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Ettore Rigotti (Disarmonia Mundi, The Stranded)

Di Daniele D'Adamo - 5 Settembre 2012 - 0:10
Ettore Rigotti (Disarmonia Mundi, The Stranded)

I The Stranded e il loro Survivalism Boulevard, da poco uscito nei negozi, sono solo l’ultima avventura di Ettore Rigotti, polistrumentista torinese dei Disarmonia Mundi che ha già messo mano, per una ragione o per l’altra, in band quali gli Slowmotion Apocalypse, i Destrage, i Blood Stain Child e i Rise To Fall. In una società in cui il tempo non basta mai, la curiosità è uno stimolo irrefrenabile per chiedere a Ettore come abbia fatto e come faccia a… rallentare così bene lo scorrere delle ore, e altre cose ancora. 

 

Dunque, se non sbaglio (forse dimentico la batteria…) suoni la chitarra, il basso e le tastiere, oltre che cantare. Quando è nata questa tua filosofia musicale che abbraccia così tanti strumenti? Hai sempre pensato, cioè, di diventare un polistrumentista oppure è stata un’illuminazione istantanea?

In realtà sono nato come batterista, poi dopo alcuni anni ho iniziato con chitarra, tastiere e basso e, quando ho formato i Disarmonia Mundi, anche se da subito avrei dovuto fare solo chitarra e voce, sono finito anche sulla batteria, in attesa di reclutare in seguito un batterista, che non è mai arrivato. Da quel momento ho dovuto portare avanti il lavoro su tutti gli strumenti (anche per necessità), ma ammetto che mio primo amore rimane la batteria.

Come riesci a conciliare fra loro le tecniche necessarie per suonare in modo professionale tali strumenti? Non c’è il rischio di far confusione?

No, direi che non c’è pericolo, semplicemente taglio la testa al toro non suonando mai, così non rischio di fare confusione. Purtroppo se prendo la chitarra in mano una volta l’anno e se suono la batteria una volta ogni tre anni è tanto, giusto il tempo di comporre o registrare un disco e poi non se ne parla più fino a quello successivo. Anche il lavoro di produttore e tecnico del suono e quello di discografico mi appassionano ormai da molto, e il tempo è quello che è!

E la voce, come s’inserisce in questo contesto fatto di corde d’acciaio e tasti d’avorio?

Eh, sempre una volta l’anno sbraito un po’ di parole in inglese a casaccio che miracolosamente ogni volta Claudio (Ravinale, ndr) mi sistema in modo che abbiano un significato. È un po’ come una sorte di stadio di trans: blatero cose a caso che poi diventano i vari ritornelli o special delle nostre canzoni, e a quel punto mi sento trans.

Oltre a tutto ciò, ti occupi di registrazione, missaggio, masterizzazione e fai l’ingegnere del suono: dove trovi il tempo per dormire, la notte?

Ecco esatto e poi c’è anche il dormire ogni tanto tra le varie cose. Sarebbe il top invertire il meccanismo: suonare tutte le notti per cinque ore e dormire una volta l’anno… il massimo!

Il tuo progetto principe, con il quale probabilmente hai avuto il maggior riscontro a livello internazionale, si chiama Disarmonia Mundi. Come vanno le cose, con la band? Risente del fatto che ci siano altri pensieri, nella tua testa?

Direi di no, penso che se anche avessi tutto il tempo del Mondo me la sarei presa calma con il nuovo Disarmonia Mundi: credo che sia il caso di dire qualcosa solo quando è veramente il caso, quando lo senti. Disarmonia Mundi è una cosa troppo personale e cresce con chi crea la musica Disarmonia Mundi, ogni album è un po’ come una tappa. Per farti un esempio, tanti si tatuano in momenti particolari della loro vita, noi invece facciamo un disco, in questi momenti. O qualcosa del genere…

Fra le tue idee ci sono sicuramente i The Stranded: come sono nati e, soprattutto, perché? Non ti bastava l’impegno con i Disarmonia Mundi?

Eh no, avevo bisogno di perdere più tempo, visto che non avevo una mazza da fare, eheheh! Sono nati perché prima di essere uno che prova a fare il musicista, sono uno skater, e il giorno che un pro skater (tale Elliot Sloan) mi ha contattato dicendomi di essere un fan Disarmonia Mundi e di suonare anche lui metal, mi sono trovato nella situazione di essere fan di un mio fan. Il che è un po’ come incontrare se stessi in un’altra dimensione, e quindi me ne sono uscito pazzo e abbiamo deciso di scrivere qualcosa insieme. E tutto nacque da qui…

Rimaniamo in ambito The Stranded. “Survivalism Boulevard” ha un suono possente, massiccio ma spiccatamente armonioso. Piacevole alle orecchie anche se potente. Sei soddisfatto di questa resa o si poteva fare di più?

Si può sempre fare di più. Credo che il 99% degli addetti ai lavori nel settore audio sia costantemente insoddisfatto e alla ricerca di maggiore qualità, lavoro dopo lavoro…

Qual è stato il tuo ruolo all’interno del processo di composizione delle canzoni del CD?

Di chitarrista/cantante (pulito), mentre questa volta le tastiere sono state completamente in mano a Neroargento. A livello compositivo buona parte del materiale arriva da Elliot che poi è stato rimaneggiato e arrangiato qui, si sono costruite le strutture aggiunte melodie, soli, parti vocali, break, ecc…
 

 

Come nasce una song così ‘ben fatta’ come “Ill Will Future”, il cui ritornello rimarrà stampato per molto tempo nella testa di chi l’ha potuta ascoltare? C’è qualche tecnica, in merito, o è tutto spontaneo?

Direi a caso, o sì, spontaneamente come dici… non so dirti sinceramente, solitamente canticchio le solite parole in simil-inglese a casaccio mentre guido, o mentre mi lavo le parti intime, e quello il più delle volte rimane il ritornello più efficace e funzionale.

A mio parere il sound dei The Stranded è la forma più evoluta e moderna di death metal melodico. Ma, nelle note di accompagnamento al promo, la Coroner Records parla di ‘modern metal’. Qual è il tuo pensiero a proposito di queste definizioni/classificazioni?

Modern? Sì e no secondo me. Cioè, concordo poiché è stato ‘confezionato’ in forma attuale e di sicuro le tastiere (anche se non utilizzate in modo massiccio) gli danno un’attitudine più moderna, ma per quanto mi riguarda vedo il sound generale di questo primo album più come un tributo al classico melodeath. Che poi sia fatto con il nostro stile ok, ma di questo si tratta.

Sempre a mio parere, la forte dose di melodia non snatura affatto la struttura di base di “Survivalism Boulevard”, che suona inequivocabilmente e dannatamente metal. Pensi che la direzione del metal estremo in generale sia proprio quella intrapresa dai The Stranded?

Sì direi che lo è sempre stata, chi più melodico, chi più estremo, ma gira e rigira accostando classic metal, un po’ di thrash e un po’ di death si arriva più o meno sempre alla stessa formula. Poi c’è che ci canta più pulito, chi più urlato, chi ci mette tastiere super tecnologiche e chi invece riempie il tutto di soli neoclassici… il succo più o meno è sempre lo stesso, tutto parte sempre dagli Iron…

Per quanto tu abbia potuto riscontrare, qual è la posizione del ‘metallaro medio’ in rapporto all’orecchiabilità dei The Stranded o all’elettronica cyber dei Disarmonia Mundi e dei Blood Stain Child? È ancora presto, per questo genere di sonorità?  

Beh no, direi che è decisamente tardi. Ormai si sono tutti rotti le palle di questo genere, io per primo eheheh… peccato che sia quello che mi esce quando compongo, per lo meno per quanto riguarda Disarmonia Mundi. Credo che a parte parentesi di ‘cyber’ influenze aggiunte da qualche band, il succo sia sempre lo stesso, un genere musicale che ormai esiste da vent’anni, decisamente inflazionato, in realtà come qualsiasi ‘sottogenere’ al giorno d’oggi. Ma se ti piace un disco, che sia metal o qualsiasi altro genere, ascoltalo e vivilo, e fanculo alle etichette.

Molto interessante, almeno per me, la tua collaborazione con i giapponesi Blood Stain Child, appunto, per il loro ultimo album “εpsilon”. Cos’hai fatto, di preciso, nel disco? Hai poi qualche aneddoto da raccontarci, sul mondo del metal nipponico targato 2012?

Ho prodotto, mixato e masterizzato “εpsilon”. Sia Claudio che io abbiamo aggiunto poi qualche sporadico guest, più che altro di rinforzo ad alcune parti vocali registrate dalla band. È stato decisamente divertente, come lo sono stati i capitoli “Princess Ghibli” che ho fatto con il progetto parallelo chiamato Imaginary Flying Machines nel quale mi sono ritrovato a rifare in chiave metal/disarmonica i successi che hanno costituito la colonna sonora dei più importanti film di Studio Ghibli (di cui sono fan, quindi di nuovo sono uscito pazzo, ritrovandomi a rivisitare qualcosa di cui sono fan io stesso). Di sicuro uno degli episodi più stravaganti in cui mi sia ritrovato a lavorare!

Torniamo a te: quali sono state le influenze artistiche (quindi anche musicali) che hanno formato il tuo essere interprete del metal? Il tuo retroterra culturale, insomma…

Beh, se parliamo di cultura vera allora parliamo di skate! A parte gli scherzi, ti sembrerà una cagata ma credo veramente di dovere quasi tutto allo skate e al suo stile di vita, credo mi abbia indirizzato verso un modo di vedere e vivere le cose che mi hanno avvicinato a sua volta alla musica e al metal fin da piccolo. E poi, beh, l’altra vera e unica cultura che mi ha formato sono stati gli Iron, e anche in questo caso non potrei immaginare dove sarei finito se non fossero esistiti. Ricordo ancora nei minimi dettagli quando ventidue anni fa comprai la mia prima ‘cassetta’ metal: “The Number Of The Beast”. Amore a primo ascolto anche se arrivavo dal mitico, ma decisamente più soft Michael (Schenker, ndr), e da quel momento ho iniziato a bruciarmi il cervello di brutto!

L’ultima domanda, di rito: cosa vuoi dire ai lettori di Truemetal.it?

Di ascoltare gli Iron, possibilmente di skateare il più possibile e di venire a trovarci su facebook: fate il ‘mi piace’, ragazzi, così rimaniamo in contatto! Dai cazzo!!!

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Intervista a cura di Daniele “dani66” D’Adamo