From The Depths – L’occhio di TM sull’underground – Novembre/Dicembre 2009

Di Angelo D'Acunto - 30 Novembre 2009 - 15:43
From The Depths – L’occhio di TM sull’underground – Novembre/Dicembre 2009

L’occhio di TrueMetal.it sull’Underground – # 04/2009

Nuovo numero per la nostra rubrica sull’underground italiano. Qui, e nelle prossime edizioni, troverete informazioni sui demo che ci arrivano in redazione, da sommare alle recensioni dei demo migliori, che continueremo a pubblicare nell’apposita sezione.


 

Ricordiamo che i sample di tutte le band sono disponibili sulle relative pagine MySpace, segnalate a lato della recensione.
Buona scoperta!

Indice aggiornato della rubrica

Novembre/Dicembre 2009=”#ffffff”>=#ffffff>
Ever Rain
Raven Tide

2009, Autoprodotto
Gothic
=#0000f8>
=”#ffffff”>
=#ffffff>
=#ff0000>
 

www.myspace.com/raventide

Tracklist:

01 Stillness
02 Alfirin Alagos
03 Doom Reveil
04 End to the Flame
05 Lucifer Bliss

Nati all’inizio del 2009 come rifondazione del precedente progetto chiamato Ever Rain, i Raven Tide arrivano in brevissimo tempo alla realizzazione di questo demo di cinque brani.
Il genere proposto dal gruppo è un gothic metal con voce femminile piuttosto classico in cui fanno capolino influenze
sinfoniche nei passaggi melodici e negli stacchi eterei e leggermente più heavy nei momenti più aggressivi. L’effetto finale è di una buona omogeneità tra questi elementi all’interno del singolo brano e in generale tra tutte le canzoni che
compongono il cd. Purtroppo, però, questo penalizza anche l’effetto generale del sound del gruppo rendendolo meno originale di quanto avrebbe potuto essere. Il risultato più evidente è che a un ascolto meno che attento le cinque tracce di “Ever Rain” suonano solo come l’ennesimo tentativo di accodarsi a un fenomeno (quello dei gruppi gothic con voce femminile) che conta ormai fin troppi cloni. Le qualità, sia esecutive che compositive, sembrano non mancare a questi giovani, il consiglio è, perciò, quello di cercare di valorizzare quegli elementi che li possono differenziare dalla massa. Il rischio, invece, è quello di una ricerca esagerata della melodia che possa nascondere in un amalgama uniforme anche gli spunti di distinzione.

Alessandro Calvi

 

1
Staccionata

2009, Autoprodotto
Doom
=#0000f8>
=”#ffffff”>
=#ffffff>
=#ff0000>
 

www.myspace.com/staccionata

Tracklist:

1. Mystic Queen
2. Ratto Tappabuchi
3. Vintage
4. Diamante In Fiamme
5. Zodiaco

Con un monicker che lascia piuttosto perplessi ed una proposta musicale apparentemente improbabile (stoner doom con influenze grindcore), i romani Staccionata in realtà hanno delle buone potenzialità che, se sfruttate a dovere, potrebbero essere usate a proprio vantaggio. Resta comunque il fatto che, rispetto alle apparenze, la proposta musicale del combo romano rimane comunque fedele allo stoner doom putrido di scuola sabbathiana, condito da divagazioni psichedeliche da abuso spropositato di acidi. Quello che penalizza più di tutto il CD in questione, è una produzione decisamente confusionaria (ricordandoci comunque che si tratta di autoproduzione), unita ovviamente ad alcune idee che sarebbero da rivedere, soprattutto in quelle parti in cui la band decide di osare, di andare oltre i cliché del genere, senza comunque dare alla luce risultati soddisfacenti. Vedremo cosa riusciranno a fare nel prossimo futuro, anche perché le capacità di fare del bene non mancano.

Angelo D’Acunto

 

Promo 2009
Carnal Gore

2009, Autoprodotto
=#0000f8>
=”#ffffff”>
=#ffffff>
=#ff0000>
 

www.myspace.com/carnalgore

Tracklist:

1.Serve or Be Served
2.Into the Shrines of Gith
3.Succubus Dreams

I Carnal Gore ci offrono un assaggio del loro full length in uscita il prossimo anno, con tre tracce racchiuse in questo Promo 2009 stillanti death metal da tutti i pori. Lo stile musicale dei nostri è appunto un death in bilico tra brutal e influenze hardcore e thrash, puramente votato a creare scompiglio nelle file dei supporters durante gli eventi live. Ottimo il livello tecnico dei musicisti: la voce di Rob passa agevolmente dal growl gutturale a uno screaming a volte vicino a quello del mitico Chuck Shuldiner, mentre la chitarra di Steven non rinuncia a inserire nelle tracce aperture melodiche di matrice svedese molto ben fatte. Niente di mieloso, comunque: i breakdowns da headbanging e le blastate improvvise sono li a dimostrare che l’intento vero e proprio dei Carnal Gore è quello di colpire l’ascoltatore con una bella legnata sonora. Anche il batterista Sam, sebbene penalizzato dai suoni un po’ troppo freddi, dimostra una buona fantasia nella scelta dei tempi e un’ottima tecnica. Un gruppo da tenere d’occhio senza dubbio, viste queste premesse.

Michele Carli

 

The Brightness of My Disaster
Raving Season

2009, Autoprodotto
Death
=#0000f8>
=”#ffffff”>
=#ffffff>
=#ff0000>
 

www.myspace.com/ravingseason

Tracklist:

1. My darkest season part 1: my sweet remain of animos
2. Your shadow in this frozen garden
3. The sterile caress of violence
4. Shield cage
5. My funeral

Attivi dal 2005, i romani Raving Season arrivano all’esordio su lunga distanza con il demo The Brightness of My Disaster, disco che contiene al suo interno un gothic metal dalle lievi tinte progressive. Proposta non del tutto originale, ma comunque efficace, anche se a minime dosi, per il momento. Buone comunque le idee in fase di composizione e altrettanto degna di nota la prova esecutiva dei singoli elementi, con in primo le due voci femminili (una pulita, l’altra in growl) sorrette da partiture a volte tenendenti al sound dei My Dying Bride, a volte al death più classico e, in altri casi ancora, verso il sound degli Opeth, soprattutto negli stacchi acustici più eleganti. Il risultato finale è comunque più che soddisfacente, anche se piuttosto derivativo, alla fine dei conti. L’obbiettivo futuro della band sarà sicuramente quello di lavorare più a fondo sulla personalità per dare alla luce un sound proprio e immune da paragoni.

Angelo D’Acunto

 

Tumor For Dinner
Impaled Bitch

2009, Autoprodotto
Death
=#0000f8>
=”#ffffff”>
=#ffffff>
=#ff0000>
 

www.myspace.com/impaledbitch

Tracklist:

1.No War No Profit
2.Radioactivity
3.I’m Tumor
4.Extinguing Humanity

Deathgrind, gore e marciume: basterebbero queste tre parole per descrivere la musica degli Impaled Bitch: gruppo ormai gestito dal solo SoSo dopo l’abbandono del compare Brutal, con il quale aveva precedentemente composto il demo Worms. Il prode SoSo non si è comunque buttato giù di morale ed ha preferito suonare tutti gli strumenti, programmare la drum machine e cantare su questo nuovo disco piuttosto che cercare qualche nuovo musicista. Il risultato delle sue fatiche è un deathgrind sporco, ignorante e becero, ancorato saldamente ai canoni del genere e ispirato, con le dovute proporzioni, a gruppi come Impaled e Cannibal Corpse. Niente di nuovo sotto il sole, quindi; gli Impaled Bitch contibuiscono a mantenere folto il sottobosco estremo della penisola senza però spiccare il salto verso qualcosa di più. Vedremo in futuro, magari con un batterista in carne ed ossa, cosa riuscirà a tirare fuori il buon SoSo.

Michele Carli

 

Archimedes
Prometeus

2008, Autoprodotto
Black
=#0000f8>
=”#ffffff”>
=#ffffff>
=#ff0000>
 

www.myspace.com/theprometeus

Tracklist:

1. Archimedes
2. Il Libro
3. Veglia
4. La battaglia
5. In The Future

Proviene da Agrigento il duo fondatore dei Prometeus, gruppo estremamente ambizioso nato con lo scopo di creare un amalgama convincente di black metal ferale e progressive rock in pienissimo stile anni ’70, tentando di farlo suonare il più naturale possibile.
Ancora una volta vediamo l’underground italiano fuggire dai soliti canoni del black, nel tentativo di utilizzare i dettami stilati dalla prima scuola norvegese solamente come base logistica per raggiungere altri orizzonti, toccando i generi musicali più disparati. Ormai gli ibridi non fanno più notizia come una volta, e se tra i gruppi preferiti dei nostri Biagio Rindone (già conosciuto per la militanza nei Metus) e di Giuseppe Napoli ci sono gli Arcturus di Sham Mirrors, un motivo certamente ci sarà.
La componente black, dal taglio prettamente sinfonico, è visibile fin dai primi vagiti dell’opener e title track “Archimedes”, che mostra più o meno buona parte del repertorio dei Prometeus: chitarre pressanti, tastiere apocalittiche e multisfaccettate, growl e scream in egual misura e soprattutto tanta, tantissima invenzione. Impossibile anche solo sperare di seguire l’andamento di qualunque delle cinque tracce presentate tra cavalcate metal, improvvisi inserti ambient, chitarre e ritmiche dal tipicissimo sound prog / Queen / Le Orme e tanto altro ancora, nel nome di un’evoluzione… o meglio, di un “progressivismo” davvero fuori dagli schemi. Un genere come questo è difficile da ideare e ancora più difficile da portare a segno, tanto che finora poche altre band sperimentali e avanguardistiche sono riuscite a centrare il bersaglio e quindi a diventare storici capisaldi del genere.
Interessante praticamente ogni cosa, se presa isolatamente: intriganti i passaggi mediorientali de “Il Libro”, a tratti persino egiziani come in “La Battaglia”, come del resto intrigante è anche il concept che narra la storia di un Archimede riesumato nel futuro e rispedito indietro nel tempo nella sua antica Siracusa alla ricerca della formula segreta capace di dare vita ai Golem e che consentirà agli uomini del futuro di creare novelli Adamo di metallo.
Difficile ignorare il caos che regna sovrano nelle tracce e che spesso travolge l’ascolto lasciando una sensazione di smarrimento: a mio giudizio c’è bisogno di prendere una direzione precisa, anche nel caos avvolgente tipico della band. La curiosità di sapere dove sono diretti inizia a diventare pressante.

Daniele Balestrieri

 

Soulless
Suspirium

2009, Autoprodotto
Black
=#0000f8>
=”#ffffff”>
=#ffffff>
=#ff0000>
 

http://www.myspace.com/suspirium

Tracklist:

01. The Wish
02. La Foresta Che Urla Nelle Tenebre
03. Intermezzo
04. Soulless
05. Burning

Torino, gennaio del 2002. Da un gruppo di amici si forma una band, che via via va sfiorendo fino a lasciare un solo membro, Sariel, alla guida del vascello Suspirium. L’idea è quella di ricreare una certa forma di black metal canonica ma spesso dimenticata dai più, quella fatta da quella commistione selvatica e umorale ben distinta nei primi due demo già pubblicati, “Fugace Crepuscolo nel Bosco” (2003) e “Folle Celebrazione dell’Odio” (2005). Ma Sariel è da solo ormai e decide di concederci un breve scorcio del suo modo di riscrivere, o meglio di interpretare, il black metal. Si dice fan di Darkthrone, Mayhem e Satyricon – in genere non è un gran biglietto da visita per chi teme le band-clone, ma per fortuna nessuno dei tre grandi vati del black sembra essere presente in questo terzo lavoro, di matrice invece un po’ più posata, se vogliamo appena velatamente ultimo-satyriconiana nel suo incedere più atmosferico che brutale.
Nonostante tutto, non c’è nulla che un buon affezionato del black metal non abbia già sentito. La sottospecie di growl gracchiante presentato si lascia ascoltare, mentre le melodie sono tutte portate sapientemente fino in fondo senza troppi scossoni. Nonostante la genuina monotonia del genere prodotto, tra le trame di ognuna delle cinque tracce si notano diverse citazioni a un po’ di death, un po’ di suicidal, un po’ di ambient, persino un po’ di pompa alla dimmu borgir, più nelle intenzioni che nella realizzazione. Certo il prodotto è ben suonato, e questo è l’ennesimo punto a favore di un undeground che si sta alzando sempre più di livello, ma rimane comunque un esercizio di stile più che di carattere.
Manca qualcosa, manca la passione, manca la spinta che porta una band a dire “adesso arriviamo noi”.
Certo la tecnica non si compra, ma le idee si possono acquisire in un attimo: restiamo sintonizzati.

Daniele Balestrieri

 

The Scarlet Womb
Artefix Fraudis

2009, Autoprodotto
Doom
=#0000f8>
=”#ffffff”>
=#ffffff>
=#ff0000>
 

www.myspace.com/artefixfraudis

Tracklist:

1. Virgo Infecta
2. Helen
3. Narciso
4. Cum Somnia Vera
5. Reason’s Demise
6. Last Man Standing
7. Her Unbearable Beauty

Non nascondono quelle che sono le influenze primarie gli Artefix Fraudis, band lombarda attiva dal 1999 e con una manciata di demo all’attivo, e che propongono un death/doom per niente lotano da scomodi paragoni con i maestri del genere. Infatti la musica del gruppo si rifà essenzialmente alle atmosfere decadenti e drammatiche dei “soliti” nomi My Dying Bride, Paradise Lost e Katatonia. Zero personalità dunque, che porta i brani proposti ad essere gradevoli al primo ascolto (nonostante una produzione non del tutto buona), ma noiosi e privi di mordente già dai successivi giri nel lettore. È un po’ spiazzante trovarsi di fronte ad una band con un decennio di esperienza alle spalle e che, effettivamente, si limita solo ed esclusivamente a svolgere il proprio compito, senza la voglia di aggiungere nemmeno un minimo di personalità. Bravi esecutori, ma dal punto di vista compositivo non ci siamo per niente, purtroppo.

Angelo D’Acunto

 

Migrationis Obscura Aetas
Rust Requiem

2008, Autoprodotto
Black
=#0000f8>
=”#ffffff”>
=#ffffff>
=#ff0000>
 

www.myspace.com/rustrequiem

Tracklist:

01 Nvmqvam
02 Per Patefactionvm Vallem
03 Volvntatis Pvtredo, Mens In Limo Incidit
04 Falsorvm Liberatorvm Tvrris
05 Timor, Timores
06 Aeqvvs Animvs, Viva, Rvina, Perversa Vita
07 Semper

Nati nel 2006, i Rust Requiem divengono presto una one-man-band con il solo fondatore Ianvs a portare avanti il progetto. L’idea di base è quella di non seguire la “moda” del black scandinavo facendo riferimento agli stessi riferimenti dei gruppi del nord europa, ma recuperare una tradizione italica e un orgoglio nazionale spesso dimenticato. Da qui la scelta di usare il latino come lingua per le canzoni e la storia dell’Impero Romano come soggetto dei testi.
Se testi e ispirazioni sono originali, la stessa cosa non si può dire per la musica. Il sound dei Rust Requiem è, in definitiva, un buon raw-black-metal molto debitore dei primi padri della scena norvegese come DarkThrone e Mayhem, con qualche spruzzata al limite dell’ambient presa da Burzum. La produzione è pessima, come vuole la tradizione, le chitarre ronzanti, il rumor bianco altissimo, l’effetto è gelido e straniante. Le composizioni, pur non inventando nulla, risultano azzeccate e ben suonate, riuscendo nel proprio intento di disturbare e al contempo avvincere l’ascoltatore.
Gli amanti del genere potranno quindi andare sul sicuro con questa piccola gemma di metallo oscuro “Made in Italy”.

Alessandro Calvi

 

Demo 2009
Steel Crow

Heavy, Autoprodotto
2009
=#0000f8>
=”#ffffff”>
=#ffffff>
=#ff0000>
 

http://www.myspace.com/steelcrowheavynoise

Tracklist:

01. Last Night
02. This Time
03. Sirio
04. The Eagle
05. Smoking Under the Moonlight
06. Aces High

Demo d’esordio per i Steel Crow, formazione proveniente dai dintorni di Perugia, che propone un heavy metal di stampo puramente ottantiano (Saxon e Iron Maiden le influenze più marcate), senza fronzoli e che più classico non si può. Insomma, un lavoro che non punta certo sull’innovazione, ma non si può non riconoscere che i brani qui proposti siano interpretati in maniera più che discreta. Nonostante una produzione decisamente rivedibile (ma consideriamo che il lavoro è completamente autoprodotto), l’esecuzione dei brani può infatti dirsi assolutamente riuscita, malgrado una quasi assenza di qualsiasi spunto personale. Sei sono le canzoni a disposizione all’interno di questo Demo 2009 (tra cui una cover di Aces High posta in chiusura), capaci sicuramente di mettere in bella mostra le abilità esecutive del gruppo, (e in questo senso spiccano le ottime qualità vocali del singer Jhon Marsciali, del quale non si può far altro che ammirarne gli acuti spaccatimpani), ma davvero troppo infarcite di cliché e di richiami più o meno marcati. Insomma, la tecnica c’è, sul songwriting invece bisogna ancora lavorarci sopra un poco, e solamente col tempo potremo vedere se questi Steel Crow riusciranno a imboccare la strada giusta e a farsi largo in una scena underground decisamente affollata e letteralmente agguerrita.

Lorenzo Bacega

 

City of Innocence
Angelize

2009, Autoprodotto
Gothic
=#0000f8>
=”#ffffff”>
=#ffffff>
=#ff0000>
 

www.myspace.com/angelizeofficial

Tracklist:

01 Intro
02 In a Darkaland?
03 The Torn Angels’ Choir
04 Bandja Eilos
05 I Close My Eyes (Pt.3)
06 Land of Dreams (Pt.2)
07 Rotten Clouds
08 The Prophecy
09 Dark Marriage
10 City of Innocence
11 Left Outside Alone

A cinque anni di distanza dal precedente “Light of a Dying Star”, e dopo un buon numero di vicissitudini per quanto riguarda una line-up mai stabile, tornano a farsi sentire gli Angelize, questa volta addirittura con un batterista d’eccezione come Alessandro Bissa (Vision Divine). Il sound del gruppo è un gothic metal di stampo piuttosto classico che fa leva soprattutto su un uso predominante delle tastiere per la creazione dell’atmosfera. Anche la produzione le omaggia forse fin troppo, mettendo un po’ in ombra gli altri strumenti.
Tutti i musicisti si comportano, comunque, molto bene, intessendo brani orecchiabili e coinvolgenti che catturano sicuramente l’ascoltatore. Il gran numero di ospiti, a partire dalla voce femminile di Chiara Vezzani, per passare agli altri strumentisti tra cui spicca il sassofonista Roberto Rossi, donano sfaccettature al disco e lo rendono sicuramente più interessante.
La facilità di ascolto sfocia, però, spesso più nel pop che nel metal (emblematica la cover di Anastacia in questo caso), così come in una semplicità forse troppo ricercata. Canzoni belle, dunque, ma dagli Angelize, anche in virtù del precedente demo, ci saremmo aspettati qualcosa di più.

Alessandro Calvi

 

Nubi Di Passaggio
Discordia

2008, Autoprodotto
Hard Rock
 

http://www.myspace.com/ghiacciopsichico

Tracklist:

01. Nubi di Passaggio
02. Ghiaccio Psichico
03. Tentazione

Provengono dai dintorni di Pistoia i Discordia, quartetto attivo sin dal 2005 ma giunto solamente nel 2008 all’esordio assoluto con un primo lavoro autoprodotto, intitolato Nubi di Passaggio. Solo tre canzoni sono contenute in questo demo, ma sono più che sufficienti per poter farsi un’idea riguardo la proposta musicale del gruppo toscano, a metà tra progressive, hard rock e con lievi venature alternative. Coraggiosa la scelta di optare per un cantato completamente in italiano, non fosse che la voce di Matteo Bottaro finisce per essere forse il punto più debole di tutto il lavoro, sicuramente dotata quanto a estensione (sentire il finale di Nubi di Passaggio per credere) ma decisamente carente per quanto riguarda l’interpretazione, e un po’ troppo sguaiata nel complesso. Insomma, discrete qualità esecutive (escluso il cantato, decisamente insufficiente), a cui vanno ad aggiungersi alcuni spunti interessanti per quanto riguarda il songwriting, ancora un po’ lacunoso in certi tratti ma con delle idee estremamente efficaci. Sicuramente questi quattro toscani hanno tutte le potenzialità per poter dare alla luce nel futuro un lavoro ben più valido, a noi non resta che aspettare e vedere se queste prime impressioni positive verranno poi confermate con il primo full length del gruppo.

Lorenzo Bacega

 

Non Sense
Antinomy

2009, Autoprodotto
Gothic
=#0000f8>
=”#ffffff”>
=#ffffff>
=#ff0000>
 

www.myspace.com/antinomyband

Tracklist:

01 The Love Kills
02 Heroin
03 Light
04 Madame Death

Nuovo demo per gli Antinomy che, rispetto al precedente del 2007, rivoluzionano praticamente tutta la line-up. Via la cantante Johana, sostituita da Irina, Eric si sposta dalla batteria alle tastiere (prima non presenti) e viene sostituito alle percussioni dal nuovo entrato Cristiano.
Dal punto di vista del sound la band lascia da parte buona parte delle influenze death che si percepivano sul primo lavoro e si orienta molto più verso il gothic. Inoltre bisogna dare adito al gruppo di aver fatto atto d’umiltà nell’ascoltare tutte le critiche piovute all’uscita del precedente demo e di aver lavorato duramente per migliorare.
Questo secondo demo è, infatti, molto più melodico, meno frammentato rispetto al precedente, segno di un maggior e migliore lavoro di arrangiamento, ma forse anche meno ispirato, con diverse soluzioni che potremmo definire “normali” per il genere, quindi nulla di nuovo. Perdurano, inoltre, dei dubbi a livello vocale nonostante il cambio di cantante. La nuova singer Irina, seppur più “nella parte” rispetto a Johana, sembra voler osare troppo in più di un frangente.
Il risultato è un demo più valido del precedente, ma con ancora diversi punti da limare. La maturazione dimostrata in questi anni, unita alla capacità di accettare e far proprie le critiche che gli vengono rivolte, sono elementi molto importanti per il gruppo. Ci aspettiamo, molto presto, qualcosa di molto valido.

Alessandro Calvi

 

Dying Light
Silvered

2008, Autoprodotto
Death
=#0000f8>
=”#ffffff”>
=#ffffff>
=#ff0000>
 

Http://www.myspace.com/silveredmusic

Tracklist:

01. Window
02. Under a Dead Sun
03. Another Leaf Comes Down
04. Through the Pain
05. In My Darkest Day
06. Helpless Soul

Potenti, coraggiosi e con una proposta musicale quantomeno interessante. Stiamo parlando dei Silvered, band proveniente dai dintorni di Brindisi, formatasi nel 2007 e giunta un anno dopo alla prima uscita ufficiale. Le coordinate stilistiche a cui rimane legato questo Dying Light, primo lavoro completamente autoprodotto (anche se a sentire la produzione, davvero buona sotto ogni punto di vista, questo non si direbbe), è un death metal a metà tra Opeth (specie gli ultimi) e primi In Flames, con inserti progressive e dalle svariate influenze che vanno dagli ultimi Katatonia ai Tool, passando per spunti di chiara ispirazione grunge alla Alice in Chains e Pearl Jam. Il risultato sono cinque tracce (più un intro strumentale) estremamente articolate, assolutamente ben eseguite dalla band pugliese (sugli scudi soprattutto il cantante Daniele Rini, sia nelle parti in growl che in quelle di voce pulita) ma che in alcuni tratti mettono in mostra un songwriting non sempre convincente: in più di una occasione si ha l’impressione che il gruppo abbia fatto il passo più lungo della gamba, dando origine a pezzi non sempre organici, oppure talvolta eccessivamente confusi. Certo, considerando che ci troviamo davanti a un gruppo alla prima uscita in assoluto i margini per migliorarsi ulteriormente ci sono tutti (e già le canzoni qui proposte sono già a tratti decisamente riuscite), e per questo motivo siamo sicuri che con un po’ più di esperienza questi Silvered potranno sicuramente fare un grande salto di qualità con i prossimi lavori.

Lorenzo Bacega

 

Dexal
Dexal

2009, Autoprodotto
Thrash
=#0000f8>
=”#ffffff”>
=#ffffff>
=#ff0000>
 

http://www.myspace.com/dexalbleach

Tracklist:

1. Trust ‘n’ Steel
2. D.R.B.
3. Dexal
4. Dexalized
5. Alcohol Fast Like a Crash
6. Drin? Drunk? Drank!
7. Municipal Circus

Dexal è una formazione emergente del circuito sardo, in attività da un paio d’anni. La relativa inesperienza del gruppo, che ha emesso i primi vagiti cimentandosi con il repertorio dei miti (Sepultura, Pantera, Superjoint Ritual), è trasversale ai sette brani proposti. Il canovaccio è all’incirca il medesimo per tutta la durata: chitarre vibranti, arcigne tengono in piedi composizioni in cui l’approccio in-your-face prevale sulla ricerca melodica; una produzione a tratti caotica, ovattata malcela l’imbarazzo tecnico della sezione ritmica, che tuttavia denota più convinzione con il trascorrere dei minuti. La seconda metà, dalla ruspante Dexalized in avanti, serba gli episodi più significativi: Drink? Drunk? Drank! (uptempo che viaggia… a tutta birra), Alchool FL.C e Municipal Circus – con tanto di citazione simpsoniana – osano in termini di songwriting ed esprimono un gioco di squadra migliore. Dante, abile chitarrista ritmico e solista, è l’elemento chiave di una line-up che manca tuttora dell’affiatamento necessario per emergere dalle sabbie mobili dell’underground. Costanza, dedizione e un briciolo di coraggio siano i precetti della band per raggiungere l’agognato salto di qualità. Buon lavoro!

Federico Mahmoud

 

The Emancipation of Elizabeth
Chantry

2008, Autoprodotto
Prog
=#0000f8>
=”#ffffff”>
=#ffffff>
=#ff0000>
 

http://www.myspace.com/chantrymusic

Tracklist:

01. Shine
02. That Night
03. Star
04. Emergence audio
05. What I Lost
06. Flawed Archetype
07. Velvet Darkness They Fear
08. Red Roses In The Snow
09. L’amore Per L’ultima Volta
10. Get Out

Dietro all’ambizioso progetto Chantry si nasconde in realtà il solo Alessandro Monopoli, chitarrista e compositore di talento nato in Italia ma ben presto trasferitosi in pianta stabile in Inghilterra. La carriera musicale di questa one-man band inizia nel 2004, salvo poi arrivare al debutto vero e proprio solamente tre anni dopo con la produzione di questo primo full length autoprodotto, intitolato The Emancipation of Elizabeth, pubblicato nel 2008. Il genere proposto nelle dieci tracce che compongono questo lavoro è un progressive metal completamente strumentale, fatto di continui cambi di tempo, pause e brusche ripartenze, e lunghi assoli. Si discosta completamente da questo filone l’opener Shine, unico brano cantato del lotto (al microfono troviamo Federica Sabatini) che si rifà a coordinate più vicine al gothic metal con voce femminile. Sebbene la preparazione tecnica del chitarrista italico può assolutamente dirsi di ottimo livello, e malgrado le composizioni qui proposte presentino alcuni spunti interessanti (sentire la toccante That Night per credere), bisogna inesorabilmente constatare come la maggior parte delle canzoni non riesca assolutamente a decollare, finendo più di una volta per cadere in passaggi davvero troppo monotoni e ripetitivi. Insomma, le potenzialità per fare bene ci sono tutte, ma per il definitivo salto di qualità serve una maggiore cura per quanto riguarda il songwriting. Staremo a vedere.

Lorenzo Bacega

 

When Nature Storms
Art of Silence

2009, Autoprodotto
Avantgarde
=#0000f8>
=”#ffffff”>
=#ffffff>
=#ff0000>
 

www.myspace.com/artofsilencemetal

Tracklist:

1. Primeval Spirit
2. Glorious Death
3. Psychosis for Domination
4. When Nature Storms
5. The Path of my Soul
6. No More
7. Illusion
8. Rage for an Angel
9. The Edge of Insanity

Con “When Nature Storms”, i milanesi Art of Silence danno alla luce l’esordio di carriera, seguito del demo di debutto del 2006 “Creation in Suffering”. Le influenze che hanno dato il via al songwriting di queste nove canzoni sono molteplici: si va dall’heavy metal tinto di epico, al thrash metal, al death metal, il tutto legato da sezioni ritmiche incalzanti e varie nonché da un cantato in grado di giostrare con sufficiente dimestichezzatra scream, growl e pulito. In sostanza l’album appare valido e ricco di spunti e iniziative. Anche dal punto di vista solista sono molteplici i picchi aprezzabili per mano del duo Orphen/Deimos. La band sembra un po’ orientarsi su quei percorsi che piano piano si stanno aprendo dopo il passaggio segnato sul mercato discografico da gruppi battistrada come ad esempio gli Oceans of Sadness. A differenza dei giovani maestri però la band nostrana ancora non riesce a portare a livelli più che discreti la presa dei refrain e la potenza negli stacchi tra le varie battute, nonché quel groove granitico atteso da certi passaggi. Infine la produzione di certo non rappresenta quel quid in più in grado di sostenere l’ambizioso progetto concepito. Quel che è certo è che le idee ci sono tutte e già delineano, con certa personalità, le bellicose intenzioni del sestetto lombardo. Di strada ce ne è ancora un po’ da percorrere, ma potete credermi che i ragazzi hanno imboccato la via giusta… e la stanno percorrendo assai velocemente.

Nicola Furlan

 

Whispers of the Fall
Eterna Scomunica

2009, Autoprodotto
Black
=#0000f8>
=”#ffffff”>
=#ffffff>
=#ff0000>
 

http://www.myspace.com/eternascomunica

Tracklist:

01. Rain On The Pine Forest
02. Falling Shadows
03. Nell’Ombra Bella Groce
04. Blind Sight Eyes
05. Fury of the Crashing Waves
06. Nex Animae
07. Soul Suicide
08. Ancient Dolomites

Secondo demo per gli Eterna Scomunica, band dell’estremo nord-est italiano che ha fatto del black metal la propria bandiera cercando il più possibile di allontanarsi dagli stilemi “blast beat-chitarre zanzara” senza tradire il flow tipico del genere. Le ben nove tracce che compongono questo “Whispers of the Fall” danno una visione d’insieme del gruppo chiara e abbastanza articolata: è la forte componente melodica, quasi mai scontata, a giocare un ruolo chiave nella loro produzione. Lodevole è in particolare il lavoro in sinergia delle chitarre, spesso tendente verso strutture melodiche varie e complesse e che strizza l’occhio anche ad altri generi come il metal più classico, senza lesinare persino qualche soffuso rimando jazzistico, come in “Falling Shadows”. Alcune volte le tracce si incanalano in strutture classiche strofa-ritornello-strofa come nell’atmosferica “Rain on the Pine Forest, mentre altre volte la band si abbandona in discorsi più complessi regalando tracce il cui ritmo riporta alla tematica proposta nel titolo (emblematica Fury of the Crashing Waves con il suo inizio tumultuoso e gorgheggiante e il suo bell’assolo semidistorto a metà brano). C’è immaginativa e una buona dose d’invenzione pressoché ovunque nel lavoro dei nostri goriziani, ma a mio giudizio la loro corsa verso un prodotto davvero competitivo è frenata dalla prestazione del cantante, dal timbro vocale un po’ troppo monotono che funziona perfettamente in piccole dosi, ma che finisce per appesantire il lavoro nella sua completezza. Anche il lavoro di batteria è leggermente monotono e talvolta non riesce a seguire con altrettanta passione il lavoro delle corde, sempre interessante anche nel comparto del basso.
Una bella vetrina, dunque, che mostra ragazzi che ci sanno fare, che hanno rifiutato di creare un altro clone del black metal dei primi anni ’90 e che evidentemente stanno affilando le armi alla ricerca di uno stile proprio con il quale sfondare.
Non sarà un’impresa facile, vista la concorrenza stra-agguerrita, ma del resto Roma non è stata costruita in un giorno.

Daniele Balestrieri

 

Mortualia Nocturnum
EXM93

2009, Autoprodotto
Black
=#0000f8>
=”#ffffff”>
=#ffffff>
=#ff0000>
 

http://www.exm93.tk/

Tracklist:

1. Malvagis Noctiluca
2. Hymn to the eternal night
3. Crucified (by your god)
4. Black Sheep Mutilated
5. Black Evil Sky
6. Lux Exanimis
7. Blood of god on white herd
8. Obscure Satan’s kingdom
9. The night of the damned moon

Gli EXM93 sono il risultato di una storia travagliata fatta di band costituitesi e scioltesi nell’arco di 15 anni. Il nome attuale rimanda infatti alla prima incarnazione del gruppo, chiamato Takabriga, poi Mortuarium (ora EX-Mortuarium) e fondato nel 1993. Di lì in poi c’è stata una scissione che ha generato due gruppi, i Mortualia Nocturnum e gli EXM93, fino ad arrivare alla forma definitiva, datata 2001.
Difficile a questo punto dire che gli EXM93 si siano a tutti gli effetti formati nel periodo di massimo splendore del black metal norvegese, anche se la cosa gli farebbe molto onore; nonostante tutto, basta un primo ascolto per capire che non solo la loro produzione suona davvero d’altri tempi, ma le linee melodiche utilizzate precorrono addirittura il black metal propriamente detto andandosi a incastrare nei primi vagiti del genere, quando ancora le chitarre-zanzara erano un sogno lontano e il black stava scalpitando nei vortici delle sonorità death brutali e del thrash alla Kreator, ma anche alla Marduk e a tutta la scuola più sanguigna tipica svedese, ignara delle sofisticazioni più taglienti dei vicini norvegesi.
Il disco, che si presenta come un full-length autoprodotto, contiene in realtà il primo demo dei Mortualia Nocturnum, “Lux Ex Animis”, e il secondo è la riproposizione di “The Return of the Damned” dei tempi dei Mortuarium. Come già detto, Mortualia Nocturnum viene presentato vagamente come black metal, ma in realtà è un amalgama generico di tutte le sfaccettature più estreme del metal, con un uso furioso di growl e scream vomitati con vari livelli di “marciume” a seconda delle necessità del caso. Brutale e thrashoso com’è, specialmente nel comparto delle percussioni, l’album si rivela una vera e propria iniezione di adrenalina che tralascia le finezze di mixing o altri aspetti secondari come il tempo delle battute, per concentrarsi unicamente sui BPM e sulle atmosfere indubbiamente coinvolgenti ed esasperanti. Brillanti le parti di tastiera proposte, mai fuori luogo, ed esagerata tutta la proposta nel suo insieme, a iniziare dalle tematiche vistosamente destrorse per proseguire a un satanismo a tutto campo: nulla viene risparmiato – un tratto tipico della ribellione di inizio anni ’90 che ha poi portato alla formazione del black metal come lo intendiamo oggi.
Un disco interessante, certamente non indispensabile curiosamente avvincente di questi tempi quanto di maniera 15 anni fa. Una botta di salute senza troppi fronzoli, con una produzione decisamente underground, destinata a chi vuole farsi un ripassino sulle origini del blackdeathrash brutale destinato alle masse.

Daniele Balestrieri

 

Il Male
Il Male

2009, Autoprodotto
Black
=#0000f8>
=”#ffffff”>
=#ffffff>
=#ff0000>
 

Tracklist:

– Intro
– Assassini in Bianco
– Illusione di Vita
– La Cura
– Cara Amata Madre Terra
– Benzina sul Fuoco
– Sicurezza
– Sotto la Cenere
– Lampi
– Sono Io
– Nessuna Pietà
– Outro

Devo dire che nel mio “pedigree” di recensore ho affrontato le contaminazioni più disparate, che nel black metal non si fanno certo desiderare, ma è la prima volta che mi trovo a scrivere di black metal di discreta ferocia accoppiato all’anarco-crust punk più becero e ferale.
Certo non è una novità assoluta, ma bisogna ammettere che una fusione tanto marcata era ancora inedita alle mie orecchie.
Il Male proviene direttamente dall’Emilia, fondato un paio di anni orsono e portato alla gloria da due uomini, Sabbo ed Enrico, e due donne, Silvia e Stella, i cui volti adornano l’ottimo digipack giunto in redazione.
Il Male è una collezione di dodici fucilate intrise di quella rabbia e odio tipici del punk anarchico più intransigente. Sotto un tappeto di strumentazioni tipicamente black metal estremo (tolta la voce, sembra davvero di trovarsi di fronte a un disco seminale del black scandinavo di seconda generazione), la band ci scaraventa in un vortice di dolore, odio e stridore d’acciaio, con vocals urlate che denunciano tutti i mali della società, dalle lobby mediche al lassismo politico e a tutto il marcio della società contemporanea.
Sono due mondi, black e crust, che si incontrano e si scontrano, che si danno a vicenda la mano per portare il messaggio di sconforto della band oltre il muro della violenza più selvaggia. Interessanti, sotto il muro di urla sguaiate, i giri di chitarre quasi immortaliane che quasi omaggiano la vena hardcore della band, vero cardine di questo disco a dir poco caustico. Un prodotto senza dubbio originale ed estremamente coraggioso, difficilmente catalogabile e ancor più difficilmente consigliabile. Improponibile agli amanti del black intransigente e probabilmente nemmeno nominabile ai puristi dell’estremo in genere, può rivelarsi invece un lavoro interessante per gli amanti della musica nelle sue forme e contaminazioni più disparate. Molto più semplice e indolore approcciarlo dal suo lato punk-HC piuttosto che da quello black: il rischio è quello di rimanere ustionati.

Daniele Balestrieri