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Diamond Head (1982)

Di - 23 Aprile 2010 - 12:23
Diamond Head (1982)

Intervista ai Diamond Head nella persona del cantante Sean Harris da parte di Piergiorgio Brunelli tratta dalla rivista Rockerilla numero 29 del dicembre 1982.

I Diamond Head, insieme con i conterranei Tygers of Pan Tang e a tanti altri si esibiranno al prossimo Play It Loud Festival che si terrà dal 29 al 31 ottobre 2010 in quel del Mac2 di Schio (Vi).
 
Buona lettura
 
Steven Rich

 

INTERVISTA A SEAN HARRIS


Sorge ai lati di una landa desolata e grigia, circondata da case anonime: questo è l’Apollo di Manchester, lo specchio di una città spenta, dove la disoccupazione raggiunge livelli inimmaginabili. È una città strana e di fianco a negozi chiusi può capitare di ammirare una splendida esibizione di sontuose sale da bagno che farebbero invidia ad un sultano; anche l’Apollo non è immune dalle contraddizioni create dalla pesante atmosfera che si respira in città: un cartello all’entrata del locale annuncia, infatti, con toni trionfalistici la presenza di un nuovo fornitissimo bar nella galleria. Peccato che sia sempre chiuso per mancanza di pubblico, il che costringe gli organizzatori a limitare l’accesso alla sola platea. Nonostante la crisi generale ci troviamo però di fronte ad un teatro meta costante di quasi tutte le grosse tournée: dagli AC/DC ai Whitesnake, ai Black Sabbath. Alla prima tournée importante della loro già lunga CARRIERA i DIAMOND HEAD non potevano non fare tappa a Manchester, ecco così che il BORROWED TIME TOUR trova nell’Apollo il suo punto di partenza.

Per SEAN HARRIS e compagni si tratta di un momento importante: dopo anni di autoproduzione e di speranze deluse è arrivato finalmente il contratto con la M.C.A. seguito dal primo album ufficiale. I fans sono presenti in gran numero: loro sono stati gli unici a rimanere fedeli ai Diamond Head per tutti gli anni della loro militanza nell’ambito della musica Rock.
 
– Siamo stati costretti e sostenere sempre le spese da soli per cui talvolta si sono organizzati concerti in locali piccoli e sconosciuti, davanti a non più di 50 persone; altre volte siamo stati più fortunati facendo da spalla a grossi nomi come gli AC/DC, gli Iron Maiden, i Black Sabbath e in ogni caso il pubblico è sempre stato dalla nostra parte.
 
Le case discografiche invece non ne hanno voluto sapere per anni, nonostante il gruppo godesse di una grossa fama ed annoverasse uno dei Fan-club più consistenti d’Inghilterra. Il loro primo album “Lightning to the Nations” fu addirittura autoprodotto e autodistribuito ai concerti. In Europa il disco è reperibile solo come Import dalla Germania.
 
– La copertina dell’album stampato in Germania è qualcosa di atroce, è stata fatta senza il nostro consenso. Abbiamo anche tentato di fermare la produzione citando la casa discografica, ma per ora non siamo riusciti a concludere nulla contro di loro.
 
La firma del contratto a lungo termine con la M.C.A. ha finalmente posto fine a questa situazione frustrante aprendo loro le porte verso un probabile successo.
 
– Molti gruppi nel momento in cui arrivano all’agognato contratto pensano soltanto a fare un disco e a guadagnare soldi, dimenticandosi dei loro doveri nei confronti dei fans. Spesso non si preoccupano della qualità del prodotto che offrono al pubblico ed alla casa discografica. La copertina è sempre vista come qualcosa di secondario rispetto alla musica e spesso i nuovi gruppi presentano delle cose veramente orribili. La copertina invece è Il primo elemento che l’acquirente nota; assai prima della musica e può essere il motivo che fa decidere l’acquisto. E’ per questo che abbiamo pensato molto alla copertina. Molti la danno in mano e compagnie come la Hypgnosis ma non si rendono conto che solo il gruppo stesso sa quale artwork gli si addice. L’ultima copertina veramente meditata è stata ‘Rainbow Rising’ nel ’77; noi ci siamo orientati su qualcosa di esoticheggiante per creare quel feeling che l’immagine di un deserto può dare, senza tuttavia una direzione ben precisa da seguire; vorremmo evitare di sembrare una pop band.
 
Rodney Matthews sembra essere molto attivo in campo discografico quest’anno: dopo aver ideato gli albums degli Eloy, Bitches Sin, Split Beaver, eccoci di fronte ad un ennesimo lavoro di questo autore strettamente legato ad immagini ricche d’atmosfera, sensibilmente radicate in un mondo spesso combattuto fra il bene ed il male, fra il malvagio e l’innocente, un mondo di mostri e fate, di diavoli e maghi che rievocano qualcosa di molto spirituale appartenente ad un mondo lontano. L’eterno contrasto tra Inferno e Paradiso?
 
– Se fosse stato per Rodney sarebbe stato solo Paradiso: quello che vedi è il quarto schizzo, frutto di accesi contrasti e della mia imposizione sul progetto iniziale. Poteva addirittura essere migliorato ma lui non ne ha voluto sapere di farne un altro. Il 60% del disegno è una mia idea, io ci ho messo una certa cattiveria, un che di satanico che è in antitesi con il suo stile. Non che a me piaccia ciò che è satanico, ma la minacciosità che il malvagio riesce a creare mi affascina. La front-cover ha un’atmosfera molto più potente, sinistra e angosciante rispetto al retro che è un disegno tipico di Matthews.
 
 
II primo album dei DIAMOND HEAD era una gemma di puro, vitalissimo hard rock, carico di un’incredibile energia elettrica, con venature di dark sound compenetrate in una struttura singolarmente incisiva.
 
– AM I EVIL è un brano che ho voluto scrivere ispirandomi a “SYMPTOM OF THE UNIVERSE” dei Black Sabbath; c’è voluto un anno per completarlo ed è strutturato in modo tale da poter essere soggetto a variazioni che possono sopravvenire nel tempo.
 
Il feeling che attualmente pervade il gruppo fa mancare, almeno su vinile, quella immediatezza caratteristica della passata produzione.
 
– Stiamo maturando musicalmente e, questo lo debbo ammettere, c’è meno aggressività che non nel passato. A noi non piace essere considerati allo stesso livello di tanti altri gruppi che fanno sempre lo stesso hard aggressivo, veloce e ripetitivo. Nessuno dopo i Led Zeppelin è riuscito a creare niente di nuovo in quella che è classificata come musica rock. Gli unici sono forse i Motorhead nel loro genere, sicuramente i Rush sono riusciti a dare qualcosa di singolarmente positivo riuscendo a progredire in una direzione diversa dal solito. La cosa più importante è non essere statici ovvero non ripetere se stessi. Per me immediatezza è sinonimo di commercialità, se ci troviamo a parlare di HEAVY METAL.
 
Come reagiranno i fans a questo velato cambio di direzione?
 
– La maggioranza dei nostri fans conosce molto bene tutti i brani compresi nell’album per averli sentiti tante volte ai nostri concerti: la scelta è stata molto influenzata dai loro gusti, dalle loro reazioni. In effetti le songs sembrano meno immediate rispetto al passato, ma come tali penso che la loro popolarità possa durare molto di più. Ad esempio AM I EVIL ha un effetto più istantaneo rispetto a BORROWED TIME, ma sicuramente la seconda sarà maggiormente apprezzata in futuro.
 
 
Neil Peart (Rush) un giorno ha detto: la perfezione della semplicità sta nel prendere buone idee ed essere molto “tecnico”, così tutto sembrerà tanto semplice da fare sensazione. DON’T YOU EVER LEAVE ME è invece un brano molto indulgente al virtuosismo. Forse brani come IT’S ELECTRIC o SUCKING MY LOVE sarebbero stati più adatti, perché più consoni allo stile dei DIAMOND HEAD…
 
– Non trovo che DON’T YOU… sia inadatto: è un brano d’atmosfera che dal vivo ha un suo fascino. Il problema è sicuramente legato al nostro disamore per il lavoro in studio. Il feeling che fa creare la buona musica è spesso legato ad un momento, a volte si riescono a trovare attimi di perfetta intesa in cui tutto riesce magnificamente, attimi che è assai raro ricreare. E ciò è ancor più vero per la musica rock. In studio questi momenti sono difficili da trovare, non c’è atmosfera, non c’è quell’aggressività e quella carica che il pubblico ti trasmette in un concerto e questo ci dà non pochi problemi.
 
II concerto di Manchester è stato una vera bomba! Fra i DIAMOND HEAD e il pubblico c’è stato quel contatto che ha acceso la scintilla. E’ stato uno di quei momenti dove tutto funziona a dovere come in un orologio svizzero. II metallo vivo ha cominciato a scorrere a fiumi travolgendo ogni ostacolo, spinto da anthems come PLAY IT LOUD, IT’S ELECTRIC e I AM EVIL. Così, mentre l’incandescente Apollo fa dimenticare per un attimo l’apatia di una Manchester dai mille problemi si fa largo una certezza: è nata una nuova stella dell’hard-rock, DIAMOND HEAD è il suo nome!
 
 
PIERGIORGIO BRUNELLI
 
 
 
Articolo a cura di Stefano “Steven Rich” Ricetti