From The Depths – L’occhio di TM sull’underground – #01-2012

Di Silvia Graziola - 15 Aprile 2012 - 10:00
From The Depths – L’occhio di TM sull’underground – #01-2012

L’occhio di TrueMetal.it sull’Underground – # 01/2012
 

Nuovo numero per la nostra rubrica sull’underground italiano. Qui, e nelle prossime edizioni, troverete informazioni sui demo che ci arrivano in redazione, da sommare alle recensioni dei demo migliori, che continueremo a pubblicare nell’apposita sezione.

Ricordiamo che i sample di tutte le band sono disponibili sulle relative pagine MySpace, segnalate a lato della recensione.

Buona scoperta!

Indice aggiornato della rubrica

Antima
Vain
2011, Autoprodotto
Gothic
Myspace Ufficiale

Tracklist:

01 Alba
02 Edge
03 Filosophic
04 From Today
05 Just Rage
06 Preludio per una Stella
07 Sensation
08 Way for Dawn

Nati nel 2007 gli Antima giungono alla realizzazione di questo “Vain”, vero e proprio disco auto-prodotto che può contare su ben 8 tracce. Il genere proposto dal gruppo è un gothic piuttosto classico che fa della melodia e, soprattutto, della tecnica dei musicisti, i propri punti di forza. I brani sono lunghi, in alcuni momenti verrebbe da pensare forse fin troppo, articolati, in grado di mostrare tutta la maturità negli arrangiamenti di cui gli Antima sono capaci.
Anche sotto il profilo della produzione, non appena si schiaccia il tasto play dello stereo, ci si rende conto del grande sforzo fatto. Pur non avendo una casa discografica alle spalle, infatti, sia i suoni degli strumenti che, in particolare, il mixaggio e i volumi sono convincenti e dimostrano un raro equilibrio.
Cosa c’è, quindi, che non va? Dal punto di vista tecnico-esecutivo, come si diceva, praticamente nulla. Purtroppo è sotto il profilo emotivo che si sarebbe potuto fare di più. I pezzi, infatti, non riescono a colpire fino in fondo come dovrebbero, né nei passaggi più riflessivi, malinconici e d’atmosfera, né in quelli più violenti e grezzi, da cui non emerge a sufficienza la rabbia. Non è un caso che a spiccare, tra queste 8 tracce, siano proprio “Edge”, “Filosophic” o “Way for Dawn”, cioè i brani esclusivamente strumentali, quelli in cui musicisti riescono a lasciarsi andare di più, senza doversi costringere negli stilemi della normale forma canzone.
A differenza di tanti gruppi, però, qui è evidente che i numeri ci siano, con qualche aggiustamento è solo questione di tempo prima che riescano a farsi notare.

Alessandro Calvi

 

Bartosz Ogrodowicz
Forsaken
2010, Autoprodotto
Prog Rock
Sito Ufficiale

Tracklist:

01. Intro
02. Forsaken
03. Dream of Destiny
04. Love
05. Belief
06. Judgement (Part I)
07. Judgement (Part II)
08. Insomnia
09. Stone of Memories
10. Hope
11. Mury Czerni (2010 Version)

Forsaken è il secondo lavoro autoprodotto dato alle stampe da Bartosz Ogrodowicz, un giovane talentuoso tastierista polacco intenzionato a seguire le orme dei suoi miti Kevin Moore, Jordan Rudess, Jens Johansson, Derek Sherinian e Vitaly Kuprij. Il genere proposto nelle undici tracce che costituiscono questo disco si rifà a un certo tipo di progressive rock sinfonico completamente strumentale sulla scia di artisti del calibro di Rick Wakeman e Keith Emerson, caratterizzato da melodie pompose, assoli al fulmicotone e atmosfere oniriche. Un album che mette in evidenza una preparazione tecnica non indifferente da parte del tastierista polacco, oltre a un songwriting che, sebbene in alcuni passaggi risulti un po’ troppo farraginoso e ripetitivo (purtroppo la mancanza dell’elemento vocale alla lunga si avverte eccome), può senza alcun dubbio considerarsi già abbastanza maturo e tutto sommato interessante. Le cattive notizie giungono però da una qualità di registrazione decisamente approssimativa – carente sia per quanto riguarda i volumi che per il missaggio in generale – e, cosa ancora più rivedibile, dalla decisione di riprodurre a computer tutti gli strumenti coinvolti (fatta eccezione per le tastiere), finendo in questo modo per proporre dei brani eccessivamente freddi e, a dirla tutta, anche abbastanza fastidiosi a livello di suoni. Insomma, le potenzialità per fare bene ci sarebbero tutte, ma per il definitivo salto di qualità servono una maggiore cura per i suoni e una qualità di registrazione decisamente migliore di questa. Staremo a vedere.

Lorenzo Bacega

 

Beyond The Shade
Promo [EP]
2011, Autoprodotto
Prog
Sito Ufficiale

Tracklist:

1. Dilemma 5:38
2. Liars 5:14
3. Under Control 5:31

Da Assisi arrivano i Beyond The Shade, band formatasi nel 2009 per proporre uno stile multiforme basato sulle sonorità del prog rock (Porcupine Tree) e di quello derivato dal death sulla scia di ensemble quali, per esempio, gli Opeth. Tre canzoni non sono poi tante per avere un riferimento sufficientemente certo sulla qualità di un gruppo, tuttavia il demo in esame è musicalmente ben fatto; con che riesce a emergere la bravura, inequivocabile, di Daniel Abeysakera e compagni. È una bravura indirizzata verso la ricerca di accattivanti soluzioni armoniche, senza che ci s’intestardisca per ciò in complicate quanto astruse cavalcate in tempi dispari: un evidente retaggio, questo, di quanto proposto a suo tempo dai maestri del death metal melodico, come i Katatonia. Tale concretezza si respira a pieni polmoni, nelle tre canzoni che compongono l’EP. I delicati fraseggi delle chitarre di “Dilemma” fanno da buon contrasto alla voce di Abeysakera, spesso impegnata in un possente growling quando non fluttua sulle eteree, emotive atmosfere di cui è contaminato il sound del quintetto umbro. La caccia alla ‘buona melodia’ è una costante dei Beyond The Shade e, infatti, dopo il ritornello delicato della song appena citata, giunge quello esplosivo di “Liars”, davvero da hit. La durezza dello stile è un altro indizio che porta a mettere a fuoco il death quale stile principale che ha portato allo sviluppo dell’attuale progressive metal. Un po’ di sperimentazione in più si trova in “Under Control”, pur tuttavia senza che si abbandoni la strada maestra della dolcezza. La facilità con la quale i Beyond The Shade riescono a inventare armonizzazioni interessanti, orecchiabili e coinvolgenti rappresenta un valore aggiunto che non deve essere perso. Perseverare please!

Daniele “dani66” D’Adamo

 

Chaos in Paradise
Let the Bliss Remain
2011, Autoprodotto
Death
Sito Ufficiale

Tracklist:

01. Inertia
02. Sign of Deliverance
03. Awareness
04. The Hunter
05. Beyond the Horizon
06. Sanzu River

Provenienti dai dintorni di Oporto, Portogallo, i Chaos in Paradise nascono nel 2008 in seguito all’incontro tra il batterista Quik e il chitarrista Alex, due ragazzi accomunati da una grande passione per il metalcore. I ranghi del gruppo si completano solamente qualche tempo più tardi con l’arrivo del chitarrista Pedro, del bassista 19 e della cantante Sara, dopodiché i cinque lusitani iniziano quindi a scrivere i pezzi che vanno a costituire il tanto agognato demo d’esordio – intitolato molto semplicemente Chaos in Paradise, pubblicato nel 2010. Il genere proposto nelle cinque tracce (più un intro) che compongono questo Let the Bliss Remain, secondo lavoro completamente autoprodotto dato alle stampe nel giugno del 2011, rimane strettamente legato a coordinate stilistiche di matrice prettamente metalcore, più precisamente sulla scia di gruppi quali gli It Dies Today (giusto per citare l’influenza più marcata), a cui si aggiungono inoltre leggere influenze dal sapore più smaccatamente progressive. E’ sufficiente un breve ascolto però per notare che davvero pochi sono gli spunti interessanti all’interno di questo disco, per un lavoro sicuramente più che discreto dal punto di vista formale (buone nel complesso le capacità tecniche del gruppo), ma che purtroppo a livello di songwriting risulta assolutamente banale, a tratti eccessivamente ripetitivo e privo di personalità. Certo, considerando che ci troviamo al cospetto di un gruppo ancora sostanzialmente alle prime armi questa può essere una cosa piuttosto comprensibile e imputabile soprattutto alla scarsa esperienza finora accumulata, motivo per il quale siamo abbastanza fiduciosi che con il prossimo album i Chaos in Paradise potranno fare sicuramente un grande salto di qualità, a patto però che riescano a rendere la propria proposta musicale complessivamente meno stereotipata e più personale di così. Staremo a vedere.

Lorenzo Bacega

 

Hell Baron’s Wrath
Path to Knowledge
2011, Autoprodotto
Black
Sito Ufficiale

Tracklist:

01- Dark Eos
02- Cosmic Light
03- Cruel Summer
04- Asking Points at the Horizon
05- Summon the Teacher (She is the Guide)
06- Drive Your Nails
07- Wolf and the Moon
08- Hail Murder

Gli Hell Baron’s Wrath sono un duo romagnolo nato nel 2004 in quel di Russi. Formata da Daniele “Baal” Balelli (chitarre, basso e programmatore della drum machine) e Alessandro “Ale” Bucci (voce e tastiere), la band si dedica, fin dagli esordi, a un classico black metal, che attinge a piene mani dalla tradizione scandinava.
“Path…to Knowledge”, EP autoprodotto uscito lo scorso anno, è la terza e fin’ora ultima fatica discografica firmata dai nostri. Il lavoro è diviso in otto tracce, di cui due cover, per un totale di 31 minuti di musica. Senza dilungarsi inutilmente, quest’uscita non presenta spunti di particolare interesse: canzoni generalmente mediocri, songwriting non troppo ispirato, poca voglia di osare, zero personalità e dei suoni decisamente penalizzanti caratterizzano il disco in ogni sua parte.
Le chitarre ricalcano, bene o male, stilemi ampiamente usati (per non dire abusati) due decenni fa, tessendo un riffing stanco e poco incisivo, sul quale si adagia uno screaming potente ma impersonale. La sezione ritmica ci è parsa essere l’aspetto più deficitario: la drum machine disegna ritmiche elementari, influendo assai negativamente sulla dinamicità della canzoni e rendendole ripetitive e noiose. Ciò che però disturba è il suono della stessa, estremamente artificiale e poco consono al tipo d’uscita. Il basso svolge un lavoro di poco conto, limitandosi a seguire timidamente le chitarre.
Le tracce, come si diceva in precedenza, non colpiscono, viaggiando quasi sempre su livelli qualitativi insufficienti. Il risultato non migliora neanche quando i ragazzi si cimentano nelle cover dell’immortale Wolf and the Moon degli Ulver e di Hail Murder dei Dark Funeral.
Qualche breve passaggio degno di interesse c’è, questo bisogna ammetterlo, qualche vaga intuizione vincente è rintracciabile all’interno della tracklist, ma è comunque poca roba se paragonata al resto.
Per ora gli Hell Baron’s Wrath si dimostrano ancora troppo deboli per poter sfondare; la voglia di fare non manca ma da sola, purtroppo, non basta. Rimandati dunque alla prossima uscita, che speriamo si riesca ad attestare su livelli qualitativi ben diversi.

Emanuele Calderone

 

Hell Muñeco
Doom Core
2010, Autoprodotto
Doom
Sito Ufficiale

Tracklist:

1. Unbearable Chinese Practice
2. Live Without Innocence
3. Breeding Misery
4. Mr. Hieronymus
5. Therapeutic Obstinacy

Edito nel corso del 2010, il primo demo degli Hell Muñeco non possiede ormai più le caratteristiche della novità fresca di stampa, pur tuttavia mantiene intatte alcune caratteristiche che lo rendono un prodotto degno di un minimo d’attenzione da parte degli appassionati del più classico e tetragono doom metal.
Lento, dilatato, monolitico e massiccio, il concetto musicale del trio di musicisti italiani si manifesta sin dall’inequivocabile titolo di questa primissima uscita autoprodotta, ponendo in evidenza macroscopici punti di contatto con tutto quello che può essere catalogato nel tipico campionario dei grandi di settore. Saint Vitus, Revelation, gli immancabili Sabbath ed un po’ di Cathedral nell’uso della voce, sono capisaldi che non possono sfuggire all’omaggio nel confezionamento di una serie di brani dediti a sonorità scavate e caliginose, imperniate su di un immaginario sulfureo e fosco che a partire dalla coppia di tracce d’apertura, “Unbearable Chinese Practices” e “Live Without Innocence”, dichiara una passione smodata per ritmi opprimenti ed al limite dell’asfissia.
Una ricetta distintiva che sta da sempre alla base di un genere peculiare come il doom e che il trio degli Hell Muñeco pare aver assimilato in modo già piuttosto dignitoso.
Il salto di qualità artistico in una proposta ancora perfettibile, potrebbe tuttavia derivare dall’arruolamento di un batterista vero e proprio (davvero un delitto l’utilizzo della fredda ed incorporea drum machine), dallo sviluppo di una personalità maggiormente spiccata e da una produzione meno sporca e fangosa di quella sin qui ascoltata.
Tutti elementi che ci auguriamo di ritrovare migliorati nella prossima imminente uscita di questa comunque interessante realtà tricolore, attiva in un genere non frequentatissimo alle nostre latitudini e pertanto, ancor più bisognosa di un po’ di supporto da parte degli appassionati di casa nostra.

Fabio Vellata

 

Hot Rod
Back On The Road
2011, Autoprodotto
Hard Rock
Myspace Ufficiale
Email

Tracklist:

1. Headbangirl
2. Jenny
3. Don’t Wanna Be Like You
4. For Those Days To Come

Seconda autoproduzione per gli Hot Rod, band siciliana fondata nel corso del 2006 che, dopo esordi devoti ad un sound di matrice heavy classica, ha progressivamente virato la traiettoria, puntando verso melodie più affini al glam/hard rock anni ottanta.
Un curriculum di tutto rispetto dal punto di vista della credibilità live, non mette al riparo il gruppo da una serie più o meno evidente di particolari ancora perfettibili e da porre a pieno regime.
Ciò che sembra funzionare al meglio, è senza dubbio l’affiatamento strumentale manifestato dal quintetto, diretto con bravura ed estro dal chitarrista e leader Mirko Di Bella. Proprio le chitarre – giostrate con gusto e buona tecnica da Di Bella e dal sodale Christian Balsamo – risultano, in effetti, il punto di forza maggiore della proposta degli Hot Rod.
Quel che purtroppo non convince appieno e pare bisognoso di urgenti migliorie è invece, oltre alla voce del singer Giacomo Pitrè (parecchio “canticchiata” ed insicura sui toni alti), il vero e proprio songwriting manifestato nelle quattro composizioni presenti in questo “Back On The Road”.
Troppo minimale e privo di personalità, appare ancora alla ricerca di una fisionomia definita, capace di affermarsi oltre ad una canonica routine. Alcune intuizioni melodiche di discreta eleganza (“Jenny” e “For Those Days To Come”) ed una buona capacità nel variare registro, passando da toni accesi e divertiti, ad accenni maggiormente drammatici ed emozionali, lasciano ad ogni modo intravedere elementi incoraggianti nell’affrontare un percorso che sarà inevitabilmente lungo ed incerto ma che, con un po’ di esperienza in più ed un po’ d’aiuto in sede di produzione, potrebbe condurre ad esiti sicuramente di miglior profilo ed a qualche buona soddisfazione.

Fabio Vellata

 

No Chrome
Carburator
2011, Autoprodotto
Hard Rock
Myspace Ufficiale

Tracklist:

1. Just Like A Rebel
2. Cluster Bomb
3. I Wanna See You Die
4. Teach Me
5. Bad Little Kid
6. Goodbye Saigon
7. Motel With No Room
8. Pistolero
9. Among The Dust
10. Skull 11
11. I Kill The Last Mammuth

Fondati agli albori del 2008, i cuneesi No Chrome propongono con “Carburator” quella che è la seconda pubblicazione di una carriera ancora tutta da costruire (seguito dell’EP “Among The Dust” edito nel 2009), prima, se considerata la proverbiale lunga distanza.
Undici brani autoprodotti ed orgogliosamente registrati in garage, nella piena tradizione del rock n’roll più grezzo e stradaiolo, per esemplificare un concetto di musica che poco o nulla ha da offrire di nuovo sin dall’immagine da cowboy–bikers, ma che basa tutto il proprio appeal per lo più sull’energia di ritmiche quadrate e sulla solidità di chitarre “grasse” e fiammeggianti.
Aggiungendo poi, il desiderio di non prendersi troppo sul serio con testi impegnativi o troppo profondi (per stessa ammissione del gruppo, incentrati su “bevute, donne di dubbia morale ed improbabili fuorilegge”), il quadro appare decisamente completo ed esaustivo.
Un heavy rock potente sulla scia di nomi celebri insomma, considerati punti di riferimento a dir poco immancabili per generi similari. Black Label Society con una spruzzata di Motorhead, via via, sino a raccogliere qualche sgommata sludge ascrivibile ai Down ed alcuni passaggi che occhieggiano in minima parte ai Mötley Crüe, rappresentano il menù di un piatto tipico che, tra le giovani band, sta acquisendo un fascino sempre più evidente anche alle nostre latitudini.
Gli aspetti perfettibili, va detto, sono ad ogni modo ancora parecchi. Carenza di dinamismo percepibile qua e là in alcune parti statiche e monocordi, una tendenza ad appiattirsi troppo spesso entro canoni eccessivamente stereotipati (il genere, è indubbio, non accetta grandi divagazioni da un canovaccio ben preciso, ma l’idea di deja vu è talora sin troppo persistente) e la voce del singer / chitarrista Luca Pierone, poco modulata negli episodi più tirati (ottima invece nei momenti meno accesi), sono in sintesi, i punti deboli di una proposta non ancora pronta per affrancarsi dal calderone ribollente dell’underground nostrano, seppure già in possesso delle connotazioni, evidenti e manifeste, di eccellente e ben rodata “macchina da guerra” in sede live.

Fabio Vellata

 

Paraxite
Speed Demo-N
2011, Autoprodotto
Thrash
Sito Ufficiale

Tracklist:

01. Brain Surgery
02. Fail of the System
03. Headshot Killing
04. Cannibal Aggression

“Speed Demo-N” è l’esordio della thrash metal band cremonese Paraxite. Si tratta di un mini EP completamente ispirato al movimento thrash metal tedesco degli esordi, quello delle prime pubblicazioni dei vari Kreator, Destruction, Exumer e compagnia bella. Un thrash metal quindi genuino, poco curata nella struttura dei brani, ma con uno slancio alla ricerca di una certa personalità, conferita ai brani grazie ad un riffing sferzante e impulsivo nonché a soli, forse un tantino mediocri a livello armonico, ma assai pungenti. La produzione è la classica da cantina, perchè è la dentro, in presa diretta che è stata fatta… vero? Vi dirò, a noi non dispiacciono per nulla: grezzi, ignoranti e sinceri. Però alla prossima occasione cerchiamo di metterci qualcosina in più a livello di cura di packaging (passatemi l’inglesisimo per pura sintesi) e suoni? Che dite?

Nicola “Nik76” Furlan

 

Scars On Murmansk
Traveling Through The Dark [EP]
2011, Autoprodotto
Death
Sito Ufficiale
Email

Tracklist:

1. Through Dark Places 4:27
2. My Death 4:35
3. Buried Dreams 5:57
4. Blind 4:01
5. Dark New Messiah 5:41

Band dai recenti natali (2010), gli Scars On Murmansk hanno raccolto rapidamente le loro idee per produrre, da soli, “Traveling Through The Dark”, EP di cinque tracce lungo oltre venti minuti. Idee che, basta poco per rendersene conto, sono ben chiare e consistenti malgrado Pierre Bouthemy e i suoi compagni siano assieme da così poco tempo. Il death sciorinato dai transalpini, difatti, è particolare nel suo dinamismo. Certo la potenza non manca, anzi, però è proprio con gli arzigogolati pattern della batteria di Jon Erviti che il combo di Bayonne riesce a caratterizzare in modo personale la propria musica. Le radici classiche si sentono, e anche bene, ma su di esse il tronco che si erge è ben saldo attorno a uno spirito moderno e, addirittura, ammantato da un flavour che sa molto di progressive metal. I riff delle chitarre di Romain Larregain e Cindy Goloubkoff, per entrare nel merito, non seguono l’ortodossia death/thrash che comunemente alimenta il guitarwork del metal estremo. Anche in questo caso non si può che evidenziare il carattere sciolto e assai ricco di movimento degli accordi che formano le ossature delle song di “Traveling Through The Dark”. Un sound elaborato in tal modo trova pochi riscontri, in giro ma, d’altro canto, alla lunga risulta un po’ monotono. La melodia è completamente assente e le dissonanze sono troppe, innanzitutto. Poi, la colpa, forse, è anche del cantato di Bouthemy; aggressivo ma poco distante da un amalgama scream/growl che regala poche emozioni. La prova-disco non è insufficiente, quindi: basta ‘solo’ che gli Scars On Murmansk varino anche il songwriting, così come hanno già fatto per il sound, che i miglioramenti arriveranno. Senz’altro.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

Slaughter Denial
Eyes Of Madness
2011, Autoprodotto
Death
Sito Ufficiale
Email

Tracklist:

1. Nightmare 4:19
2. Smile 4:17
3. Amusement Fork 3:26
4. Maniacal Organized Tragedy 3:46
5. Smegma Violenta 3:26
6. Never! 1:51

Band dai recenti natali (2009), gli Slaughter Denial non hanno perso tempo con le mani in mano e, in men che non si dica, hanno stipulato con la Crash And Burn Records il contratto discografico per dare alle stampe il loro primo full-length, “Treachery”. Prima di esso, questo EP, autoprodotto nel 2010. Evidentemente, le idee sono state tante e chiare sin da subito, giacché “Eyes Of Madness” è formato da sei canzoni per una durata di oltre venti minuti. Non solo, anche il suono mostra un approccio adulto alla questione: roba da ensemble navigati e da gente con una buona dose d’esperienza in sala d’incisione, insomma. La potenza in gioco, difatti, è molto alta ed è correttamente incanalata in un thrash/death assai ordinato e pulito. Forse la seconda tipologia musicale è quella che prevale, disegnando così uno stile dal forte sapore classico, però moderno e in linea con i tempi. Roberto Casorrini e Alessandro Trotto tessono il loro tappeto sonoro con precisione e abilità, evitando di esagerare con la rapidità di esecuzione ma, anzi, creando un rifferama solido e possente, dalla durezza elevatissima. Infarcito di dissonanze che rendono l’impatto davvero arduo da assorbire con facilità. Seguendo questa impostazione, anche la sezione ritmica (Claudio Colantoni al basso e Simone Tempesta alla batteria) non si addentra volentieri nei territori del blast beats, preferendo al contrario mid e up tempo spezza-ossa. Fabrizio Losapio rifinisce tutto quanto con la sua ruvidissima interpretazione, ai limiti della follia scream, rendendo così uniforme il taglio compositivo delle canzoni: delle belle scudisciate sulla schiena, per sintetizzare al massimo, date con accuratezza, gagliardia e crudeltà. Sonora, beninteso.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

Syne
Boundaries of Hope
2011, Autoprodotto
Prog
Sito Ufficiale

Tracklist:

01. Room 432…
02. So What
03. Brand New Breathe
04. Hurting Words
05. Another Day
06. Sleepless
07. No Use in Wonders
08. Slow Me Down
09. No More Clouds
10. Boundaries of Hope

Primo full length (completamente autoprodotto) per i piemontesi Syne – abbreviazione del termine Synesthesia – progetto nato nel 2010 nei dintorni di Torino dalla mente di Fabio Marchisio, con l’idea di “unire molteplici influenze musicali in maniera organica per ricreare diversi stati d’animo e sensazioni”. Particolarità del gruppo è il fatto di utilizzare accordature aperte a 432hz invece delle canoniche 440hz, scelta stilistica che, almeno stando a quanto precisato dalla band stessa, “permette ai brani e agli strumenti di avere un più ampio respiro ed una maggiore quantità di armoniche, rispetto all’intonazione standard”. Il genere racchiuso nelle nove tracce (più un intro strumentale) che compongono questo Boundaries of Hope rimane a cavallo tra post metal, progressive e prog rock, per una proposta musicale influenzata in egual maniera da gruppi del calibro degli Opeth più progressivi, Tool, Rush, Riverside, Porcupine Tree e Pain of Salvation. Un lavoro che non fa certo leva sull’innovazione a tutti i costi, ma che tuttavia mette già in evidenza una discreta personalità da parte del combo torinese, oltre a un songwriting che, seppure ancora piuttosto acerbo e talvolta un po’ troppo lacunoso – soprattutto per quanto riguarda delle composizioni in certi frangenti poco incisive e prive di mordente –, lascia comunque intravedere delle eccellenti potenzialità. Insomma, un gruppo sicuramente promettente e da tenere ben a mente per il futuro.

Lorenzo Bacega

 

While Sun Ends
The Emptiness Beyond
2011, Autoprodotto
Death
Sito Ufficiale
Email

Tracklist:

1. Last Moments 5:51
2. The Stage 4:59
3. Reminiscence 5:01
4. Winter 7:00
5. Self Made God 7:23
6. Concubine 8:09
7. Sarvar 5:11
8. No Door Room 5:16

I While Sun Ends nascono a Bergamo nel 2008. Carlo Leone (basso e voce), Enrico Brugali (batteria) e Massimo Tedeschi (chitarra) solo con l’ingresso di Serena Caracchi (voce), nello stesso anno, riescono a dare alle stampe il loro primo lavoro, un EP autoprodotto di sei tracce (“Exile”). Quest’anno, con l’innesto della seconda chitarra (Diego Marchesi), giunge finalmente il momento della realizzazione del full-length d’esordio, anch’esso interamente autoprodotto (“The Emptiness Beyond”). Per essere una band teoricamente acerba, i While Sun Ends propongono coraggiosamente una complicata miscela di prog e death metal, con altre contaminazioni derivanti essenzialmente dal black, versante depressive. Quest’ultima intrusione nella base essenzialmente death che connota meglio lo stile del gruppo, ne stabilisce l’umore; affondandolo in una corposa atmosfera tetra e decadente ove narrare dei temi centrati sulle contraddizioni della natura umana e su considerazioni riguardanti le società. L’operazione ideata dai Nostri non è per nulla semplice, tuttavia la storia musicale del CD si svolge con efficacia e decisione lungo quarantotto minuti pieni zeppi di frammenti multicolori messi assieme con la sufficiente precisione sì da creare uno stile personale e abbastanza originale. Il suono marcio delle chitarre ben si sposa con il mood delle canzoni, lunghe e articolate a sufficienza per far capire quale sia la filosofia artistica del combo lombardo. Accanto a momenti di brutalità, sottolineati dal feroce growling di Serena, ci sono molti passaggi più soft, in cui è la versione clean – più debole e sicuramente da migliorare rispetto a quella ‘cattiva’ – della cantante stessa, a farla da padrona. La creatività e la determinazione ci sono, in “The Emptiness Beyond”. Manca solo l’allenamento. Quindi, malgrado le tetre tinte dell’artwork, per i While Sun Ends si può vedere un futuro potenzialmente roseo.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

Eyeconoclast
Sharpening Our Blades On The Mainstream
2011, Downfall Records
Death
Sito Ufficiale
Email

Tracklist:

1. Sharpening Our Blades On The Mainstream 3:23
2. Anoxic Water 4:52
3. XXX – Manifest Of Involution 4:18

Un’introduzione ambient dal piglio cyber-tech e via, “Sharpening Our Blades On The Mainstream” esplode come una bomba nucleare. Gli Eyeconoclast fanno davvero paura, con il loro devastante death metal di matrice futurista; come peraltro lascia intuire l’artwork di questo EP inciso con la label svedese Downfall Records che, giusto per gradire, nel 2009 ha ri-registrato il full-length autoprodotto dai romani nel 2008, “Unassigned Death Chapter”. Il dischetto in questione, dall’evidente foggia professionale (sono presenti pure i testi delle tre canzoni), presenta una band in piena forma, autrice di una terremotante versione del genere sopra menzionato. La furia messa sul campo è davvero impressionante e non vengono in mente poi tanti act, ad avere infilato in un CD una dose di energia così elevata. Forse i defunti Myrkskog, fenomenali autori di una miscela allucinante di brutal/cyber death metal. O i primi Zyklon. Comunque sia, gli Eyeconoclast non si fanno travolgere dalla loro stessa veemenza, mantenendo anzi ben salda l’attenzione sull’ordine compositivo e sulla pulizia d’esecuzione. Sinonimo evidente di una padronanza completa della strumentazione e di una più che sufficiente chiarezza d’idee. Non manca, qua e là, un po’ di melodia (“Anoxic Water”), anche se il growling rabbioso di Filippo Palma è talmente aggressivo da spazzare tutto e tutti. Non solo, anche il resto dell’ensemble capitolino fa la sua parte. Lo spaventoso muro di suono tirato su dalle chitarre ha la sua armatura in una sezione ritmica super-veloce e, nello stesso tempo, poderosa (“XXX – Manifest Of Involution”). Se questo lavoro è l’antipasto di un album dalla realizzazione imminente, se ne vedranno delle belle: gli Eyeconoclast sono pronti per radere al suolo l’auditorio.

Daniele “dani66” D’Adamo