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Holy Martyr (Ivano Spiga)

Di - 9 Giugno 2011 - 10:00
Holy Martyr (Ivano Spiga)

Autori di un validissimo ritorno sulle scene dal profetico titolo Invincible, i paladini dell’Epic Metal italiano Holy Martyr rispondono ai quesiti posti da TrueMetal senza peli sulla lingua nella persona di Ivano Spiga, chitarrista della formazione sarda. A voi il piacere della lettura di questa onestissima intervista!

Ciao ragazzi e bentornati sulle pagine virtuali di TrueMetal! Cominciamo subito con la prima domanda: 3 anni separano il nuovissimo Invincible dal suo predecessore Hellenic Warrior Spirit. Cos’è successo in questo lasso di tempo?

Ciao! Beh, subito dopo le registrazioni di Hellenic Warrior Spirit abbiamo trasferito il nostro quartier generale in Lombardia, ci siamo dedicati maggiormente ai live sia in Italia che all’estero, in passato per motivi logistici eravamo un po’ limitati da questo punto di vista. Solo verso la metà del 2010 sono state messe in campo delle idee abbastanza chiare per un futuro disco, ci siamo presi i nostri tempi senza fare nulla di forzato, d’altronde lavoriamo tutti ed è già un’impresa riuscire a convogliare l’idea giusta al momento giusto, il tempo è sempre poco.

Se Still At War parlava dell’antica Roma, Hellenic Warrior Spirit della Grecia, ora Invincible si ispira al Giappone ed ai suoi guerrieri. Come mai avete scelto questo popolo? Che cosa rappresenta per voi?

Su Still At War si parlava di tanti argomenti, se ci ripenso, ma comunque devo ammettere che  identificarsi ogni volta in qualcosa di diverso e risultare convincente è qualcosa che ci è sempre riuscito abbastanza bene. Stare sempre sugli allori ricevuti non ti porta a nuove conquiste, almeno personali, osare e lanciare le sfide è al contrario entusiasmante e ti dà nuovi stimoli.
I Samurai mi sono sempre piaciuti, assieme agli Spartani sono i guerrieri più fedeli ai loro ideali e i più impavidi che la Storia abbia mai conosciuto. L’idea era ben presente già prima delle registrazioni di Hellenic Warrior Spirit e ancora più indietro nel tempo, sin da quando ero bambino.
Come ti ho già accennato prima, tutto questo rappresenta una sfida, ogni volta riusciamo ad essere un po’ più avanti e a trattare argomenti inediti in campo Heavy Metal, è il nostro marchio di fabbrica e speriamo di riuscire a spiazzare e farci notare.

Sembra che si tratti di un concept album. Di che cosa parlano i testi? Narrano un’unica storia?

No, non è un concept album, nel modo più assoluto. Come dici tu, un concept è tale quando ogni canzone racconta un’unica storia. Per esempio, The Lamb Lies Down On Broadway dei Genesis è quello che considererei il concept per definizione, così come The Wall dei Pink Floyd. Per stare più vicini alle nostre sonorità potrei citarti Operation Mindcrime dei Queensryche, esempio sfolgorante di disco che gira attorno ad una storia ed ai suoi personaggi, ma giustamente anche il nostro precedente disco può essere considerato un concept storico, basato su una famosa battaglia e sugli Spartani. Al contrario, un disco come 2112 dei Rush non è assolutamente un concept, nonostante ci siano i primi brani legati assieme, il resto non lo è. La stessa cosa è per Invincible, la title track non parla di niente in particolare, puoi adattare il suo testo a qualsiasi cosa, Lord Of War parla di un film sulla guerra moderna e sui venditori di armi nel terzo mondo, Ghost Dog è un altro film, un pulp abbastanza recente, che parla di un sicario che ha adattato come filosofia l’Hagakure ed il Bushido dei Samurai. Le restanti canzoni sono ispirate a film di Akira Kurosawa, un accenno ad una famosa battaglia del medioevo giapponese e la figura del massaggiatore cieco e maestro di spada Zatoichi, una serie televisiva popolare in Giappone negli anni ’70.
Come vedi, gli argomenti sono molto variegati, l’unica cosa in comune e novità assoluta per il gruppo è che quasi tutte le canzoni sono state basate su film, molti dei quali giapponesi, ma ciò non basta a renderlo omogeneo. Ognuno può vederci quello che vuole e trovare dei richiami fra i brani, ma non c’è nessuna storia dietro. Mi sono dilungato ma mi piaceva spiegare questo mio punto di vista importante.

Come avete scelto un titolo come Invincible? Suona piuttosto pretenzioso ed altisonante…

Invincible è la canzone che apre l’album e da sola rende l’idea di cosa è questo disco. I Samurai per come la vedo io erano assolutamente invincibili e letali, lo stesso personaggio in copertina richiama l’imbattibilità: rappresenta il leggendario Zatoichi di cui ho parlato prima, una figura che incuteva timore e che nessuno era in grande di fronteggiare. L’imbattibilità è impressa a sangue anche nel nome Holy Martyr, il riferimento al martire indica colui che nemmeno con la morte potrà essere sconfitto, perché con la sue gesta esemplari potrà vivere in eterno… i nessi col precedente disco si sprecano. Dopo quasi 18 anni di gavetta, tre demo e tre dischi, siamo ancora qui con un lavoro pretenzioso e altisonante, indomiti, impavidi e carichi come belve in gabbia in attesa di uscire. Di tutto si potrà dire, tranne che questo disco risulta moscio. Penso possa bastare.

Devo fare i complimenti a tutti voi per esservi resi protagonisti di una performance ad altissimi livelli, ma soprattutto a te e ad Eros, i vostri assoli mi sono sembrati molto ispirati. C’è stato un lavoro lungo per arrivare a questi risultati?

Ti ringrazio, è bello sapere che questo sforzo è stato notato. Tutti hanno dato il loro massimo in tempi rapidamente brevi, con risultati oltre ogni aspettativa. Non sono da meno le parti di chitarra e in particolar modo gli assoli, pensati con maggiore convinzione e sicuramente più efficaci che in passato. Per quanto mi riguarda posso dirti che il lavoro è stato costante, ma non così lungo: sono entrato in studio con le idee chiare e sapevo esattamente cosa fare. Penso che gli assoli di chitarra siano una parte centrale di importanza non indifferente per la riuscita di un brano, un mondo a sé che alza di livello la magia che una canzone evoca, nel nostro caso senza fare tecnicismi fini a se stessi.

Parlando un attimo della voce di Alex, l’ho trovata in alcuni punti vicina al Blaze Bayley solista più cupo. Cosa ne pensate di questo artista? Secondo voi il paragone regge?

Senza mezze misure ti dirò che non sopporto Blaze Bayley, soprattutto nel periodo in cui ha militato nei Maiden, mi dà una tristezza infinita, considerando il signor cantante con cui hanno fatto la Storia nei dischi precedenti. Non conosco i suoi lavori da solista, non sento il bisogno di cercarli e penso abbia una tonalità decisamente più bassa e limitata rispetto ad Alex. Se avesse la metà dell’estensione e della grinta del nostro vocalist, Blaze potrebbe risultarmi un cantante validissimo. Alex è stato spesso paragonato a Kimball dei primi Omen, Messiah Marcolin dei Candlemass e Mark Shelton dei Manilla Road… ci può anche stare, anche se in maniera forzata. Blaze non lo voglio nemmeno paragonare, parlo per me ma la penserà uguale anche il signor Mereu.
Mi spiace se ho offeso i tuoi gusti personali ma non volevo girarci attorno, sono schietto.

Apprezzabile è anche il lavoro di copertina che si discosta dai vostri precedenti artwork. Chi l’ha realizzato?

Stavolta ci siamo affidati alle mani di Martina Corongiu, il cambiamento c’è stato anche a livello visivo, altrimenti il rischio era di risultare sempre uguali in ogni copertina. Anche l’interno del booklet è stato curato nei minimi dettagli e penso risulti molto elegante e diverso dai soliti cover art work Heavy Metal. In fondo anche in questo versante abbiamo sempre cercato di essere personali e con un nostro stile identificabile. Chiunque potrà esclamare “gli Holy Martyr sono quelli di quelle copertine così” che piacciano o meno l’importante è suscitare reazioni.

 

     
 
 

 

Nell’intervista che Stefano “Steven Rich” Ricetti vi fece nel 2007, c’era la seguente domanda: “Che cosa vi aspettate da Still At War?”. Ora io vi chiedo, a distanza di 4 anni, che cosa vi ha portato quel disco? Ha soddisfatto quelle aspettative?

Un gruppo tutt’ora undergound come il nostro dovrebbe avere tante aspettative, ma la regola dovrebbe essere accontentarsi di quel poco che si riesce ad avere, il resto è tanto di guadagnato. Quindi le aspettative saranno sempre le stesse: suonare dal vivo, farci conoscere da più persone possibili e fare ogni volta canzoni migliori delle precedenti. In definitiva, Still At War ci ha portato queste cose e ne siamo lieti, non è cambiato nulla dal primo disco, sempre con la chitarra in mano insomma.

Qualche anno fa prendeste la decisione di trasferirvi dalla Sardegna in Lombardia. Come mai? Che cosa vi portò ad operare questa difficile scelta?

Sicuramente i problemi logistici che ti tengono distante e tagliati da tante possibilità. In generale stare in Lombardia e a Milano ti rende un po’ più attivo e frizzante dal punto di vista musicale, non c’è l’impressione di stare chiusi in una gabbia dorata come in Sardegna. Altra cosa di importanza vitale è stare vicini ai nostri fan, sia italiani che esteri, ogni volta che capita l’occasione di suonare da qualche parte, troviamo vecchie conoscenze e persone che si sono fatte migliaia di chilometri per vederci. E’ una cosa che ci dà una carica immensa, noi amiamo queste persone per l’affetto incondizionato che ci danno, il minimo che possiamo fare per ringraziarle è fare nuove canzoni e suonare il più possibile dal vivo, il merito della nostra grinta è dovuto a loro.

Siete considerati, a ragione, una delle migliori band italiane in ambito epic metal. Cosa pensate della scena del nostro Paese?

Beh…penso sia palese che a livello di idee e attitudine siamo infinitamente migliori pure dei tedeschi, parlo attualmente. Il problema sarà sempre quello di avere pochi responsi o di non averne abbastanza in casa, cosa che magari con maggiore supporto potrebbe farti uscire dai confini. Siamo la Patria di Sanremo…ahimè!

Nella vostra storia avete subito un solo cambio di lineup, se non vado errato, poi rientrato nei ranghi prima dell’uscita del vostro Ep Vis Et Honor. Qual è il segreto per una formazione così stabile?

Hmm…beh per quanto riguarda i primi tre lavori autoprodotti sino a Vis Et Honor, si sono avvicendati due bassisti e due chitarristi. Dal primo disco invece, sono addirittura tornati nel gruppo membri storici che suonavano con me agli esordi, una situazione abbastanza particolare insomma. Praticamente Still At War ha avuto le stesse tre persone che hanno prodotto alcune canzoni nei primissimi anni ’90. L’unico cambiamento è stato sempre il basso, con Nicola Pirroni entrato in forze nel gruppo immediatamente dopo le registrazioni del nostro esordio, il bassista Roberto Frau è stato presente solo in studio ma non nei concerti successivi. Penso che questa stabilità ormai rodata dopo 5 anni e tre dischi ufficiali, sia dovuta all’amicizia che ci lega. Ovviamente ognuno ha il suo carattere e non è semplice andare d’accordo e nella stessa direzione, ma mi sembra alquanto normale. Il segreto è che non c’è nessuno che vuole primeggiare sugli altri o che si sente migliore, ognuno ha la sua parte importante e agiamo come combo, senza montarci la testa o avere atteggiamenti da divo. Piedi sempre ben saldati sul terreno insomma.

Quali sono le migliori soddisfazioni che vi siete tolti, come band?

Suonare all’estero e vedere posti diversi sicuramente è stata quella più grande, soprattutto agli esordi coi nostri demo, abbiamo raggiunto risultati impensabili per un gruppo appena esordiente. Anche essere stati finanziati dai propri fan per la release di Hellas To Hellas è stata una cosa impagabile, che nessun altro può includere nel proprio background. Ma in fondo, ogni volta volta è sempre una grande soddisfazione vedere che qualcuno ti aspetta sotto il palco e ti supporta, cantando a squarciagola le tue canzoni… non saremo mai paghi di tutto questo.

Ed i vostri momenti peggiori?

I primi mesi a Milano non ce la siamo vista tanto bene, sia per le difficoltà lavorative ed economiche che per la pressione degli imminenti live. Fortunatamente tutto questo si è esaurito quasi subito, ed il momento peggiore è stato arrivare sino a Salonicco nel 2008, fare un viaggio stratosferico per raggiungere un festival ambiguo, dove il massimo che ci è stato offerto era un tramezzino e la prospettiva di passare la notte all’aperto. Ovviamente siamo fuggiti da una situazione così paradossale.

Se doveste consigliare ad un neofita dell’epic metal tre band straniere ed una italiana per cominciare ad ascoltare il genere, quali scegliereste?

Parto dal presupposto che io considero Epic Metal puro ciò che rientra nella categoria di Epic e Doom a livello di sonorità. Quindi è abbastanza palese citare i primi quattro dischi dei Manowar. Riassumono abbastanza bene un certo tipo di Epic Metal barbarico ed oscuro, col passare del tempo non si sono mai più riavvicinati a quei livelli. Penso sia doveroso partire da quei quattro lavori. Subito dopo metterei come band obbligatoria i Manilla Road, nell’arco temporale che li vede protagonisti indiscussi da Crystal Logic sino a Mystification, al top del loro repertorio oscuro, cadenzato ed evocativo. La terza scelta mi trovi in difficoltà…ci sono molti gruppi che avevano chi più chi meno un’indole molto Epic ma non così in evidenza come quelli che ho già citato. Punto su un gruppo che è l’altra faccia della medaglia…a mio parere non si tratta di metallo epico al 100%, viste le tematiche apocalittiche, la voce tutt’altro che evocativa e solenne ed il suono asfittico. Sono i Cirith Ungol di King of the dead, a mio modesto giudizio una perla di Dark/Doom Heavy Metal, che entra benissimo nella categoria Epic Doom per via del riffing cadenzato e grottesco. In campo italiano non posso ovviamente che citare i DoomSword: sono gli unici che hanno ereditato questo modo di intendere l’Heavy Metal.

In ultimo parlerei dei prossimi appuntamenti che vi vedranno protagonisti dal vivo: avete già qualcosa in programma in merito a delle date per promuovere Invincible?

Qualcosa si sta muovendo ma siamo ancora in fase organizzativa, per ora posso confermarti una data ad Arezzo il 16 Luglio ed un Festival assieme a Destruction, Vision Divine e StormLord a Sassari, il 30 Luglio.

Questa era l’ultima domanda e l’intervista è giunta al termine. Grazie mille per il vostro tempo e vi lascio spazio per chiudere a vostro piacimento. A presto!

Ringrazio te, lo staff di TrueMetal e tutte le persone che ci seguono da anni. Per chi ancora non ci conosce spero che questa intervista abbia reso l’idea di un gruppo sincero e con tanta voglia di suonare, nella speranza che la musica di Invincible possa conquistare ciò che a parole non è facile rendere.