Live Report: Pestilence a Roma

Di Francesco Sorricaro - 24 Maggio 2011 - 2:20
Live Report: Pestilence a Roma

Init Club, Roma 20-05-2011

La prima volta non si scorda mai. Vale per qualsiasi cosa, di solito. Chissà se è stato così anche per questa prima calata sul suolo romano dei seminali deathster olandesi Pestilence. Dopo 25 anni di carriera, scorrazzando tra i generi più estremi del metal, nonchè salendo, nota dopo nota, fino a quella ristretta cima riservata alle cult band della scena, la creatura di Patrick Mameli, rigenerata dalle più recenti realizzazioni discografiche, si presenta carica della sua aura di leggenda e vogliosa di essere la protagonista di quella che si preannuncia una bellissima serata, sia per il clima estivo che si respira fuori dalle porte, che per il bill di tutto rispetto chiamato ad accompagnare gli headliner.

 

Foto e report a cura di Francesco Sorricaro

 

NAMELESS CRIME

Ben quattro gruppi si esibiranno prima dei Pestilence. I primi ad avere l’onere/onore di aprire, alle 20.00 in punto, una serata del genere, sono i napoletani Nameless Crime.

Autori di un heavy metal poderoso ma molto melodico e facile alle atmosfere plumbee, i ragazzi hanno fatto valere tutta la loro esperienza e professionalità in una situazione non facile, causa una sala che definire semi-vuota sarebbe un’eufemismo. Ciò nonostante, il gruppo non ha lesinato in presenza scenica, e soprattutto il frontman Dario Guarino si è sgolato e dimenato come un ossesso, interpretando al meglio alcuni tra i migliori brani della loro discografia, tra i quali spiccavano quelli dell’ottimo Modus Operandi, del 2010.

Davvero un esempio di dedizione alla causa.

 

1NE DAY

I triestini 1ne Day, personalmente, non sono riusciti a convincermi. Presentatisi con un face-painting variopinto a seconda di ogni singolo componente (cosa già vista fare agli americani Mudvayne) si sono presentati all’ancora sparutissimo pubblico dell’Init, con quell’atteggiamento anti-sociale che fece, a suo tempo, la fortuna degli Slipknot, dando vita ad uno spettacolo tutto sostanza e cattiveria di circostanza, che in nessun modo ha potuto fugare le facili associazioni mentali con la scena alternative metal di fine anni ’90.

I brani, carichi di tonnellate di groove, sarebbero perfetti per smuovere le prime file di un festival super affollato, e tra loro spicca anche una Black Celebration (vecchio successo dei Depeche Mode) davvero particolare, rivisitata alla loro maniera, ma forse l’ambiente di questa serata non è calzato a dovere sulla loro proposta musicale.

 

CORPSEFUCKING ART

I Corpsefucking Art erano i beniamini di gran parte del pubblico presente. Romani, auto-ironici ed innamorati del gore, hanno scatenato a dovere la platea che, nel frattempo, si era andata riempiendosi.

Con la loro mascotte/serial killer in bella vista che, seduto tranquillamente sulle assi del palco, leggeva il giornale o teneva il tempo agitando le armi più varie nella mano destra, hanno dato vita (o sarebbe più giusto dire morte!) ad uno show energetico e truculento, snocciolando tutti i loro proiettili migliori. La formazione è apparsa affiatatissima e, guidata dal carisma di Claudio Carmenini, la cui vocalità da suino sgozzato si avvicina molto a quella di Niels Adams dei Prostitute Disfigurement, ha trascinato al pogo non poche persone assiepate sotto il palco. Il frontman non si è risparmiato nel muoversi a grandi falcate da un lato all’altro del palco, affiancandosi ai suoi chirurgici compagni che sfogavano tutta la brutalità del loro death metal in una serie di brani killer, il cui culmine è stato senz’altro l’acclamatissima ed ironica No Woman No Grind.

Ottimo spirito, suffragato da un songwriting più che buono, sulla scia delle realtà internazionali più affermate: l’ennesima conferma per i Corpsefucking Art.


                                

ANTROPOFAGUS

Per quanto riguarda me, ma non solo, il ritorno sulla scena dei genovesi Antropofagus, autori di un unico, scintillante album nel 1999, No waste of flesh, è stata una delle cose più gradite degli ultimi anni.

La band di Meatgrinder, con una formazione completamente rinnovata rispetto al passato, ad eccezione ovviamente del chitarrista e fondatore, si presenta a Roma con nuova linfa e con un bagaglio di materiale nuovo da testare in concerto.

Essenziali e di poche parole, gli Antropofagus sono saliti sul palco sicuri dei propri mezzi e, senza badare troppo ai convenevoli, sono subito partiti forte con una delle nuove frecce in faretra: la distruttiva Eternity to Devour. Alla fine saranno ben cinque su otto i nuovi brani presentati, a testimonianza dell’estrema convinzione e fierezza del nuovo corso intrapreso. Tecnicamente inappuntabili, con un Meatgrinder assolutamente sugli scudi, con i suoi consueti fraseggi ad alto tasso di difficoltà, una sessione ritmica di tutto rispetto, nella quale spicca il promettente, nonchè giovanissimo, bassista Mike, e la certezza data dall’ugola oscura e profonda di Tya, i quattro genovesi hanno infiammato e stupito tutti con la precisione assoluta con cui sferravano le loro violente bordate sonore. In attesa solo del come-back ufficiale su disco, annunciato per la fine dell’anno, da questo show, si direbbe che la band non solo sia pronta, ma che non si sia mai fermata, vista anche la padronanza con cui i nuovi elementi danno fuoco a cavalli di battaglia come Recollections of Human Habits e Thick Putrefaction Stink.

La chiusura, affidata a Loving You in Decay ha fatto calare il sipario su un’esibizione convincente da parte del gruppo, grazie anche a pezzi che, seppur inediti per la maggior parte, sono riusciti a coinvolgere per la loro brutalità e stupire per la loro complessità: il marchio di fabbrica degli Antropofagus.

 

A discapito della vecchia foto posta sul manifesto della serata, i Pestilence si presentavano a questo tour con una sessione ritmica completamente diversa, composta dal virtuoso bassista Jeroen Paul Thesseling (già basso negli ultimi due album degli Obscura), che non tornava in  line-up dai tempi di Spheres, ed il giovane Yuma Van Eekelen alla batteria.

L’atmosfera era già sufficientemente surriscaldata quando Patrick Mameli ed i suoi loschi compari si sono presentati sul palco sulle note di The Predication, intro del nuovo album Doctrine, uscito da pochi mesi per Mascot. L’immaginario scatenato dalla fisicità dei quattro è stato, bisogna dirlo, piuttosto scarno, ma ci ha pensato la musica sprigionata non appena impugnati gli strumenti a far calare subito un alone di magia nera sulla serata.

I quattro sono apparsi molto presi dall’atmosfera generale. Patrick, olandese ma di origini sarde, si è detto subito felicissimo di essere sceso finalmente nel sud dell’Italia, oltre che propenso, al più presto, ad organizzare delle date in Sicilia e naturalmente in Sardegna. L’audience, a queste parole, è letteralmente esplosa, tributando ripetuti applausi, oltre ad appellativi tipicamente italici e finanche in sardo, lingua astrusa per i più, ma che Mameli ha dimostrato di comprendere benissimo.

Parlando di musica: era ovvio che l’attesa fosse per una setlist cospicua e ricolma di vecchi classici; è avvenuto tutto l’opposto, invece: lo show è infatti durato un’ora scarsa, visto che, in tarda serata, nel medesimo locale, era già prevista una “fantastica” serata danzante con dj set e, come se non bastasse, la scaletta ha dato pure ampio spazio all’ultimo controverso album del gruppo (scelta quest’ultima che a me, personalmente, è sembrata non troppo indovinata, oltre che indigesta, più della brevità del concerto).


                                

Per fortuna i Pestilence, nonostante qualche piccola sbavatura, in particolare del buon Patrick Uterwijk, dovuta più alla cattiva acustica sul palco che ad altro, sono sempre delle macchine da guerra; la voce del loro frontman graffia ancora come acido muriatico sulla pelle, e questo ha reso il tutto un po’ più sopportabile.

E’ quasi venuto giù il soffitto quando nella stanza sono tuonate le note di brani come Suspended Animation, The Secrecies of Horror o Mind Reflections. Meravigliosi quei tempi sinuosamente martellanti, quella malignità celata dietro ogni riff, che fanno accapponare la pelle di chi gode davvero per queste sonorità, e che hanno fatto la storia della parabola evolutiva dei Pestilence: dal thrash, al death, al technical death metal di Spheres.

Tra una sfuriata e l’altra, le chiacchiere di un inaspettatamente loquace Mameli hanno intrattenuto con grande esperienza il pubblico; gli argomenti sono stati i più disparati, dal tatuaggio fatto poche ore prima presso un noto studio romano, all’omaggio ad una delle sue band preferite, gli americani Master, cui dedica Absolution. Pezzi recenti come anche Salvation e Resurrection Macabre, unico encore scelto per la serata, nella foga della loro veste live sono riusciti anche a fare la loro porca figura; la ciliegina sulla torta è stato poi vederli suonare dal vivo a quel mostro di Thesseling il quale, nonostante il ciuffo improponibile, ha catalizzato l’attenzione di molti sul suo fretless, grazie alla perizia e la velocità con cui lo ha percosso per tutto il tempo, contribuendo a dare nuovo corpo a composizioni abbastanza piatte su disco.

La serata è stata organica e divertente, e segnali tipo l’annuncio di una grandissima sorpresa conclusiva, trasformatasi, dopo la breve uscita dal palco, nell’unico encore sopracitato, possono fare intuire che il protrarsi dell’orario e gli impegni già presi dal locale, abbiano costretto il gruppo ad un taglio ulteriore sulla setlist prestabilita. Alla fine, dunque, chi ha voluto ha dovuto considerare il proprio bicchiere mezzo pieno e consolarsi con una chiacchiera ed una foto con dei disponibilissimi ragazzi olandesi un po’ cresciuti.

I Pestilence si sono dimostrati comunque una band in grande forma e andranno certamente rivisti in futuro, sperando sempre in quella grandissima sorpresa mai concessa….

Francesco ‘Darkshine’ Sorricaro