Heavy

Recensione Libro: ‘Never Surrender – autobiografia di Biff Byford (Saxon)’

Di Stefano Ricetti - 18 Ottobre 2010 - 10:44
Recensione Libro: ‘Never Surrender – autobiografia di Biff Byford (Saxon)’

Never Surrender

L’Autobiografia di Biff Byford, la voce dei Saxon
di Biff Byford e John Tucker

256 pagine

ISBN 978-88-96131-18-3

18,50 Euro

Tsunami Edizioni

http://www.tsunamiedizioni.com/
 

 

 

Il 27 agosto del 2007, a chiosa della recensione di Never Surrender in edizione originale in lingua inglese, edita da Iron Pages, azzardai: “dubito fortemente che l’opera venga tradotta in futuro in italiano”  

In questi casi, essere felicemente smentito più di tre anni dopo, significa autentico godimento. La sempre attenta e attiva casa editrice Tsunami Edizioni ha avuto la brillante idea e la prontezza di spirito di far (ben) tradurre a Stefania Renzetticuriosa l’affinità fra il nome il cognome della  signora e quelli del sottoscritto – il libro di John Tucker nel tricolore idioma, quindi fruibile a tutti.

Rispetto all’opera prima, questa mostra davvero una marcia in più: come al solito noi italiani per questioni di stile, eleganza e intuizioni, sbaragliamo la concorrenza. Never Surrender, infatti, si presenta con una copertina molto più bella, ficcante e monumentale nel vero senso del termine se paragonata a quella originale, simpatica ma anonima e non all’altezza di un personaggio come Biff Byford. Partendo dal formato, l’edizione nostrana guadagna in centimetri: due in altezza e uno in larghezza, sdoganando quindi la configurazione pocket – seppur affascinante nella sua semplicità – e assestandosi più vicina alla categoria libro. Impagabile poi, l’inserimento di ritagli di giornali d’antan e la “Esse” sassone in bassorilievo su tutte le pagine, a marchiare a fuoco l’opera. Per quanto attiene le foto a colori, sono state riportate fedelmente quelle della Iron Pages e raggruppate tutte insieme.  

La biografia di quello che da sempre viene identificato come simbolo stesso degli Stallions of the Highway inglesi, Peter Rodney Byford detto Biff, di professione cantante, viene riportata egregiamente, da parte di Stefania Renzetti, che coglie il giusto spirito dell’opera traducendo al meglio quanto traducibile ma soprattutto aggiungendo delle azzeccatissime note a piè pagina quando necessario. Non solo in occasione delle espressioni inglesi utilizzate, ad esempio, nel testo di una canzone, ma anche nei casi nei quali vengono citati personaggi, luoghi o semplicemente modi di dire che abbisognano di un minimo di approfondimento per potersi gustare appieno il racconto.

La parabola del singer lungocrinito è per molti versi affine ad altri pilastri della musica dura mondiale, assimilabile a gente del calibro di Lemmy per quanto attiene i Motorhead o Dave Brock degli Hawkwind. Personaggi senza i quali per una band non avrebbe proprio senso continuare… impensabile immaginare qualcun altro dietro al microfono delle Teste di Motore o del fiero guerriero Sassone.

La storia di Biff Byford parte dagli albori, ossia da quando il piccolo Peter inizia fisicamente a muovere i primi passi (e ad allungare le zampe… ah,ah,ah!), passando per le giornate nelle quali girava l’Inghilterra con il nomignolo di “tripe band” fino ad arrivare al periodo The Inner Sanctum, fatica discografica del combo inglese targata 2007. Per certi versi la parte iniziale del libro contiene parecchie similitudini con White Line Fever, ovvero la biografia del Suo prode pard di scorribande elettriche Ian Fraser Kilmister. I ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza scorrono abbastanza bene, anche se va sottolineato che Lemmy, in queste occasioni, è stato molto più preciso di Biff, che però piazza qualche rivelazione degna del gossip tanto in voga al giorno d’oggi, come quando svela bellamente in che modo abbia perso la verginità, “per mano” di due intraprendenti signore.

In generale, materiale interessante ce n’è a go-gò. Alcune chicche: durante l’interpretazione di To Hell and Back Again in studio Biff è svenuto dal tanto “tirava”; Strong Arm of The Law l’avrebbe voluto intitolare Heavy Metal Thunder poi in realtà la casa discografica ha deciso diversamente; da gran mandrillo qual era al primo tour giapponese s’è beccato la Gonorrea (scolo) e mi fermo qua per non rovinare le numerose successive sorprese – anche a carattere sessuale – ai tanti metallari che compreranno il libro. Interessanti, poi, le citazioni che di tanto in tanto fanno capolino, riguardo il Nostro paese. Never Surrender contiene inoltre le tantissime ammissioni di colpa da parte di Peter Rodney, sugli innumerevoli errori commessi durante la carriera dei Saxon. Non da meno anche quelle di tipo personale: inammissibile, e da vero scapestrato, quando non è stato capace, in gioventù, di assumersi le proprie responsabilità di fronte a ben due figli, lasciando nella emme la moglie Linda che, ovviamente, tornò a vivere dai propri genitori. Anni e anni dopo ne sposò un’altra, conosciuta nel periodo di Power And The Glory, ossia quello dove l’attività fisica amatoriale di Biff era così intensa che lo portò ai limiti del collasso.     

Luci e ombre all’interno del Suo comportamento in ambito Saxon, dove in alcuni stralci addirittura si fa passare da carnefice a vittima: in realtà la verità delle cose resterà per sempre dibattuta fra le Sue dichiarazioni e quelle degli altri ex membri originali. Quello che è certo invece, e che nessuno può mettere in discussione – peraltro anche Biff lo sottoscrive a nove colonne – è che la prima incarnazione della Band, quella con la line-up Gill/Quinn/Byford/Oliver/Dawson costituiva una corazzata inaffondabile, unita e indistruttibile, formata da cinque tamarri della working class che volevano spaccare il mondo con il proprio heavy metal duro, feroce e violento. Uno per tutti e tutti per uno, non uno slogan ma un naturale modo di comportarsi in ambito Stallions.  

Questo concetto così viscerale di “band”, all’epoca, fra i big dell’HM classic, solo i Saxon e pochissimi altri potevano vantarlo. Gli Iron Maiden erano già una creatura di Steve Harris così come i Motorhead di Lemmy. Fra le tante ammissioni di errori spiccano quelle relative al fatto di essere partiti per il Denim And Leather Tour senza aver aspettato che Pete Gill si rimettesse da un problema fisico, sbattendolo fuori senza pietà e rimpiazzandolo con Nigel Glockler, un comprimario o poco più. Oppure quando Biff ha praticamente consegnato l’intero piano di carriera dei Saxon nelle mani del manager Nigel Thomas e da lì gli infiniti problemi con le miriadi di produttori e i dubbi sulle scelte artistiche da effettuare. Si dimostra altresì onesto quando, in occasione delle sei settimane di tour negli Usa insieme con gli Iron Maiden, ammette che quando i Saxon hanno spaccato, nella migliore delle ipotesi, sono riusciti solamente a raggiungere le vette toccate da Dickinson & Co.

Molto interessante, e per certi versi inaspettato, il peso che viene dato da Biff alle varie recensioni che escono e riguardo i testi dei primi album non si nasconde, anzi rincara la dose, dicendo che alcuni erano veramente impresentabili. D’altronde il Sassone puntava diretto all’attacco frontale, l’ultima cosa che poteva interessare erano le liriche.

Tutto ruota intorno a quelle due ore sul palco, la gente normale, quella che non è stata rovinata dalla musica, proprio non lo capisce. Ma credetemi, a conti fatti è un mestiere fantastico. E’ sicuramente meglio che lavorare”. Biff Byford.

Never Surrender: libro immancabile nella biblioteca dei tanti appassionati dell’aquila britannica, ma non solo.   

Have a glorious Heavy Metal Thunder.

Stefano “Steven Rich” Ricetti