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After All (Dries Van Damme)

Di - 30 Ottobre 2009 - 0:00
After All (Dries Van Damme)

In merito alla recente pubblicazione di Cult of Sin, settimo album della band belga After All, abbiamo contattato il chitarrista Dries Van Damme. Tanti gli spunti di discussione, dagli esordi ottantiani ai piani futuri di un gruppo che non intende fermarsi più. Twenty years and counting…

Federico Mahmoud

La genesi di After All risale ai tardi anni Ottanta, quando la band si chiamava At Last. A partire dal 1990, avete cambiato monicker e pubblicato, finora, sette album e cinque EP. Che ne dici di sintetizzare in poche righe la vostra carriera, presentando il gruppo ai neofiti?

Cristophe Depree (chitarra) ed io – Dries Van Damme (chitarra, ndR) – abbiamo cominciato intorno al 1987, 1988: all’epoca eravamo grandi appassionati di thrash metal e volevamo a tutti costi suonare in una band. Entrambi non avevamo più di quindici anni. La macchina ha iniziato a girare intorno al ’92; tre anni più tardi è uscito il nostro debut-album, Wonder. In quel periodo eravamo più orientati a suonare heavy metal melodico; ci siamo riavvicinati al nostro passato speed / thrash con Mercury Rising, quarto disco della band, pubblicato nel 2003. Cult of Sin è senza dubbio il più thrash-oriented dei nostri lavori. In questi anni ci siamo tolti lo sfizio di suonare a fianco di mostri sacri: Anthrax, King Diamond, Overkill, Destruction, Agent Steel, Exodus, Testament, Forbidden, Heathen, Saxon, etc. Lo scorso anno eravamo al Graspop, con Iron Maiden headliner.

Le radici del gruppo sono dunque ben piantate nella scena musicale degli anni ’80…

Assolutamente. In quegli anni mi cibavo di pane e thrash metal: Metallica, Slayer, Kreator, Nuclear Assault, Agent Steel, Exodus… potrei andare avanti per ore. Tutte le grandi band di quel periodo.

Cult of Sin è il settimo sigillo della band. Come giudicate finora la reazione del pubblico e degli addetti ai lavori? Siete soddisfatti del prodotto finale?

Siamo davvero entusiasti del nostro lavoro. La stampa ha recensito con favore il disco, alcuni parlano testualmente di “apice della discografia”. Abbiamo ricevuto molti complimenti anche dai fan: l’album è piaciuto e i pezzi sembrano funzionare anche dal vivo – sì, senza dubbio siamo soddisfatti.

Sin dal primo ascolto mi sono reso conto che Cult of Sin avrebbe richiesto numerose sessioni per essere assimilato a pieno. I brani sono potenti, catchy al punto giusto, ma altrettanto infarciti di quei piccoli dettagli che meritano un certo approfondimento per essere colti: sei d’accordo? Come si è svolto il processo di songwriting?

Siamo d’accordo! Le canzoni sono orecchiabili quanto basta per coinvolgere l’ascoltatore in prima battuta; allo stesso tempo, racchiudono dettagli e sfumature che nessuno coglierebbe a un ascolto rapido e disinteressato. Ci siamo prodigati molto nella cura degli arrangiamenti: ho buttato giù il 95% delle idee, che ho discusso e sviluppato con il resto della band nell’arco di un anno. Alla fase compositiva è seguita una duplice sessione di registrazione: abbiamo diviso l’album in due tronconi, concentrando gli sforzi solo su 5 o 6 canzoni per volta. Ciò ha permesso un gioco di squadra più focalizzato.

Se dovessi scegliere il pezzo definitivo tra quelli contenuti nel nuovo album, quale indicheresti? Dal canto mio, reputo My Own Sacrifice e Devastation Done – una mazzata thrash in piena regola – i più rappresentativi.

Sono con tutta probabilità i brani migliori del lotto. I fan lo confermano: anche dal vivo sono stati ben accolti, il pubblico impazzisce quando li proponiamo in scaletta. Ritengo che i pezzi in questione condensino in pochi minuti il meglio del nostro repertorio: riff thrash metal, un pizzico di melodia, un ritornello catchy e assoli di chitarra secondo tradizione.

Fari puntati sulla copertina: l’artwork fa riferimento a un tema in particolare? E i testi? Esiste un filo conduttore che li lega, con riferimento alla fine del mondo? End of Your World e Doomsday Elegy (2012) sono titoli emblematici…

Dei testi si è occupato Piet, il nostro cantante: l’oggetto delle lyrics è essenzialmente il lato oscuro dell’umanità. L’uomo è descritto come un animale crudele: il peccato è ovunque, da qui il titolo dell’album “Cult of Sin”. La copertina è opera di un artista brasiliano, Gabriel Bueno, che ha già lavorato con artisti di spicco quali Lamb of God e Killswitch Engage. Ha proposto un’immagine forte, incisiva, che si abbinava perfettamente al tenore della musica.

Come nasce la cover di Holy Diver?

L’anno scorso ci siamo esibiti al Graspop Festival, in Belgio: per l’occasione, avevamo preparato una cover di Holy Diver come sorpresa da inserire in scaletta. Il risultato ci ha soddisfatto a tal punto che abbiamo deciso d’inserirla nel nuovo album, a cui stavamo lavorando in quel periodo.

Complimenti a Dan Swanö: ha svolto un ottimo lavoro in cabina di regia. Siete soddisfatti del suo contributo?

Alla grande! Dan è stato fantastico, d’altronde lo inseguivamo da tempo. Avevo già discusso con lui nel 2002 e nel 2004, mentre eravamo impegnati con Harris Johns (già produttore di Kreator, Voivod); in quel periodo, tuttavia, non era disponibile per alcuna collaborazione. In precedenza abbiamo lavorato anche con Fredrik Nordström (Opeth, In Flames), un altro ottimo professionista. Ma per Cult of Sin era giunto il momento di richiamare Dan. Detto, fatto: siamo davvero entusiasti del suo lavoro; i brani sono potenti, ruvidi, ma ogni dettaglio è esaltato da una produzione cristallina. Non potevamo chiedere di meglio.

Per Cult of Sin avete radunato diversi ospiti: vuoi presentarli?

Senz’altro. Nel corso degli anni abbiamo diviso il palco con tante band, abbiamo stretto amicizie, per cui è stato un processo del tutto naturale. Abbiamo voluto con noi James Rivera (Helstar), che si è reso protagonista di una performance mozzafiato! Ci sono anche Juan Garcia e Bernie Versailles (Agent Steel), Andy LaRocque (King Diamond) e Joey Vera (Armored Saint), tutti impegnati a turno in pregevoli assoli.

Come intendete promuovere l’album? Leggo che è in cantiere una tournée autunnale…

Ci siamo recentemente esibiti di spalla a Testament in Germania, Abattoir in Belgio e Olanda, Forbidden nel Regno Unito (Londra). Sì, è in cantiere un tour europeo che dovrebbe svilupparsi tra l’autunno e l’inverno di quest’anno. Stiamo anche lavorando per sbarcare oltreoceano: vorremmo debuttare negli Stati Uniti! Se tutto va bene, a fine anno saremo in California.

Ridendo e scherzando siete in giro da vent’anni: che sensazioni provi?

Non so che dire, se non “pazzesco”! Nessuno avrebbe mai scommesso su questa band, non per un lasso di tempo così grande. Nel nostro piccolo abbiamo pubblicato sette album, cinque EP, abbiamo girato l’Europa in lungo e in largo – dalla Finlandia alla Spagna, dalla Norvegia alla Serbia e ancora Slovenia, Grecia… Irripetibile! Purtroppo ci siamo fermati in Italia solo per una manciata di show – ricordo il Badia Rocks festival e il concerto al Thunder Road – ma intendiamo rifarci al più presto.

Il DVD antologico è ormai una tappa obbligata per ogni band con una lunga carriera alle spalle: ci avete pensato?

Abbiamo sufficiente materiale per un DVD ricco di contenuti, per cui mai dire mai… Probabilmente in futuro uscirà qualcosa. Nel frattempo, l’ultimo CD contiene un documentario che riprende la nostra vita on the road e in studio – dura circa mezzora, da vedere! Inoltre, il nostro canale YouTube (www.youtube.com/afterallmetal) è pieno zeppo di videoclip della band – in fondo, c’è già tanta carne sul fuoco!

Una domanda da appassionato. La scena belga non è mai assurta agli onori delle cronache, nonostante abbia dato i natali a molte band meritevoli – ne cito alcune: Target, Crossfire, Ostrogoth e, più recentemente, Ancient Rites, Enthroned e Aborted. Da “protagonista”, che opinione ti sei fatto e hai tuttora della situazione?

I Target erano davvero in gamba, mi fa piacere che tu li citi. Lo stesso discorso vale per Crossfire e Ostrogoth. Negli anni ’80 il Belgio poteva contare su numerose formazioni di valore: Acid, Cyclone, Bad Lizard, Scavenger, Black Widow… Il movimento underground resiste ancora oggi: la maggior parte dei gruppi suona death o black metal, After All è probabilmente l’unica thrash band rimasta in circolazione dalle nostre parti. E siamo tra i pochi a pubblicare e suonare in Europa con costanza…

Capolinea. Grazie mille per la tua disponibilità, puoi concludere come preferisci…

Grazie a te e ai lettori per l’interesse nei nostri confronti. Mi auguro di tornare presto a farvi visita per qualche show!