Live report: Amon Amarth e Sadist al New Age di Roncade (TV)

Di Silvia Graziola - 2 Dicembre 2009 - 0:25
Live report: Amon Amarth e Sadist al New Age di Roncade (TV)

Una cospicua folla di persone si è radunata stasera al New Age di Roncade (TV) per assistere all’ennesima calata in terra italica degli Amon Amarth, affiancati, come in tutte le altre date del tour tenute nella nostra penisola, dai nostrani Sadist anzichè da Cannibal Corpse e God Dethroned. Un accostamento che volendo si presta a destare qualche legittima perplessità, anche in ragione della notevole diversità tra i generi rispettivamente proposti; in effetti, se pure la possibilità di aprire per una band ormai stabilmente collocata in un contesto da relativo mainstream ha consentito ai Sadist (rimasti al contrario tendenzialmente relegati ad una dimensione “di nicchia”) di esibirsi davanti a un pubblico numeroso, d’altro canto è risultato abbastanza evidente come la stragrande maggioranza dei presenti fosse accorsa unicamente per assistere al concerto degli headliner. Molti fan giovani dunque, e pochi tra questi che si siano dimostrati particolarmente interessati al death metal tecnico e tastieristico, segnatamente ancorato a influenze propriamente “novantiane” (Atheist, Pestilence e in qualche misura Cynic) proposto dallo storico combo genovese.

Live Report a cura di Pier Tomasinsig
Servizio fotografico e slideshow a cura di Daniele Peluso

 

Tocca dunque agli storici tecno-deathster nostrani il non facile compito di riscaldare gli animi in attesa del piatto forte della serata. Risultato, va detto sin d’ora, raggiunto solo in parte a dispetto dell’indubbia qualità dello show proposto dai quattro genovesi. Lo spettacolo offerto dai Sadist si rivela senza dubbio apprezzabile sotto il profilo tecnico/esecutivo, supportato da suoni più che all’altezza, con una doverosa menzione al buon lavoro svolto dalla sezione ritmica e in particolare al membro fondatore Tommy, che si divide per quanto possibile tra la chitarra e la tastiera, anche se il cospicuo ricorso a basi campionate finisce per togliere un po’ di significato alle sue “prodezze”. Va anche detto che i nostri, considerate del resto le caratteristiche intrinseche della loro proposta musicale, risultano nel complesso piuttosto freddini e un po’ fermi; si deve tuttavia riconoscere che i quattro si trovano oggettivamente a corto di spazio sul già di per sè angusto palcoscenico del New Age, avendo dovuto relegare il batterista a suonare a bordo palco per lasciar spazio all’ingombrante set di percussioni degli Amon Amarth. Il pubblico appare davvero coinvolto solo a tratti, per lo più quando viene chiamato direttamente in causa dal corpulento frontman Trevor, da parte sua estremamente attivo negli intermezzi tra un pezzo e l’altro dove, pur visibilmente affannato, non si risparmia nel dialogare in modo franco e schietto con i presenti, concedendosi anche un momento per ricordare a tutti la recente quanto prematura dipartita dello sfortunato Mike Alexander degli Evile. La scaletta proposta spazia tra quattro dei cinque full-length che compongono la discografia dei genovesi, soffermandosi soprattutto su brani tratti dall’ormai classico “Tribe” (la cui title-track ha rappresentato uno dei momenti salienti del loro concerto) e dal recente, omonimo “Sadist”, senza disdegnare qualche incursione su “Crust” (Christmas Beat) e sull’eccellente album d’esordio “Above The Lights”, dal quale è tratto il pezzo di chiusura “Sometimes They Come Back”. Quaranta minuti di death tecnico di qualità, forse poco in tema con la serata, ma che una parte del pubblico ha comunque saputo apprezzare.

 

 

 

Non è facile, dopo aver assistito negli anni a tanti concerti degli Amon Amarth (e in alcuni casi averne già scritto su queste pagine virtuali), trovare qualcosa di nuovo da dire su di loro nel contesto di un live-report. Ciò probabilmente dipende, da un lato, dalla notevole affidabilità e costanza qualitativa espresse dagli svedesi nelle esibizioni dal vivo, dall’altro dalla personale impressione che i loro concerti finiscano in pratica per sembrare tutti uguali. Poche sorprese nella scaletta, scelta dei pezzi stabilmente orientata a favorire i brani di maggiore presa e maggiormente richiesti dai fan, una certa ritrosia ad uscire, fosse pure per un solo momento, dal personaggio che si sono abilmente creati nel corso degli anni. La sensazione, insomma, al di là dell’indiscussa e consolidata loro perizia nell’esprimersi on-stage, è quella di assistere alla efficace riproposizione di un copione molto ben studiato, ma al contempo ormai divenuto un po’ troppo prevedibile.
A scanso di equivoci, sia chiaro ad ogni modo che anche questa sera gli Amon Amarth hanno “spaccato” alla grande. Come da copione, per l’appunto. Gli svedesi aprono in tutta sicurezza affidandosi all’infallibile quanto dirompente Twiligth Of The Tunder God, che non fatica ad infiammare un pubblico che, da parte sua, altro non chiede se non di essere infiammato. Il resto della scaletta è incentrato su brani di sicuro impatto, concede ben poche pause agli spettatori e praticamente nessun calo di tensione, venendo sciorinate, tra le altre, Tattered Banners and Bloody Flags, Varyags of Miklagaard, Asator, Fate of Norns, Guardians of Asgaard, Hermods Ride To Hell, Live For The Kill, Where Silent Gods Stand  Guard, Victorious March, Runes To My Memory e Death In Fire, con il prevedibile bis finale sapientemente affidato a Cry of the Black Birds e The Pursuit of Vikings.
I suoni -per tutta la durata del concerto- onestamente non sono stati ottimali; in particolare si riscontra una certa mancanza di profondità (oltre al problema iniziale del basso volume della voce, ben presto corretto) ma l’esecuzione è compatta e precisa quanto basta a valorizzare l’effetto incalzante e trascinante al quale le loro composizioni (quelle recenti in particolare) sono caparbiamente ed efficacemente votate. Una considerazione a parte merita la prestazione di Johan Hegg, imponente e carismatico come sempre in forza della sua provata fisicità, ma non sempre convincente dietro al microfono, in particolare nelle parti in scream, dove il biondo e barbuto frontman palesa non poche difficoltà, confermandosi al contrario eccellente nelle parti in growl profondo.

Gli Amon Amarth si dimostrano ancora una volta degli eccellenti professionisti, ben consci di quanto i fan si aspettano di ricevere da un loro concerto e perfettamente addestrati a garantirgli il pacchetto completo. Il che, sempre a scanso di equivoci, rappresenta a parere di chi scrive una qualità preziosa, non comune e certamente determinante in ordine a consentire agli spettatori di lasciarsi trasportare dalle guerresche e belluine suggestioni di cui la musica del combo svedese è permeata; la finzione artistica, del resto, per essere mantenuta postula la necessaria (ma non necessariamente consapevole) collaborazione di entrambe le parti interessate. Alla prova dei fatti ciò che conta è che, ancora una volta, gli Amon Amarth abbiano offerto un grande spettacolo, come del resto era lecito attendersi. Insomma, nel bene e nel male una garanzia.