 al 2008.

Fredrik è un chitarrista eccellente e si è inserito nel gruppo alla grande, fin dai primi incontri in cui ci siamo confrontati per la stesura di alcuni pezzi di “Watershed” (ultimo studio album uscito lo scorso anno via Roadrunner Records, ndr). Di certo ha contribuito anche lui al risultato finale.

Restiamo allora in tema “Watershed”. Da quali vostre esperienze ed emozioni ha preso le mosse il songwriting?

Il disco è nato prevalentemente da confronti professionali. Non abbiamo più diciotto anni e ora è più stimolante cercare di trasmettere quello che davvero
sentiamo dentro, ovvero cercare di esprimere la nostra identità attraverso la musica. Ora vogliamo suonare quello che ci piace veramente. Siamo entrati in studio con le idee ben precise e siamo in tour a proporre noi stessi. Devo dire che ci divertiamo molto. Col il passare del tempo riusciamo sempre di più a esprimere ciò che sentiamo. Anche se nel corso di queste date suoniamo solo alcuni brani tratti da “Watershed” devo ammettere che per me questo è un disco ben riuscito.

Una delle mie canzoni preferite è Hex Omega. Come è nata?

Mikael Åkerfeldt un giorno mi ha chiamato e mi ha detto che aveva per le mani della buona musica. Gli ho subito
risposto se poteva venire a casa mia per farmela sentire. È arrivato, ha messo il demo all’interno del lettore CD e non ho potuto altro che dire “Wow!” (risate, ndr). Quello è stato il punto di partenza, poi il resto è venuto da solo.

I vostri dischi sono un mix di aggressività, armonie sognanti, momenti onirici, colori freddi e tiepidi, oscuri e brillanti. Penso non sia facile integrare tutte queste emozioni in un brano, o in un disco. Come lavorate in studio di registrazione?

Entriamo in studio con delle idee, ognuno apporta il proprio contributo, chi più, chi meno. Assieme proviamo tantissimo, sia sul materiale già pronto, sia jammando e trovando delle soluzioni al momento. Credo un po’ tutti lavorino così e anche a noi viene naturale. Piano piano le musiche prendono forma e, sebbene per l’ultimo disco abbiamo operato come sempre, è evidente che qualcosa di diverso abbiamo fatto perchè si differenzia molto dallo stile dei precedenti. È un po’ quello che è successo per “Damnation”. Seguiamo molto l’ispirazione e non abbiamo un metodo predefinito. Suoniamo quello che ci piace, anche solo brani acustici come avete potuto constatare.

Riesci a esprimere attraverso lo strumento quello che senti dentro di te?

È una domanda difficile. Per me è importante suonare ciò che mi piace. Amo suonare, con tutto me stesso. Non sono sicuro di riuscirci, ma credo di esser certo che non mi forzo a fare qualcosa che non sento veramente. Suono quello che più mi emoziona. Con il tempo questo mi cambierà, ne sono certo, e quindi cambierà anche il mio modo di approcciare ai riff e alle melodie, quindi di esprimermi.

Dopo aver parlato dell’anima che si cela dietro alla nascita dei vostri dischi, dopo aver parlato di cosa provi tu quando suoni, vorrei chiederti come è nato “My Arms, Your Hearse” oltre che capolavori del calibro di “Orchid” e “Morningrise”, dischi davvero maturi che ben pochi a quell’età sarebbero riusciti a produrre. So che sei entrato tardi nel gruppo, ma vorrei conoscere le tue impressioni a riguardo.

Grazie. Sinceramente, come hai detto, posso solo ricordare quanto prodotto dal mio arrivo nella band ovvero da fine 1996 in poi. La prima impressione è che
sarebbe stata davvero dura. La musica degli Opeth era già molto matura, in particolare per un ragazzo di diciotto anni che fino a quel momento era abituato a suonare metal, soprattutto quello estremo, oltre alla classica roba datata che un po’ tutti suonano all’inizio. Per me è stata una sfida molto provante e forse questo è stato lo stimolto più profondo che mi ha portato fino a qui. Passione e sfida sono due ingredienti importanti per centrare obiettivi importanti. Posso pensare che lo stesso sia stato per i miei compagni.

Quando peso date alla scelta dei suoni una volta giunti al missaggio? Personalmente ritengo che un ottimo lavoro alla console possa avvicinare ulteriormente la musica a ciò che l’artista desidera da se stesso.

Prima di tutto devi esser soddisfatto dell’aspetto compositivo. Poi devi sempre avere le idee chiare su come questo deve suonare su disco. Naturalmente deve essere affine a quanto voluto in sala prove, non deve cioè snaturare l’idea originaria. Pensa che per “Wathershed” sono stati eseguiti otto missaggi, uno diverso dall’altro. A sentirli erano tutti buoni, ma solo uno era coerente co nquanto voluto all’inizio del songwriting. Diciamo che quello che senti è l’unico mix che ha reso ancora più limpide e chiare quelle idee. Investiamo molto su questo perchè ci crediamo e lo riteniamo importante.

Quali sono le band che più ti hanno fatto comprendere il significato della parola musica?

Non sono state moltissime quelle davvero importanti. Tra band e artisti te ne citerà tre: Morbid Angel, Stevie Wonder e James Marshall ‘Jimi’ Hendrix. Mi hanno dato davvero tanto.

Spenderei qualche parola sull’evento che mi ha portato qui a chiaccherare con te. Il Progressive Nation Tour è agli sgoccioli. Vuoi tracciare un bilancio?

È stato fantastico. Lo staff, le band e il pubblico hanno risposto con grande entusiasmo a questo evento. Non posso che dirti ancora una volta che è stato fantastico, anzi è ancora fantastico…

Vuoi spendere qualche parola sulle band che vi accompagnano?

Devo dire che sono rimasto ben impressionato dai Bigelf. Non li avevo mai sentiti prima e ogni sera mi convincono sempre di più. Sono stati davvero una piacevole sorpresa. Gli Unexpect stanno anche facendo bene. Sui Dream Theater penso non sia necessario spendere parole. Sono straordinari. Li ascolto fin dagli esordi e li ho sempre amati.

Toglimi un’ultima curiosità: Mikael Åkerfeld fa il giullare come sul palco anche quando lavorate in studio di registrazione?

Qualche volta sì… Anzi, più di qualche volta! (Risate, ndr).

Il tempo è finito…non vorrei mai che il vostro tour manager mi riprendesse per abuso di domande. Lascio quindi a te i saluti ai tuoi sostenitori di TrueMetal.it

Grazie per l’opportunità. Saluto tutti i nostri sostenitori del vostro sito e ringrazio TrueMetal.it per quasta chiaccherata. Buona serata ragazzi!

Nicola Furlan