Live Report: Lamb Of God a Bologna

Di Angelo D'Acunto - 28 Febbraio 2010 - 0:05
Live Report: Lamb Of God a Bologna

Ecco a voi il resoconto della prima delle tre calate italiche dei Lamb Of God, band che, ormai si sa, è riuscita a guadagnarsi una certa popolarità a livello mondiale, e che sul campo dimostra che il contratto discografico con una major come la Sony Music (e il più recente con Roadrunner) non è stato solamente un caso. Il pubblico che ritroviamo all’interno dell’Estragon di Bologna è quello delle grandi occasioni (anche se composto prevalentemente da giovanissimi). Affluenza più che prevedibile, vista anche la presenza di supporting act di tutto rispetto come Between The Buried And Me e Job For A Cowboy.

Report a cura di Angelo D’Acunto e Lorenzo Bacega
Foto a cura di Angelo D’Acunto

 


Between The Buried And Me


Ore 20:25: tocca agli americani Between the Buried and Me aprire la serata e scaldare per bene il già numeroso pubblico raggruppatosi all’interno dell’Estragon. Autore di un’interessante miscela di metalcore tecnico, progressive metal e death metal, il quintetto proveniente da Riley (North Carolina) si destreggia nel migliore dei modi nei trenta minuti scarsi a disposizione, tenendo bene il palco e offrendo ai presenti assiepati nelle prime file uno spettacolo davvero coinvolgente e dal tasso tecnico decisamente elevato, concentrato esclusivamente sugli ultimi due studio album del gruppo (rispettivamente l’acclamato Colors e il più recente e controverso The Great Misdirect). Nonostante gli immancabili problemi di suoni che caratterizzano, come spesso accade, le performance dei gruppi di apertura (per oltre metà dell’iniziale Fossil Genera – A Feed from Cloud Mountain sia la voce pulita del cantante e tastierista Tommy Rogers che le chitarre vengono infatti quasi completamente sovrastate dal suono martellante della batteria e dal basso) la prestazione dei cinque americani è senz’altro di ottimo livello e riceve ampi consensi da parte della stragrande maggioranza del pubblico presente. Una robusta e articolata White Walls pone la parola fine a una scaletta nel complesso piuttosto striminzita (due soli i pezzi proposti, sebbene dal minutaggio piuttosto elevato), ma comunque più che sufficiente per scaldare l’Estragon a dovere, in attesa dei piatti più gustosi della serata. Uno spettacolo quindi pienamente convincente da parte di questi Between the Buried and Me, nella speranza di poterli rivedere in seguito, magari con maggiore tempo a disposizione e con suoni migliori.

Lorenzo Bacega

August Burns Red


E dopo l’ottimo, seppur breve, set dei Between The Buried And Me, tocca agli August Burns Red salire sul palco dell’Estragon. Il gruppo americano, che propone un metal-core impreziosito da passaggi piuttosto tecnici, ma per niente distante da quel che fanno (e hanno fatto) migliaia di altri gruppi, in madre patria è considerato come una valida promessa per il futuro. Sarà, ma dopo già due-tre pezzi, la proposta del quintetto statunitense comincia a diventare anche fin troppo ridondante. Nulla da dire sul piano esecutivo, i cinque americani dimostrano di saper tenere più che bene il palco, sempre al di là di una proposta musicale che può piacere meno e che, in questo caso, l’abbondanza di pubblico felsineo all’interno del locale sembra apprezzare in pieno. In definitiva, una prova senza infamia e senza lode a parere di chi scrive, mentre per altri forse qualcosa di più.

Angelo D’Acunto

Job For A Cowboy


Dopo una breve pausa arriva il momento dei tanto attesi Job for a Cowboy, band che propone un deathcore tecnico, fresca della pubblicazione del secondo full length ufficiale, intitolato Ruination. Il quintetto di Glendale (Arizona, Stati Uniti) si dimostra da subito in un discreto stato di forma, travolgendo il pubblico con una prestazione estremamente energica e potente. Non tutto fila per il verso giusto però: i suoni delle due chitarre risultano infatti un po’ troppo impastati, e la voce del cantante, assolutamente impeccabile nelle parti in growl, appare invece abbastanza insicura e decisamente rivedibile per quanto riguarda lo screaming (un po’ troppo stiracchiato e poco efficace). La scaletta, pur mantenendo un occhio di riguardo verso l’ultimo album (il già citato Ruination), punta a mescolare i brani più recenti con i classici estratti dalle release precedenti: così canzoni del calibro di Constitutional Masturbation, To Detonate and Exterminate, Ruination e Unfurling a Darkened Gospel vanno ad aggiungersi a pezzi come Knee Deep, Embedded o Entombment of a Machine, dando così vita a una mezz’ora circa di spettacolo estremamente intenso e tirato, forse non ineccepibile per quanto riguarda la resa sonora (come già sottolineato in precedenza), ma che ha sicuramente raccolto l’approvazione da parte della maggioranza dei presenti.

Lorenzo Bacega

Lamb Of God


Una serata equamente divisa fra alti e bassi, non poteva che finire in ottimo modo. Eggià, perché i Lamb Of God, così come su disco, ultimamente sono diventati una sorta di garanzia anche per quanto riguarda i live show. In questo caso i suoni, rispetto già all’inizio della serata, sono pressoché perfetti, più l’aggiunta di volumi vertiginosamente alti (mai sentiti a questi livelli all’interno dell’Estragon) capaci di far letteralmente tremare le pareti del locale bolognese.
Il pubblico, come già detto, seppur in buona parte composto da giovanissimi, è quello delle grandi occasioni, e reagisce come si deve agli attacchi frontali della band, creando anche non poche difficoltà agli uomini della security con frequenti stage diving. I Lamb Of God d’altra parte gradiscono come si deve l’entusiasmo del pubblico felsineo, ringraziando anche i gruppi di supporto nelle poche pause concesse fra un pezzo e l’altro. La band affronta il palco con grinta e professionalità, ma anche con la consapevolezza di non poter permettersi di fallire come era già accaduto lo scorso anno in occasione dello show al Velvet di Rimini. Tutto liscio come l’olio per fortuna, i Lamb Of God sono in forma smagliante e non sbagliano nemmeno un colpo. In primo piano ci sono, come sempre, i latrati di un Randy Blythe più in forma che mai, mentre il compito di dirigere le danze nelle retrovie spetta al solito drumming preciso di Chris Adler, autentico motore ritmico del combo di Richmond. Non da meno i riff taglienti delle chitarre di Adler e Morton, mentre forse un po’ più in ombra del previsto (a livello acustico) il basso di un Campbell che sembra invecchiare sempre più per ogni giorno che passa, ma che comunque fa capire di essere presente e attivo come il resto del gruppo.
L’unica pecca, se proprio vogliamo andare a cercare il pelo nell’uovo, è in una setlist dove vengono lasciati fuori un bel po’ di classici a favore dei pezzi più recenti del combo. A rappresentare il “vecchio corso” della band ci sono solamente Ruin, Vigil (l’unico momento più “tranquillo” che concede un po’ di respiro ai presenti) e la consueta chiusura affidata a Black Label. Per il resto vengono proposti a rotazione estratti dagli ultimi tre dischi della band, con un occhio di riguardo, ovviamente, rivolto verso l’ultimo Wrath.
Insomma, ottimo show per una band che, ancora una volta, si conferma essere un vero e proprio uragano in sede live, capace di offrire al proprio pubblico una prestazione violenta e, allo stesso tempo, precisa al millimetro.

Angelo D’Acunto

Setlist:

01 The Passing
02 In Your Words
03 Set to Fail
04 Walk With Me In Hell
05 Now You’ve Got Something To Die For
06 Ruin
07 Hourglass
08 Dead Seeds
09 Blacken the Cursed Sun
10 Grace
11 Broken Hands
12 Laid to Rest
13 Contractor

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14 Vigil
15 Redneck
16 Black Label