From The Depths – L’occhio di TM sull’underground – Aprile/Maggio/Giugno 2011

Di - 15 Luglio 2011 - 0:10
From The Depths – L’occhio di TM sull’underground – Aprile/Maggio/Giugno 2011

L’occhio di TrueMetal.it sull’Underground – # 03/2011

Nuovo numero per la nostra rubrica sull’underground italiano. Qui, e nelle prossime edizioni, troverete informazioni sui demo che ci arrivano in redazione, da sommare alle recensioni dei demo migliori, che continueremo a pubblicare nell’apposita sezione.


 

Ricordiamo che i sample di tutte le band sono disponibili sulle relative pagine MySpace, segnalate a lato della recensione.
Buona scoperta!

Indice aggiornato della rubrica

Alcstone
Usurpers
2011, Autoprodotto
Heavy Metal
Myspace Ufficiale

Tracklist:

1 – Paper Ball
2 – Summer Holiday
3 – Usurpers
4 – Fix
5 – Judas
6 – P.I.D.

Se ancora oggi ci sono nuove leve che pagano tributo a sonorità figlie del blues e del rock’n’roll più marcio, un motivo ci dovrà pur essere. Semplicemente questi suoni sono senza tempo e non importa se chi li ripropone per l’ennesima volta ha 20 o 60 anni, l’importante è l’attitudine distruttiva e shockante propria di un genere che, come disse qualcuno, non passerà mai di moda perché non è mai stato di moda.
Una band che incarna a dovere questo tipo di stereotipo è quella dei Motorhead, da ormai quasi 40 anni sulle scene e figlia di quel rock’n’roll rozzo e rumoroso che correva parallelo al punk degli anni ’70, ma con radici ben ancorate nel blues. Non stupisce quindi che ci siano molti ragazzi rimasti folgorati dal verbo di questi metallari ante litteram ed il passo successivo è quello di mettere in piedi una band al solo scopo di rendere omaggio al Dio del rock’n’roll, mai pago di sacrifici umani ed intellettuali.
Da tali premesse emergono i veronesi Alcstone, nati nel 2005 e, dopo 6 anni di gavetta e concerti, arrivati a siglare questo Ep, il quarto considerando anche il live del 2008. Da subito si comprende come il voto di ubbidienza verso Lemmy sia stato espresso in maniera convincente e canzoni come la titletrack o l’opener Paper Ball lo dimostrano appieno. Accanto a tali episodi, però, troviamo anche un accenno di versatilità con Judas, brano migliore dell’intero lotto e che si accosta a sonorità più classicamente HM.
Tra pregi (la già citata attitudine) e difetti (un sound fin troppo sporco ed un cantato non sempre brillante), si giunge alla conclusione dei 20 minuti abbondanti che compongono Usurpers con la certezza matematica che, se dal vivo le canzoni in esso contenute saranno in grado di fare proseliti, su disco c’è ancora da lavorare per lisciare gli spigoli di una proposta musicale certamente non innovativa, ma che comunque contiene ottimi spunti d’interesse. Il groove non si può imparare e gli Alcstone ce l’hanno nel sangue, ma hanno solo bisogno di incanalarlo nella maniera corretta, cosa che potrà avvenire solo macinando date su date dal vivo e spendendo ore in sala prove per affinare le armi.


Andrea Rodella

 

Cartoon
Alter Ego
2011, Autoprodotto
Thrash
Myspace Ufficiale
Email

Tracklist:

1. Alter Ego 0:59
2. Fuckin’ Hard Day 2:46
3. Fake God 3:03
4. Fuckin’ Vampire 3:59
5. Eatin’ My Heart 2:30
6. Don’t Blame Me 2:41
7. *** 0:55
8. Wrong Way 2:40
9. Insomnia 2:45
10. Horror Kebabp 3:26 11. Bloody Child 2:45

Nascosti da lungo tempo come side-project di altre iniziative, finalmente i Carton prendono forma attraverso la pubblicazione del loro primo full-length “Alter Ego”, autoprodotto. Il combo romano prende ispirazione dal metal dei primi anni novanta, dall’hardcore, dal thrash e, in ultimo, dal rock alternativo. Fulcro del gruppo (fondatore, co-produttore, co-scrittore delle musiche e autore dei testi) è il cantante Christano Iacovazzo che, assieme agli altri tre elementi (DanPk, Guitar & Backing Vocals; Maciej Mikolajczyk, Bass & Backing Vocals e Daniele Di Marzio, Drums), forma un quartetto in grado di dar luogo a un sound semplice ma efficace. Quanto dichiarato dal gruppo in merito alle proprie muse ispiratrici è esatto: “Alter Ego” suona davvero come «da anni novanta» nel rispetto, soprattutto, di una ritmica mai asfissiante ma anzi avvolgente, con rimando, quindi, al groove metal di quel periodo. Un sound personale anche se non innovativo, che trova maggior peculiarità nella voce di Christano, perfettamente idonea al genere anche se a volte troppo impegnata con i vari «f**k» stile Beastie Boys che, invero, rendono un po’ meno originale la proposta. Se il sound dimostra già una certa maturità, sia il suono, sia le canzoni, invece, sono ancora acerbe. Il suono – non dimenticando che si tratta di un’autoproduzione – è troppo «tappato» e chiuso in se stesso; soprattutto per quanto riguarda la batteria. Le song, invece, sono ancora un po’ anonime, seppur ben costruite: ascoltando varie volte “Alter Ego” non emergono episodi degni di nota, anche se il platter stesso sfiora la mezz’ora di durata. Da rimarcare, infine, la cura profusa nella realizzazione dell’artwork: un segno di professionalità che, senz’altro, sarà riconosciuta positivamente dagli appassionati.

Daniele ‘Dani66’ D’Adamo

 

Da Pila
Pleonexia
2011, Autoprodotto
Heavy/Epic
Myspace Ufficiale

Tracklist:

1 – Pleonexia
2 – Everything You Said
3 – I Don’t Care
4 – We Just Want More

Nonostante la copertina faccia presagire un lavoro orientato sul pagan black metal, Da Pila è un progetto di epic/heavy metal che si sviluppa attorno alla figura del polistrumentista Michele Da Pila nella forma di una vera e propria one-man-band.
Arrivato nel corso di 10 anni a pubblicare un discreto numero di Ep, Michele si ripresenta sul mercato con Pleonexia, settimo lavoro di breve/media durata a sua firma che propone 4 brani inediti di discreta fattura. Entrando proprio nel merito di essi, va detto che purtroppo convincono solo fino ad un certo punto, presentando un songwriting di base piuttosto vario, ma eccessivamente dispersivo, cosa che va a compromettere la fluidità del disco. Sezioni anthemiche e marziali si alternano ad interludi atmosferici in un susseguirsi difficile da comprendere appieno, se non dopo ripetuti ascolti. Le motivazioni di scelte di questo genere non è dato saperle, ma basti capire che Pleonexia è un lavoro che vive di alti (Everything You Said) e bassi (l’iniziale titletrack), spesso però equamente distribuiti all’interno della medesima canzone.
Tirando le somme, resta il fatto che i passaggi di buona fattura ci sono, ma sono uniti a troppi cali di tono che non rendono giustizia ai brani nella loro totalità. Il lavoro di stesura dei pezzi da parte di una sola persona può talvolta portare a qualche scivolone di troppo e, in questo caso, a non riuscire ad esprimere appieno un potenziale visibile solo in alcuni episodi. L’ascolto di Pleonexia è quindi ad appannaggio di chi vuol farsi un’idea di un metal epico e melodico al contempo, ma ancora in grado di maturare e migliorare nelle prossime uscite.

Andrea Rodella

 

Deadly Silence
Deadly Silence
2010, Autoprodotto
Black Sinfonico/Gothic
Myspace Ufficiale

Tracklist:

01 The Abyss in Your Eyes
02 Inside My Heaven
03 White Noise of Endless Night

Nati nel 2006 in quel di Parma, i Deadly Silence giungono solo nel 2010 a registrare questo loro primo demo omonimo composto da 3 tracce. Il motivo del tempo trascorso è da ricercarsi principalmente nei vari cambi di line-up che non hanno mai permesso al gruppo la sufficiente stabilità per entrare in studio.
Sotto il profilo musicale, purtroppo, la lunga attesa non sembra ripagare del tutto la band parmense. Il genere da loro proposto si posiziona a cavallo tra un black sinfonico, che sembra dovere molto a gruppi quali gli Emperor, e il gothic metal degli albori, quindi ben lungi da quel goth-pop che oggi va tanto per la maggiore. Come si diceva, però, il risultato finale non è decisamente all’altezza di tali padri putativi. Al di là degli inevitabili difetti di produzione (in particolare per quanto riguarda i volumi delle tastiere, talvolta fin troppo invasive), i brani risultano ben poco personali e originali. Tutte e tre le tracce presentate suonano un po’ troppo di già sentito, inoltre, pur non risultando per questo stancanti, mancano di quella grinta e di quell’appeal che ti fa gustare appieno un pezzo e ti porta a volerlo riascoltare più e più volte.
Un peccato, quindi, che il songwriting non sia all’altezza delle doti tecniche che, invece, i membri dei Deadly Silence riescono a mettere in mostra su questo demo. Speriamo nel prossimo: se dovessero aggiustare il tiro, credo proprio che potrebbero sfornare qualcosa di molto interessante.

Alessandro Calvi

 

Death Scythes
Death Scythes
2010, Autoprodotto
Death Metal
Myspace Ufficiale

Tracklist:

01- The Triumph
02- The Warrior Is not Dead
03- Deus Ex Machina

Gli italiani Death Scythes nascono a Parma nel 2004 come progetto dedito a un melodic death metal fortemente influenzato dal black metal.
Giunti, nel 2006, al traguardo del primo demo intitolato “…And the Harvest Begins…”, i parmensi tornano a farsi sentire nel 2010 con “Death Scythes”, lavoro auto-prodotto che, bene o male, prosegue nella direzione tracciata in precedenza.
Il secondo parto del combo, suddiviso in tre brani per un minutaggio di appena 14′, ci mostra una band discretamente sicura nel maneggiare i propri strumenti, che però ha ancora molto lavoro da fare in fase di composizione. I ragazzi spesso e volentieri infatti non riescono a dare un’impronta personale alla musica, scimmiottando di sovente artisti già più affermati, sia nei momenti più tirati, sia in quelli più melodici e atmosferici.
Le canzoni sono semplici, lineari, senza particolari orpelli decorativi e riescono, per certi versi a risultare anche simpatiche, quando non addirittura gradevoli, pur lasciando viva la sensazione di già sentito.
La tracce si muovono tutte sullo stesso stile, presentando un riffing non troppo vario, ma serrato quel tanto da riuscire a erigere un muro sonoro di sufficiente impatto. Stesso dicasi per la sezione ritmica, mai eccessivamente articolata, ma abbastanza possente per conferire la giusta dose di cattiveria alle composizioni. La voce di Max alterna, come prevedibile, passaggi in growl e in scream, non entusiasmanti ma allo stesso tempo non disprezzabili in quanto a qualità.
La qualità di registrazione modesta dona al tutto un tocco “old-style”, che paradossalmente riesce a rendere l’ascolto appena più accattivante.
Per ora la formazione ha ancora molto da lavorare se vuole competere ed emergere dall’agguerrita scena underground italiana, che può contare su nomi assai più interessanti.

Emanuele Calderone

 

Desperation
Young Man
2009, L’è t?tt Folklor Records
Death Metal
Myspace Ufficiale

Tracklist:

1. Entering 03:13
2. Left alone 06:15
3. Human 06:23
4. Nonpoint 07:22
5. Young man 07:15

Sono svizzeri questi giovani deathster nichilisti e misantropi: i Desperation si iscrivono decisamente nella cerchia di band che compongono la piccola ma fiorente nuova milizia del death metal elvetico.
Il loro esordio si intitola Young Man: un EP formato da 5 brani, più ghost-track strumentale, uscito nel 2009 per la piccola etichetta indipendente L’è t?tt Folklor Records, che si presenta, già a prima vista, come un concentrato di buonissime intenzioni. Molto curato nei dettagli, il cd mostra un cromatismo cupo che, volutamente, dovrebbe rispecchiare il sound oscuro prodotto dai quattro musicisti, i quali non esitano a definire “dark” il loro death metal.
Concretamente parlando, la musica contenuta in Young Man è un death metal d’assalto, sporco e cattivo, con un cantato che tocca gli estremismi suini del grind e chitarre glaciali che ricordano il black metal più old-school, ma soprattutto con un’attitudine hardcore che ben si sposerà con la foga degli headbanger in una qualsiasi situazione live.
Pur sfoggiando fraseggi tecnicamente molto lineari i Desperation, però, si dimostrano ambiziosi, ed in brani mediamente prolissi, come Nonpoint e la titletrack dell’EP, cercano di creare atmosfere disturbanti e claustrofobiche, sciorinando una grande alternanza di momenti emotivi differenti; le loro trame si invischiano senza scampo nella melma, per poi uscirne con rabbia assoluta e celebrare il trionfo con cavalcate marziali di grande impatto.
Tutto molto bello, se non fosse che questo registro si ripete all’infinito, rendendo pochi i momenti veramente memorabili della tracklist, abilmente intervallata, peraltro, da sample che vogliono sottolineare il mood negativo dell’album.
C’è da dire che una produzione sonora veramente non all’altezza  delle ambizioni qualitative del prodotto, e qualche imperfezione di troppo nell’esecuzione delle parti più complicate, abbassano inevitabilmente la soglia di apprezzabilità di questo disco che, comunque, dà ulteriori ampi segnali di vitalità di una scena, quella svizzera che, così come i Desperation, ha tanta voglia di stupire e di sfondare, e a cui non mancano certo le buone idee. In certi casi, ci sarebbe solo da affilare meglio le armi, ma la direzione è quella giusta.

Francesco ‘Darkshine’ Sorricaro

 

Dissektor
Ritual
2011, Autoprodotto
Thrash
Myspace Ufficiale

Tracklist:

1. Cold Darkness 2:45
2. Faith Aggression 5:27
3. I Invoke 0:34
4. Ritual 2:46
5. Eyes On Fire 4:16
6. Blood On The Wall 4:18
7. Next Victim 5:00
8. Across The Line Of Death 4:41
9. Winds Of War (Instrumental) 4:48

Se, nei giorni nostri, volete ascoltare il thrash nella sua forma più putrida e involuta, non rimane che andare a pescare in Colombia. Lungi dal voler essere una mancanza di rispetto verso coloro che, con coraggio, imbracciano gli strumenti per suonare in un Paese martoriato da ben altri problemi; l’affermazione di cui sopra è in realtà una peculiarità posseduta dai ragazzi del paese sudamericano. Suonare, cioè, thrash metal con uno stile ancora più rozzo e marcio di quello dei Sepultura primo periodo (“Bestial Devastation”, 1985). Esattamente come fanno i Dissektor. Provenienti da Medellín, i Nostri, prima di arrivare a pubblicare il loro primo full-length, “Ritual”, appunto, hanno sostenuto una lunga gavetta. Formatisi nel 2001, hanno, infatti, suonato per un lustro abbondante prima di incidere “Supremacy” (Demo, 2008) e “Thrash Death Fucking Metal” (EP, 2010). Tutt’altro che sprovveduto (“Winds Of War”), quindi, il quintetto dell’Antioquia scarica con ordine e pulizia il proprio sound; incentrato su un old school thrash semplice e lineare (“Cold Darkness”, “Next Victim”). Larry Froen scarica sul microfono tutta la sua rabbia, alternando scream, growl e gorgoglii vari. Una rabbia accompagnata a dovere dai riff segaossa della coppia d’asce e sostenuta dall’iper-cinetica sezione ritmica, contrassegnata da linee di basso d’estrazione heavy e da pattern di batteria non di rado sconfinanti nei blast-beats (“Ritual”). La lunga militanza nell’underground più profondo e, suppongo, le tante serate passate a provare i pezzi e a suonare live hanno fatto sì che i Dissektor, volenti o nolenti, siano riusciti a creare un proprio sound, personale e deciso. Le canzoni del platter, non per niente, si susseguono senza soluzioni di continuità sia per quanto riguarda l’intensità sonora, sia per quanto la robustezza del suono. In conclusione, un prodotto ideale per scoprire un Mondo sconosciuto in cui il thrash brulica nell’embrionale forma primigenia. Provateli.


Daniele ‘Dani66’ D’Adamo

 

Losna
Distilling Spirits
2011, Autoprodotto
Thrash
Myspace Ufficiale
Email

Tracklist:

1. Crossing The Bar 4:15
2. Merde 3:16
3. Tremblement De Terre 3:33
4. Pentito 3:31
5. Distillery Of Pain 2:54
6. Room 55 2:48
7. Get Out 1:15
8. Lycantrophy And Wheels 3:49
9. I’m Your Depression 3:15
10. The Fire Of Purification 4:57
11. Extorting Your Life 4:17

Per chi pensava che a subire il fascino morboso del thrash ci fossero solo i maschi della razza umana, ecco l’eccezione che conferma la regola: i brasiliani Losna; la cui muliebre formazione presenta le sorelle Débora (guitars, backing vocals) e Fernanda (bass, vocals), coadiuvate dal solo Marcelo alla batteria. Nelle intenzioni del trio, ci sarebbe la volontà di percorrere le strade già battute da mostri sacri quali Destruction, Sodom, Kreator, Megadeth, Slayer e Death Angel; con un approccio però meno aggressivo, più vicino a quello di power-trio tipo Raven e Rage. La band, nata nel 1997 e già abituata a metter piede in sala d’incisione (“Dark Mess”, demo, 2001; “Bitter Flavours”, demo, 2004; “Wild Hallucinations”, full-length, 2007), nel 2010 entra negli Estúdio Mil di Porto Alegre per realizzare il suo secondo album: “Distilling Spirits”. Già dalle prime note di “Crossing The Bar” si percepisce sia l’esperienza, sia la sufficiente tecnica strumentale posseduta dal trio di Porto Alegre. Il suono è reso sufficientemente chiaro, con la dovuta potenza, potendo comprendere con facilità il lavoro svolto da ciascuno strumento. Anche lo stile è sufficientemente sviluppato, con che i vari brani del platter si susseguono senza mutamenti di personalità, ben saldi al carattere del combo del Rio Grande do Sul. Carattere sottolineato dal cantato di Fernanda, sicuramente non da manuale, tuttavia cattivo e aggressivo al punto giusto. Quel che latita completamente, in “Distilling Spirits”, è il songwriting. La struttura dei pezzi è elementare oltre che involuta e, malgrado ciò, riesce a essere anche caotica: si può ascoltare il disco quanto si vuole, insomma, che ogni volta si rimarrà vuoti e confusi. Con il conseguente rapido insorgere di una fastidiosa noia, anche se qua e là si è provato a muovere le acque con dei brevi inserti folk. Noia per un insieme di canzoni anonime, prive di senso e vuote dal punto di vista artistico. Non sempre la provenienza geografica è sinonimo di qualità: nel caso del thrash, i Losna, purtroppo per loro, lo dimostrano. Da evitare.

Daniele ‘Dani66’ D’Adamo

 

Punition Babek
Demo EP
2011, Autoprodotto
Thrash
Myspace Ufficiale
Email

Tracklist:

1. Jail Of Fire 3:51
2. The Fist 3:26
3. Twilight 4:43
4. Bleeding Chains 5:34

Dalla toscana arrivano i Punition Babek, combo formatosi nel 2008 dalla passione di Alessandro Fantini (Bass Guitar), Fabio Docci (Lead & Rhythm Guitar), Giovanni Casulli (Lead Vocals), Marco Gianfriddo (Lead & Rhythm Guitar) e Roberto Chimentelli (Drums). I Nostri dichiarano d’avere molte influenze musicali, e così è. Seppure siano tendenti marcatamente al thrash e, in particolare, all’old school thrash, i fiorentini mostrano con facilità, nel proprio sound, numerosi richiami all’heavy; segno di un retroterra culturale si degno spessore. Lo stile del quintetto, quindi, abbraccia gli stilemi classici del genere allineandosi a esso senza particolari propositi d’innovazione, marcandolo però con delle linee vocali che, spesso, arrivano sino al growl; rendendo con ciò piuttosto personale l’insieme musicale. Giovanni Casulli non si risparmia certamente nell’aggredire il microfono, e ciò non fa che bene, a parer mio, all’impatto complessivo del suono; anche se nelle parti in clean il lavoro da fare è ancora parecchio. Un suono ancora rozzo e involuto, quindi, ma che porta in sé i margini di un deciso miglioramento; soprattutto se si riuscirà a omogeneizzare la qualità del songwriting per realizzare un gruppo di canzoni il cui filo conduttore sia chiaramente individuabile. I quattro brani dell’EP, infatti, sono stilisticamente slegati fra loro per la presenza, soprattutto, di “Twilight”, brano di epic metal che poco ha a che fare con il thrash se non con l’U.S. power americano della prima metà degli anni ottanta. La strada che i Punition Babek dovranno percorrere per giungere al livello dei migliori è tanta, ma nulla è impossibile quando base e passione ci sono.

Daniele ‘Dani66’ D’Adamo

 

Red Sky
Tra l’Ombra e l’Anima
2011, Autoprodotto
Gothic strumentale
Myspace Ufficiale

Tracklist:

01 Respira (intro)
02 Chiudi gli Occhi
03 Il Mio Modo per Dirtelo
04 La Luna Bacierà le Tue Lacrime
05 Giada
06 E Poi Silenzio (outro)

I Red Sky sono una one-man-band che fa capo al frontman degli Ammonal, gruppo death alternativo di Milano. In questo caso, però, il genere proposto è agli antipodi rispetto a quello del gruppo originario. “Tra L’Ombra e l’Anima”, infatti, è composto da sei tracce esclusivamente strumentali, contraddistinte da un bell’amalagama di generi che potremmo provare a descrivere come un gothic melodico e atmosferico con frequenti incursioni nel rock ottantiano. Il gusto per gli arrangiamenti e la maturità delle composizioni lasciano felicemente sorpresi presentando all’ascoltatore un prodotto fresco e originale. Il songwriting si mantiene su livelli altissimi per tutte le sei canzoni, permettendo, così, di lasciarsi trasportare dolcemente dalle note, perdendosi per tutta la durata del CD.
Proprio l’originalità, forse, è anche una delle potenziali debolezze di questo progetto. Se da un punto di vista di critica non possiamo che plaudire a un simile sforzo realizzativo, alla bellezza dei brani e alla scelta di proporre un prodotto così particolare, dall’altra viene da chiedersi quanto mercato possa avere. Per quanto triste è piuttosto evidente che un disco simile possa essere, purtroppo, apprezzato solo da una ristretta nicchia di appassionati. Il consiglio è, quindi, quello di non lasciarselo scappare se si vuole dare un ascolto a qualcosa che merita davvero, sperando che non rimanga, come temo, un prodotto per pochi eletti.

Alessandro Calvi

 

Rise of Tragedy
As They Beheld Twilight
2010, Autoprodotto
Death metal
Myspace Ufficiale

Tracklist:

01- Epitaph
02- Swallow the Night
03- The Malignant Spirit
04- …As They Beheld Twilight
05- To Avenge the World
06- Demonic Revolt
07- A Rejuvenation
08- Emerald Sinking
09- Mistress of Darkness

Ennesimo progetto melodic black/death quello dei Rise of Tragedy, gruppo nato nel Settembre del 2007 da un’idea del batterista Marco e del chitarrista Adriano; i ragazzi arrivano a pubblicare il loro primo demo con questo “As They Beheld Twilight” nel 2010.
Musicalmente siamo al cospetto di un lavoro ancora poco maturo, che stenta spesso a decollare e a trovare una propria dimensione all’interno della scena estrema italiana.
“As They Beheld Twilight” è infatti uno di quei dischi che, volenti o nolenti, molto difficilmente riusciranno a lasciare un segno nei cuori degli affezionati del metal più violento. Complici un songwriting ancora ingenuo, poco fresco e non particolarmente originale, una scelta di suoni non adeguata (dovuta, molto probabilmente, alla natura “casalinga” del prodotto) e, non ultima, una preparazione tecnica che ancora mostra qualche lacuna, il cd non riesce a imprimersi nella mente dell’ascoltatore.
Non ce ne vogliano i musicisti coinvolti nel progetto, ma sarebbe intellettualmente poco onesto incensare di buone parole un demo del genere.
I brani sono spesso e volentieri semplici, dotati di strutture elementari, il che non sarebbe un male, ma queste non possono godere di uno sviluppo interessante o di idee intriganti. Volete un brano esempio a sostegno di quanto appena detto? Bene, ne abbiamo ben cinque, e su una tracklist composta di nove pezzi ci sembra che non ci siano troppe scusanti a discolpa del combo.
Partendo da “Swallow the Night”, dispersiva e poco coesa in più punti, passando per canzoni banali e piatte come “The Malignant Spirit” e “A Rejuvenation” e finendo con episodi confusionari e caotici quali “Demonic Revolt”, davvero poco appagante per l’apparato uditivo, ci sembra che il lavoro da fare sia ancora moltissimo.
A conti fatti solo la conclusiva “Mistress of Darkness” e “To Avenge the World” riescono a spiccare, complici un songwriting adeguato e qualche intuizione sviluppata a dovere.
Per ora, questo è quanto. “As They Beheld Twilight” è un demo che lascerà poca traccia di sé. I Rise of Tragedy se vogliono essere considerati una band competitiva devono cercare di trovare una via un poco più personale e meno derivativa.

Emanuele Calderone

 

The Black Rain
Hot For A Night
2010, Autoprodotto
Hard Rock
Myspace Ufficiale
Sito Ufficiale

Tracklist:

1 – Coming Home
2 – Hot For A Night
3 – Sugar In Poison
4 – Won’t Let Go

Arrivano da Bologna questi ambiziosi rockers dal monicker affascinante e sicuramente azzeccato.
Una demo tanto scarna nella presentazione (bustina con CD, senza il minimo accenno ad una Bio della band e nome dei musicisti! Male!) quanto ricca nei contenuti musicali.
I The Black Rain sono orgogliosi alfieri di un hard rock viscerale, diretto e melodico, ben suonato e privo d’inutili orpelli e infiorettature virtuosistiche.
Presente come un’ombra, per tutta la durata di questo promo, una certa sensazione “oscura” e dark, ricordandoci (assolutamente nel “mood” e non nel contenuto prettamente musicale) i lavori maggiormente commerciali di band come Sentenced ed Iron Maiden periodo “X-Factor”.
Detto questo, specifichiamo che la band è rock fino al midollo, tra citazioni degli AC/DC (la lunga coda di “Sugar In Poison”) ed uno stile musicale personale ed accattivante che pesca a piene mani tra il meglio della produzione melodic-rock europea (Talisman e Takara ad esempio) e statunitense.
Sugli scudi la voce di (santo MySpace!) Mirko, ottimo interprete dal timbro rotondo e caldo, dotato di un’espressività notevole ed un’estensione sicuramente inaspettata.
Ottima la produzione delle voci, la cura delle linee melodiche, l’arrangiamento e l’esecuzione dei cori, cosa sempre più rara ed erroneamente trascurata.
Personalmente, se mi è concesso, avrei optato per dei suoni di batteria sicuramente meno retrò ed ottantiani e azzardato con una distorsione di chitarra maggiormente aggressiva, effettata e moderna.
Un gruppo promettente, talentuoso ed inspiegabilmente privo di contratto.
A buon intenditor…
 

Alberto Biffi

 

Tuchulcha
Reflection of God
2011, Autoprodotto
Death Metal
Myspace Ufficiale

Tracklist:

1. Nuna (intro) 00:49
2. Reflection of God 05:12
3. Odium 05:18
4. Burning in Velathri 03:52
5. As the water fall 03:53
6. Akvil (outro) 01:27

Proviene dall’oltretomba etrusco il sound dei volterrani Tuchulcha: fierissimi deathster che amano questo genere sopra ogni altro e lo suonano con passione da tre anni a questa parte.
L’intro catacombale dell’EP ci catapulta in un tripudio di death granitico e marziale, che abbraccia tutte le migliori influenze che la scena ha avuto ed ha da offrire. Fin dalla titletrack iniziale salta all’occhio la grande perizia tecnica dei cinque musicisti che compongono la band, su cui spicca il growling spietato di Emiliano Pasquinelli, un vero orco dietro al microfono.
Il bello viene, però, con Odium, un pezzo variegato e potente che fa dell’imprevedibilità delle sue ritmiche il fiore all’occhiello. Goduriosamente epica nelle atmosfere, la traccia in questione presenta un grande assortimento di riff ben orchestrati, facendo balenare nella mente dei più appassionati nientemeno che i Carcass, per larghi tratti, e questo non può essere che un bene.
La successiva Burning in Velathri si può accostare ad Odium per definire i due brani a mio parere migliori dell’EP. Gli elementi dal retrogusto post-thrash presenti al suo interno costituiscono quel qualcosa di nuovo che, accostato alla tradizione, presente come radice infrangibile dell’intero lavoro, dona ancora più valore all’opera di un gruppo che vuole anche guardare al presente. Diretta e dissonante, la traccia ha un finale catartico da godere appieno.
Reflection of God è un disco molto ben architettato, con ingredienti molto ben dosati: brutale ma anche scorrevole, epico ma anche molto diretto; gode di una produzione davvero invidiabile per un esordio assoluto e mette in mostra anche una gran cura per i particolari che vanno dalle tematiche affrontate nei testi all’artwork. Un lavoro da premiare, in attesa del prossimo passo.

Francesco ‘Darkshine’ Sorricaro

 

Turbo Mass
Wild Future
2011, Autoprodotto
Heavy Metal
Myspace Ufficiale

Tracklist:

1 – The Haunting Starting Now
2 – Ancient Story
3 – Wild Future

I Turbo Mass sono una band esordiente marchigiana formatasi nel 2011 e che arriva in pochissimo tempo a siglare l’esordio con il presente demo di 3 tracce dal titolo Wild Future. Il dischetto in questione è un concentrato di HM devoto al genere come lo si intendeva nel periodo dal 1980 al 1982, quindi un concentrato di NWOBHM in puro stile primi Iron Maiden e con al suo interno notevoli quantità di Raven.
I tre brani che Wild Future porta all’attenzione del pubblico sono caratterizzati da un approccio legato rigorosamente al passato, a quell’età in cui saper suonare bene non era affatto necessario, se c’erano buone idee. Infatti i quattro musicisti disseminano qualche errore di esecuzione durante il quarto d’ora abbondante di durata, ma questo non incide minimamente sulla buona qualità del prodotto finale.
Il grosso difetto, se si può considerare tale, dei Turbo Mass è sostanzialmente quello di riproporre un genere senza pensare di aggiornarlo: The Haunting Starting Now, Ancient Story e la titletrack del demo sono in tutto e per tutto figlie del 1980, tant’è che se si ascoltassero senza sapere che sono state prodotte nel 2011, non ci sarebbe la possibilità di indovinare che risalgono a qualche mese fa. Anche la qualità della registrazione, ovviamente, è lo-fi con riverbero alla voce e chitarre a grattugia, per cui si fa veramente fatica a non incappare in errori di valutazione.
Nel complesso, comunque, Wild Future ha un fascino che è quello proprio della NWOBHM al suo inizio, ma ha la grossa pecca di arrivare 30 anni in ritardo sulla tabella di marcia. Il consiglio è quello di aggiornare, senza uniformare ad altri, il proprio sound mantenendo comunque quell’attitudine propria degli eighties perché la proposta, se rivista in tale ottica, non mancherà di generare soddisfazioni.

Andrea Rodella

 

Veratrum
Sangue
2011, Autoprodotto
Death Metal
Myspace Ufficiale

Tracklist:

1. Sangue 03:16
2. Davanti alla verità 04:02
3. L’ora è giunta 04:16
4. Io sono il tempo 04:04
5. L’odio 03:34

Bergamaschi ed incazzati come pochi, i Veratrum, in questo loro primissimo lavoro discografico, si identificano con un elemento fondamentale, il sangue, che pigmenta decisamente ogni angolo del loro prodotto e che sgorga copioso da ogni nota rabbiosa sia stata registrata all’interno dei cinque brani che lo compongono.
Figli di un’attitudine profondamente grind-core che dona alle loro composizioni un’abrasività senza mezzi termini, sono autori di un death metal molto diretto, arricchito da qualche escursione nel black metal più rozzo ma forse, il biglietto da visita più identificabile, è il cantato in italiano del versatile Andrea, il quale si spende molto tra growling e screaming, con il pregio, non da poco, di rendere sufficientemente comprensibili i testi nichilisti e profondi del gruppo.
 A questo proposito sono da segnalare le liriche di L’ora è giunta e Io sono il tempo, i due brani più rappresentativi anche musicalmente, a mio parere, dell’intero lotto, dove l’aggressività senza fronzoli del combo lombardo si sposa alla perfezione con testi anthemici ed atmosfere di grande negatività create dalle due chitarre e dalla puntualissima sessione ritmica.
I Veratrum si dimostrano essere una band che, quasi certamente, dà grandi garanzie sul palco dal punto di vista del trascinamento del pubblico e che si può permettere, se lo volesse, anche di osare qualche pazzia estemporanea, come nel caso, per fare un piccolissimo esempio, dell’inatteso assolo sul finire proprio di Io sono il tempo. Se invece, questa intrapresa dovesse rimanere assolutamente la strada maestra, questo Sangue mette già da ora i Veratrum tra le band più promettenti del panorama estremo nazionale.

Francesco ‘Darkshine’ Sorricaro