Live Report: Lynyrd Skynyrd alla O2 Arena di Dublino

Di Redazione - 15 Marzo 2010 - 10:06
Live Report: Lynyrd Skynyrd alla O2 Arena di Dublino

Johnny: I think it’s gonna be good night here Rickey
Rickey: I think it’s time to rock
Johnny: It’s gonna be a hell of a show!

Ditemi quello che volete ma non cambierò la mia idea: questo pezzo è uno di quei brani concepiti a tavolino con il fine ultimo di aprire lo show. Corto, esplosivo, con il duetto iniziale che mette subito in evidenza i due membri fondamentali dell’attività sul palco (Johnny Van Zant e Rickey Medlocke) e si apre in un ritornello che lascia ben poco spazio all’immaginazione o all’introspezione. ‘Skynyrd Nation’ è stato pensato, scritto e suonato per essere utilizzato come opener. Ed è praticamente perfetto per l’occasione. Tante volte ci si lamenta di questi famigerati “pezzi del disco nuovo” che entrano in scaletta rubando posto ai classici e soprattutto rubando ai classici il retaggio di apripista (vedi la rimozione dal trono di Electric Eye, per citare un precedente illustre).
 
Non succederà stasera, perchè il disco che ha riportato gli Skynyrd sui palchi di tutto il mondo, God & Guns, non solo è un disco di assoluto rispetto ma uno dei migliori frammenti di musica sentiti dallo scoccare del nuovo millennio. Saranno 3 gli estratti e nessuno sarà di troppo. Sappiamo comunque tutti, compresi i Lynyrd Skynyrd, che chi stasera ha risposto presente all’appuntamento con la storia del rock e della musica, presentandosi ai cancelli della O2 Arena di Dublino – una delle tante che la Telefónica Europe ha aperto e sta arendo in Europa continentale e Gran Bretagna – lo ha fatto in nome di quei magici anni corsi tra il 1973 e 1977. Ed eccolo allora il primo classico, il primo capolavoro dei tanti che stasera animeranno la scaletta: ‘What’s Your Name’, con centinaia di tacchi degli immancabili stivali che dettano il ritmo sul pavimento della O2 Arena e le voci che si alzano a scandire forte e chiaro uno dei ritornelli più travolgenti della serata. Esce allo scoperto anche l’attitudine vincente di Peter “Keys” Pisarczyk, nuovo ingresso in formazione in sede di tastiere dopo la scomparsa di Billy Powell di pochi mesi or sono, l’ennesima di un gruppo assolutamente martoriato dal destino in ogni modo possibile. L’altro nuovo innesto, anche questo in seguito a una scomparsa recente, quella di Ean Evans, porta il nome di Robert Kearns. A lui sono affidate le 4 corde degli Skynyrd.
 
Mentre i primi due leggendari album rimangono sornioni nascosti da qualche parte in scaletta, la selezione passa con regolarità da ‘Street Survivors’ a ‘Gimme Back My Bullets’: da ‘What’s Your Name’ il testimone passa proprio alla title-track ‘Gimme Back My Bullets’. È tempo di giocare con un po’ di boogie e rendere omaggio al lavoro di Steven Earl Gaines con ‘I Know a Little’: fondoschiena che scuotono e atmosfera eletrizzante dettata dal trittico di chitarristi prima che ‘That Smell’ concluda questa doppietta tutta ’76-’77. Ed eccolo il tanto atteso ingresso di (Pronounced ‘Lĕh-‘nérd ‘Skin-‘nérd) con niente meno che ‘Simple Man’ e la prima partecipazione completa dell’arena che accompagna le linee vocali di Johnny Van Zant per tutto il pezzo.
 
Tra il pubblico non mancano coppie con figli, vecchie glorie, giovani con gusto e centauri accorsi in frotte e testimoniati da una discreta selva di moto parcheggiate sul lungofiume verso l’arena. Alla vista di intere famiglie giunte a onorare la storia della musica non può non scattare l’immancabile riflessione dettata dal solito pensiero pessimista: dove finirà la bella musica, quella di classe, quando band e musicisti come questi non ci saranno più? Un giorno, dove saranno accompagnate le giovanissime leve del rock quando band come queste diranno basta? La vedo grigia.
 
Classici e ancora classici per la gioia di tutti. La band introduce un medley che si apre con ‘Whiskey Rock-A-Roller’, primo e unico estratto della serata da Nuthin’ Fancy, terreno in cui le due coriste stile gospel che accompagnano la band trovano la loro dimensione. ‘The Needle and the Spoon’ ha invece il compito di dare il benvenuto a ‘Second Helping’, che ritroveremo ovviamente con gran piacere più avanti. Conclude il trittico ‘Down South Jukin’, estratto da ‘Endangered Species’ e unico brano a non appartenere nè all’era prcedente all’incidente aereo o all’ultimo God & Guns. Gran pezzo, comunque, uno dei migliori scritti durante il nuovo corso della band.
 
Trainati da John Roy “Johnny” Van Zant – buon sangue non mente – i signori del southern rock arrivano a un altro appuntamento molto atteso della serata, quello con ‘Tuesday’s Gone’. Le parole sarebbero davvero di troppo per un pezzo che ha segnato più di una generazione. Basti dire che la ballatona mantiene tutte le aspettattive. La band è tutta brava ma Johnny Van Zant e Rickey Medlocke, fresco di 60 appena compiuti, sono sicuramente i due trascinatori. Mentre l’unico superstitie della formazione originale Gary Rossington sembra non essere troppo interessato a mettersi in prima fila è Medlocke, vecchio amico di famiglia degli Skynyrd e con la band dal 1996, a fare da spalla a Van Zant e infiammare il pubblico.
 
‘God & Guns’ e ‘Still Unbroken’, una dopo l’altra, servono a ribadire la qualità assoluta del nuovo arrivato. Poi, largo alla storia del Southern Rock. ‘Gimme Three Steps’ è un eletrizzante capolavoro, peccato che proprio Gary Rossington non sembri troppo convinto sui lead di chitarra. Il pezzo non perde comunque il suo fascino e il suo carisma e il pubblico non se lo fa chiedere due volte e si lascia trascinare fino a un altro immancabile appuntamento della serata: ‘Call me the Breeze’. Il riff iniziale, all’epoca concepito per una sola chitarra, trova l’appoggio di tastiere e colleghi alle 6 corde, con il risultato di una certa pienezza di suono che lascia tutti spiazzati. Anche qui gli Skynyrd fanno ben pochi prigionieri e il lungo assolo finale lascia spazio a tutti per un piccolo siparietto personale.
 
Tempo per Johnny Van Zant di introdurre la band ma soprattutto uno dei due pezzi dei (fu) ragazzi di Jacksonville, capace di invadere il mercato mainstream e la cultura popolare di almeno 3 generazioni: ‘Sweet Home Alabama’ è il più acclamato della serata e difficilmente sarebbe potuto essere diverso. Una piccola pausa e l’Encore si presenta come da copione sulle note della conclusiva ‘Freebird’, altro monumentale pilastro della storia del rock anni ’70.
 
I saluti e le raccomandazioni in pieno stile sudista trovano la simpatia anche di chi, come il sottoscritto, ha ben poca fiducia nelle pistole e ancora meno in Dio. Ma questa sera è tutta dei Lynyrd Skynyrd e dal palco della O2 Arena hanno la licenza di dire qualsiasi cosa riscuotendo comunque gli applausi. Dopo 90 minuti di musica come questa, c’è ben poco da rimproverare a questi signori della provincia americana. Anzi a loro va l’applauso per aver riportato in vita una band fondamentale della nostra musica.
 
È stata una serata di gran classe, quella che manca in molti dei loro successori oggigiorno. Avrebbe aperto ulteriormente il cuore sentire una ‘Swamp Music’ o una ‘The Ballad of Curtis Lowe’, ma come dicono i grandissimi Stones “you can’t always get what you want” e agli Stones non si può che dare ascolto.

Setlist:
Skynyrd Nation
What’s Your Name
Gimme Back My Bullets
I Know a Little
That Smell
Simple Man
Whiskey Rock-A-Roller
The Needle and the Spoon
Down South Jukin’
Tuesday’s Gone
God & Guns
Still Unbroken
Gimme Three Steps
Call me the Breeze
Sweet Home Alabama
– – –
Free Bird

Alessandro ‘Zac’ Zaccarini