Live Report: Blind Guardian a Londra (UK)

Di Redazione - 27 Settembre 2010 - 23:55
Live Report: Blind Guardian a Londra (UK)

Piccolo preambolo: come dice una mia adorabile conoscenza, andare al concerto senza sapere la scaletta è un po’ come aspettare la mattina di Natale per aprire i regali. Da curioso quale sono non ce la farei, non con le mie band preferite. C’è però chi è capace di aspettare: proprio per chi ha l’invidiabile dono della pazienza il report è diviso in diverse parti: se non volete sapere quali saranno i pezzi che probabilmente sentirete a Milano o Roma potete evitare l’esplicito paragrafo ‘Lo Show e la Scaletta’. Tanto so che a molti di voi cadrà l’occhiolino…
 

Buona lettura.

Londra. Piove. “Che novità!” penserete voi. E invece no, perchè gli dei fino a oggi ci hanno fatto la grazia di un principio d’autunno temperato e soleggiato. Cade qualche goccia innocua e innocente, giusto per fare un po’ di atmosfera. Infatti fuori dal locale di ombrelli non se ne vedono, a parte uno. Lo manovrano sapientemente un paio di fanciulle, giustamente preoccupate che l’acconciatura venga rovinata dalla pioggia. Ci penserà più tardi l’umidita accumulatasi in uno O2 Shepherd’s Bush Empire decisamente impacchettato in ogni ordine di posti, che poi sono due: i seduti in galleria (sopra) e quelli in piedi (sotto).


SteelWing

A scaldare gli animi – perchè i corpi già risentono dell’affollamento – e riempire l’attesa per i Blind Guardian sono chiamati alle armi gli SteelWing, giovane formzione svedese tutta anni ’80, sia nello stile che, presumo, sui passaporti. Un calderone di stereotipi metallici all’ennesima potenza, tra acuti spacca-cristalli e il giacchetto di pelle con spalline borchiate a forma di casacca di Star Trek. Niente alieni però, quelli saliranno sul palco più tardi. Come potrete ben immaginare l’originalità sta di casa altrove, ma il loro onesto mestiere di paladini del metal più classico diverte e intrattiene. Passata un’opener in cui l’inesperienza si fa sentire con un paio di attacchi fuoritempo, i ragazzi di Stoccolma ci prendono gusto e migliorano coinvolgendo le prime file, notoriamente sempre pronte e recettive ai riffoni vecchio stile. Insomma, una mezzoretta che non infastidisce nessuno. Cosa non da sottovalutare quando si ha a che fare con i gruppi spalla: qualche anno fa l’allora etichetta e promoter avevano scelto i Freedom Call, e le reazioni all’epoca fuorono un po’ diverse… (vedi ‘pandiculazione’).
 

Blind Guardian

Il metal e l’Inghilterra

Nonostante la cara vecchia land of hope and glory sia stata la tana dell’heavy metal e la culla di band che hanno scritto la storia del rock, oggi l’hard n’heavy non se la passa benissimo. C’è una sorta di cortina di ferro per le band d’oltremanica e i Blind Guardian, per dati di vendita e presenze ai loro eventi live, sono tra i pochi che si sono riusciti a ritagliarsi un ruolo e uno spazio in terra Britannica.

Se non hai la popolarità dei Metallica non è facile fare breccia in un sistema che è decisamente legato alle sempreverdi produzioni isolane (vedi Motorhead) nonostante anche queste si trovino spesso in grande difficoltà di numeri (vedi Saxon). Lo dimostra un pubblico che è inferiore numericamente – anche se non di molto – a quello visto, per esempio, alle date milanesi. Anche il modo di vivere lo show è ben diverso, e gli amanti della bolgia mediterranea avrebbero un po’ di problemi ad ambientarsi in un contesto decisamente meno scalmanato.

Hansi e l’Inghilterra

Tra i temi caldi della serata c’è sicuramente il ruolo che l’Inghilterra gioca sentimentalmente per il leader dei Blind Guardian e le sue fonti di ispirazione: le sue band preferite sono inglesi (Queen, Deep Purple, Who, Genesis) e diversi dei suoi autori preferiti sono inglesi (Tolkien, Moorcock e Barry, giusto per fare qualche nome). Come lo capisco. Ebbene sì, è una serata particolare e Hansi non manca di farlo presente, più o meno esplicitamente, almeno un paio di volte. E si diverte. Si diverte come raramente lo avevo visto divertirsi durante uno show. Scherza, scoppia a ridere almeno un paio di volte tra una canzone e l’altra e si lascia anche andare a un paio di battute che raccolgono applausi e approvazioni. Quasi un inedito.


Strumenti e logistica (se proprio vogliamo chiamarli così…)

Nessuna novità nella disposizione, se volete godervi i soli di Andrè da distanza ravvicinata la destra del palco rimane la sua tana prediletta. Novità invece per i ferri del mestiere, con Marcus che sfoggia una flying V a fianco della solita Les Paul e Andrè che abbandona per un attimo la sua amata ESP rossa per concedersi qualche minuto su una explorer-type. Non succedeva da ere. Ma la sorpresa vera e propria ci sarà più tardi… vi basti sapere che nulla del genere era mai successo dall’inizio del tour di Nightfall in Middle-Earth. No, Hansi non ha suonato il basso, se è quello che state pensando.

Niente stravolgimenti nel solito sobrio vestiario da ragazzi della porta accanto – ma senza le curve di Elisha Cuthber. Ci sono invece le animazioni e immagini proiettate alle spalle della band: francamente nulla di che a parte per un paio di brani. Personalmente preferivo il caro vecchio telone. Cosa volete, i tempi corrono…

 

Lo show e la scaletta

Hansi lo aveva annunciato in sede di intervista, addio Into the Storm. I tempi in cui tutti intonavamo il dialogo tra Sauron e Morgoth, con i brividi lungo la schiena per l’arrivo irruento dell’opener targata Nightfall sono sospesi – mai dire mai. C’è Sacred Worlds: che pezzo. Aggressivo e serrato, la sua versione da palco è una vera mazzata speed. Il giovane Frederick Emke picchia che è un piacere e complici i suoni che danno tantissimo spazio ai suoi ferri il brano risulta tra le cose più furiose della serata. Promossa a pieni voti, anche se io rimango per Ungoliant e i Silmaril. Non si muove di una virgola invece la cara e vecchia Welcome to Dying, con il gioco di parole più facile del mondo e la sua furia primordiale. Le alte velocità non finiscono qui. Nel solo corso di 2 serate i nostri hanno già proposto, a rotazione: Imaginations from the Other Side, Bright Eyes, Another Holy War, And the Story Ends. Cosa toccherà a Londra? Born in a Mourning Hall. Non mi stupirai se nel corso del tour i guardiani chiudessero il full-house ripescando anche le altre quattro. Problemi non ce ne sarebbero: scegliere un pezzo da Imaginations è come pescarne una nella villa di Hugh Hefner: sono buone tutte. Per la cronaca e la statistica, Imaginations è da sempre il più rappresentato nelle scalette dei Blind Guardian ed è l’unico disco di cui i bardi abbiano suonato dal vivo almeno una volta tutti i pezzi. Questa sera gli estratti saranno solamente due. Uno di meno di quanto collezionato dai cugini di Tales, che popolano la prima metà di scaletta con una coppia spesso e volentieri presente – parlo ovviamente di Lord of the Rings e Welcome to Dying – e una Traveler in Time rispolverata per il tour estivo di due anni fa e oggi nuovamente in pompa magna tra le 16 fortunate. Un’altra inamovibile di inizio scaletta è quel gioiello inestimabile di Nightfall, ineccepibile capolavoro senza macchia e senza difetto. Inutile dire che il pubblico è tutto a braccia alzate ad intornarne le stupende linee vocali, seguendone le melodie divine, godendo di ogni secondo di questa magia. A dividerla dall’epicità travolgente di Time Stands Still (At The Iron Hill), altro prediletto dei convenuti, c’è l’ottima Fly. Purtroppo per lei stare tra due capolavori del genere non può che farne una parente minore. Time Stands Still, data come grande assente del tour, è ovviamente accolta con il massimo dell’entusiasmo. Praise our bards. Vittima sacrificale del rientro del re dei Noldor: Bright Eyes.

Per gli amanti dei primi anni ’90 si apre un già annunciato trittico nostalgia tutto cori trascinanti e mano sul cuore, un viaggio letterario tra tre grandi amori di Hansi: Traveler in Time (Frank Herbert) – Valhalla (Michael Moorcock) – Lord of the Rings (Tolkien). Quest’ultima decisamente tra gli highlight della serata. Manca solo Stephen King ma per Somewhere Far Beyond non è giornata. Seguono invece due pezzi decisamente più giovani, figli della nuova era, ovvero This Will Never End e A Voice in the Dark. I due risultano nell’unico momento di debolezza di HaKursch. La prima, decisamente impegnativa, vede il frontman in difficoltà con le parti più acute, problema che si trascina anche in A Voice in the Dark, nuova di zecca e ovviamente meno rodata.

Arrivano i saluti, i ringraziamenti e la promessa di tornare presto in Regno Unito. Il solito siparietto da programma, sorrido mentre mi aspetto la stupenda And the Story Ends a chiudere il primo set e invece Hansi annuncia di avere Mirror Mirror. Il sangue si gela, i fantasmi del Tenax a Firenze tornano a minacciare una serata che per ora sta dando grandi soddisfazioni. Credo fosse il 2003 e chi c’era si ricorderà la scaletta ridotta a causa locale. Se non ricordo male problemi con il sistema di areazione/sicurezza. Invece no, la gag riesce benissmo e i nostri si ripresentano sul palco con Punishment Divine e l’immancabile The Bard’s Song (In the Forest), ancora una volta unica rappresentante di Somewhere Far Beyond. Secondo Hansi la migliore fino ad ora del tour. Su tre date è un traguardo trascurabile. Non trascurabile invece è la magia che ogni singola volta questo brano semplice e malinconico è capace di trasmettere. Un incantesimo su pentagramma. Un po’ per il passato spavento un po’ per The Bard’s Song, il mio sangue torna a scorrere nel suo originario stato liquido.

Wheel of Time. Non facile da riproporre in sede live, i bardi della Nord Rhine-Westphalia ci riescono splendidamente, aiutati dalla tecnologia: il pezzo centrale con gli archi viene riproposto registrato, con le immagini che scorrono. Uno stratagemma già escogitato da una certa band londinese di tali Maggio e Bulsara, per un loro certo brano del 1975, 10 ottobre 1975. Prova di forza riuscita, ma come suite in futuro rivedrei volentieri altro: Lost in the Twilight Hall/Somewhere Far Beyond/And Then There Was Silence hanno decisamente un DNA più adatto alla versione dal vivo.

Se Mirror Mirror ha chiuso il primo set chi sarà ad avere l’onore di fare da epilogo e gran finale? Nella mia mente le risposte possibili sono due: And the Story Ends o Imaginations from the Other Side. Credo la seconda sia favorita e così è. Una sorpresa che mi lascia decisamente e profondamente soddisfatto, quasi commosso: finalmente è riconosciuto a questo pezzo lo status più alto. A lui, testamento in musica di quello che è il mondo Blind Guardian, di quello che è la musica unica di questi signori, è finalmente concesso il più alto dei riconoscimenti. Senza nulla togliere a Mirror Mirror, ci mancherebbe, questa è la giara che contiene l’anima di questa band, il brano che ne condensa gli assiomi filosofici e musicali. Doveva essere una serata speciale, è stata una serata speciale.

Setlist:  Sacred Worlds/Welcome To Dying/Born In A Mourning Hall/Nightfall/Fly/Time Stands Still (At the Iron Hill)/Traveler In Time/Valhalla/Lord of the Rings/This Will Never End/A Voice in the Dark/Mirror Mirror. Encore: Punishment Divine/The Bard’s Song – In the Forest/Wheel of Time/ Imaginations from The Other Side.