Heavy

Intervista Back in the Metal Days (Isabella “Isa Brutal” Fronzoni)

Di Stefano Ricetti - 15 Ottobre 2014 - 12:05
Intervista Back in the Metal Days (Isabella “Isa Brutal” Fronzoni)

Intervista a Isabella Fronzoni, meglio conosciuta come Isa Brutal, fresca autrice del libro Back in the Metal Days, che narra la sua storia di chitarrista heavy metal nell’Europa degli anni Ottanta. Fra le moltissime cose, Isa suonò nelle svedesi Ice Age nonché nell’ultima incarnazione delle Rock Goddess, regine della Nwobhm insieme con le Girlschool. Buona lettura, Steven Rich.  

 

Anteprima

 

Isabella, quanto c’è, di autobiografico, all’interno del libro?

Tutto il racconto è ispirato alla mia storia vera.  Tuttavia alcuni nomi o luoghi sono stati modificati.

Cosa provi, oggi, passando oggi nei luoghi mitici – spesso profondamente cambiati – del Metallo anni Ottanta milanese?

Tristezza e nostalgia perché appunto, come dici tu, sono cambiati di tanto.  Sono cresciuta a Milano e abitavo non distante da Transex,  ci passavo davanti quasi ogni giorno; ora abito fuori Milano, tutta la mia vita è radicalmente cambiata e quindi me ne sono fatta una ragione. 

 

Anteprima

 

Cosa ti manca più di quel periodo?

La scena heavy metal! Era tutto decisamente più underground.  Adesso tantissimi suonano, ci sono così tante band, molte così simili che non hanno senso di esistere.  Però neanche si può vivere nel passato, questo ritorno al metal anni ’80 a tutti costi mi sembra talvolta rivolto solo ad un fine commerciale. Per me è inutile riproporre la stessa band trent’anni dopo, non sarà mai quella di allora e rivederla suonare live oggi non mi trasmette le stesse emozioni.

Come mai, all’interno del libro citi chiaramente personaggi e gruppi – Tommy Massara e gli Extrema, Rob “Klister” Cabrini e i Bulldozer, ad esempio – mentre per Pino Scotto e i Vanadium utilizzi nomi di fantasia?  

In nessuna parte del racconto parlo di Pino Scotto, sia con il suo nome vero che con un nome di fantasia.  Se vi è presente qualche personaggio che ricorda Pino Scotto è puramente casuale.  Per quanto riguarda Tommy e Mariangela, o anche altre band straniere come gli Overkill, i Dark Angel, ecc… in generale ho mantenuto il nome vero per i personaggi pubblici, esercitando il mio diritto di cronaca; per le persone comuni, ho usato invece pseudonimi al fine di tutelare la loro privacy.

A un certo punto parli anche di Steve Minelli… che fine ha fatto, che tu sappia? 

L’ultima volta che l’ ho visto è stata intorno al ‘98, faceva il Dj al Factory di Milano, poi sono partita per gli Stati Uniti dove ho vissuto qualche anno.  Al mio ritorno ho saputo da amici che era sparito, aveva avuto una crisi esistenziale e si era dato ai Testimoni di Geova.  Sono rimasta molto sorpresa non me lo aspettavo, era un bravo chitarrista, simpatico, non era perfetto caratterialmente ma chi lo è?  Era molto ambizioso, intorno al ‘90 aveva provato a trasferirsi a Londra per cercare una band avviata in cui suonare, ma dopo poco ritornò in  Italia perché non riuscì ad adattarsi.  Molti musicisti venivano a Londra per cercare di suonare professionalmente l’heavy metal, avevi la possibilità di confrontarti con artisti da tutta Europa anche giovanissimi di grande talento; confrontarmi con loro per me è stata una grande opportunità di crescita sia come musicista che come persona, per altri invece era troppo. Perché essere uno dei tanti a Londra quando puoi essere il migliore nel tuo paese?  Londra non era per tutti.

 

Anteprima

 

All’interno del libro manca pressoché totalmente  la retorica che spesso viene utilizzata nel trattare gli argomenti legati al passato… si tratta di una tua precisa scelta o cos’altro?

Prima di tutto vorrei precisare che il mio libro non tratta del fenomeno HM del passato, ma è la storia di una ragazza ambientata nella scena metal di quegli anni. Non sono una scrittrice professionista e di certo non sono una nerd, non ho scritto questo racconto per vendere tante copie ai fanatici a cui piace leggere sempre la stessa minestra riscaldata.  Sono una chitarrista che ha voluto condividere la propria esperienza. Ogni parola, frase, concetto è frutto del mio sacco ed è un racconto molto personale, scritto in modo semplice e schietto come me, dove affronto anche argomenti non strettamente legati al mondo della musica.  Parlo della scena metal musicale in cui vivevo ma anche di molestie sessuali, di relazioni morbose, di aborto, di droghe e altro. A molti sicuramente non piacerà, mi sono messa in gioco e sono pronta ad affrontare eventuali conseguenze e critiche negative. D’altra parte però sono sicura che ci sono pure persone come me che vanno oltre la retorica ed è per loro che ho scritto questo racconto;  sono molto contenta quando mi contattano e mi dicono dopo aver letto il racconto “…personalmente non mi sono mancati momenti di grande emozione, grazie anche ad una scrittura che trasuda nostalgia e passione ad ogni parola…”,  se sono riuscita a trasmettere questo anche a solo una persona, mi ritengo soddisfatta ed è più di quanto alcuni scrittori professionisti riescano a fare.

Negli Eighties, a Milano, si respirava un’aria nuova, nei confronti dell’heavy metal. Tu, in quel periodo, ti prefiguravi qualche band italiana che secondo te poteva farcela? Com’è poi andata a finire? 

No, infatti io stessa se non fossi andata all’estero non avrei potuto fare quello che ho fatto, anche se non è molto è notevolmente superiore a quello che riuscivano a raggiungere le band italiane ai quei tempi.  Le Ice Age erano una band svedese riconosciuta a livello internazionale e non c’era una band italiana soprattutto femminile come loro.  Poi dipende cosa intendi per farcela, molti si sono accontentati della loro popolarità locale che era l’unica che potevano prefiggersi. 

Londra anni Ottanta e Milano anni Ottanta… avanti tu, Isabella…

Milano era magari la mecca metal di chi viveva nel resto d’Italia ma per il resto dell’Europa era il terzo mondo, non per niente molti metallari milanesi scapparono.  Londra era tutta un’altra cosa ma principalmente perché lo stile di vita e la mentalità era diversa, Londra era una città giovane e molto avanti, lo è sempre stata.  C’erano tanti ragazzi adolescenti come me che vivevano gestendo in modo indipendente la loro vita.  La sera potevi scendere sotto casa a prendere una birra e sicuramente avresti incontrato altri metallari o altri ragazzi come te che vivevano liberamente la loro identità.  Essere veri metallari per me allora non voleva dire collezionare tutti gli album delle band, andare a tutti i loro concerti, impararsi a memoria tutte le formazioni, ecc… questo lo consideravo molto limitativo. Io mi sentivo una vera metallara perché a Londra ero libera di essere me stessa, di gestirmi come volevo, di vestirmi come volevo, di ascoltare quello che volevo a prescindere dal fatto che mi piacesse la musica metal e che suonassi in una band.

Dopo lo spiacevole episodio raccontato nel libro ti mai più capitato di incontrare Leon Goewie dei Vengeance, visto che hanno toccato l’Italia in tour successivamente?

Con le Original Sin, la mia band londinese dei primi anni ‘90, suonai altre date di supporto ai Vengeance ma fortunatamente avevano cambiato cantante e al suo posto era entrato Jan Parry, una persona totalmente diversa.  Anche gli altri Vengeance erano differenti da Goewie, tutti bravi ragazzi e ogni tanto li sento ancora.

Stessa domanda per Harry, quel dolce ragazzo olandese descritto all’interno di Back in the Metal Days  e per John Connelly dei Nuclear Assault.

No Harry non l’ ho più sentito ma spero stia bene e sia rimasto lo stesso ragazzo solare di allora.  John lo sentii ancora parecchie volte, dopo il declino dei Nuclear Assault negli anni ‘90 smise di suonare e si dedicò alle arti marziali di cui era campione.  L’ultima volta che lo sentii fu intorno al 2000 quando tornò a suonare in una band di nome Rite Bastards.  

 

Anteprima

 

Racconta un po’ della tua permanenza nelle Rock Goddess…

Suonai nelle Rock Goddess per circa due anni; fui contattata nel ‘93 da John Turner, manager e padre di Jody, perché raccomandata dalla nuova batterista Nicky Shaw, che conobbi ad un concerto della mia band precedente Original Sin al Marquee di Londra.  Jody voleva riformare le Rock Goddess ma non voleva più suonare le vecchie canzoni degli anni ‘80, il genere sarebbe stato molto più estremo, tipo Sepultura o Slayer, o band più del momento come Dream Theater e Cynic,  quindi le serviva una seconda chitarra solista.  Mi trovai molto bene con le altre, Nicky e la bassista giapponese Aki erano molto brave e anche Jody rendeva molto meglio con noi di quando era nella formazione originale.  Purtroppo Jody aveva un carattere difficile e non era molto aperta al dialogo, tutto doveva essere come diceva lei, non capiva che una band di nome Rock Goddess, legata ad un’immagine di NWOBHM, non poteva suonare musica anni ‘90 e quindi ricevette parecchie critiche. Per Jody mantenere il nome Rock Goddess voleva dire rimarcare il fatto che si trattasse ancora della sua band e che era lei il capo di tutto.  Provammo in sala prove per quasi due anni e poi suonammo il nostro primo concerto nel 1994 al Borderline di Londra.  Jody voleva tutto perfetto e su questo potevamo essere d’accordo ma nonostante i nostri notevoli sforzi, impegni e il tempo che dedicavamo alla band non vi furono risultati.  Ci aspettavamo di partire per un tour, di fare un album come promesso da John, ma niente accadeva.  Anzi quando ci fu offerto di suonare un tour di supporto a Bruce Dickinson, Jody rifiutò e non spiegò neanche bene le ragioni.  Stanca di questa situazione affrontai Jody e lasciai la band, loro continuarono in tre, finalmente cambiarono nome in Braindance ma dopo poco si sciolsero.

Quando una band HM è al maschile vi sono – o vi erano – le groupie… durante la tua milizia nelle Ice Age e anche con le altre band godevate di qualche “groupie-uomo”?

Direi di no, mi piaceva incontrare ragazzi o fan in generale ma non li ho mai usati per fare del sesso. Sia nelle Ice Age che nelle altre band era uguale, per le altre musiciste: avevano storie in giro ma non groupie di una notte dopo i concerti.

 

Anteprima

 

Che differenza di mentalità hai riscontrato fra una band tricolore e una band straniera?

Dipende dalle band, in Italia da una parte c’erano band meno conosciute tipo la mia i Warhammer, i Tyrant, gli Hangman, che suonavano per il piacere di farlo e creavano anche occasioni di incontro per scambiarsi opinioni, socializzare, divertirsi, ecc  (vedi la sala prove di Gambara in Back in the Metal Days). Dall’altra parte, parecchie band di quelle più conosciute erano montate, se la tiravano e si snobbavano perfino fra di loro.  In Back in the Metal Days parlo di quando ai concerti a Milano io e la mia amica Serena cercavamo di conoscere le band straniere, tipo Nuclear Assault, ecc.; molti maligni ci vedevano come groupie e invece non era così, non lo facevamo per sesso. Era perché con loro ci divertivamo, non era l’ambiente snob italiano, molti erano musicisti estremamente umili, stare con loro ci faceva sognare, ci sentivamo parte del loro mondo anche se solo per una sera, ammiravamo il loro stile di vita da metallaro che suonava per passione e non per alimentare il proprio desiderio di sentirsi qualcuno.  Certo non erano tutti così anche fra di loro ogni tanto si trovava qualche primadonna, da qualche rock star te lo puoi aspettare ma non da chi non era nessuno. Con questo non intendo denigrare tutti i musicisti italiani, io stessa sono una musicista italiana e sono sempre stata orgogliosa di esserlo soprattutto quando ero all’estero. Ho sempre cercato di riscattare l’immagine talvolta non troppo seria dei musicisti italiani (e degli italiani in genere) cercando di dare il mio meglio.  Mi sono fatta rispettare, all’inizio non è stato facile perché venendo dall’Italia ero indietro sia nel parlare la lingua che come esperienza. Mi sono sempre impegnata in qualsiasi progetto fossi coinvolta, sono sempre stata con i piedi per terra anche nei momenti di gloria.  Nessuna delle band in cui ho suonato all’estero può mettere in discussione la mia condotta di musicista, nonostante i contrasti che talvolta si creavano.

Rimpianti? Occasioni buttate? 

Rimpianti direi di no perché ho avuto tanto dalla mia vita non solo musicalmente e non posso lamentarmi, più che altro se ripenso ad alcune band tipo le Ice Age o le Rock Goddess provo frustrazione perché le cose potevano andare diversamente, erano delle band con un grande potenziale e mi dispiace che tutto fu andato perso. Talvolta vorrei avere vent’anni anni ma con l’esperienza di adesso; guardando al futuro ci sono ancora tantissime cose che vorrei fare ma purtroppo non penso di averne più il tempo, a vent’anni ci si può giocare tutto, a quarantacinque ci sono responsabilità che hanno decisamente priorità.

Ti va di tratteggiare le diversità fra la stampa specializzata italiana e quella straniera negli anni Ottanta? 

Mmmhhh… non tanto…ah,ah! Vabbè in poche parole quella italiana, a parte le recensioni o qualche articolo su band italiane, si rifaceva molto ai giornali esteri, quasi tutte le notizie sulle band famose erano scopiazzate da Kerrang! o Metal Hammer.  Anche le notizie della mia entrata nelle Ice Age o nelle altre band arrivavano attraverso i giornali inglesi che, avendo un rapporto più diretto con le band, erano sicuramente più aggiornati.

Di cosa ti occupi oggi?

Mi occupo di tutt’altro, sono prima di tutto madre di due ragazzi adolescenti metà inglesi e poi sono una libera professionista.  Suono ogni tanto per divertimento con amici, non avrei il tempo di occuparmi di un progetto musicale impegnativo.

Prossime mosse, Isabella?

Il mese prossimo uscirà la versione inglese di Back in the Metal Days, molti mi chiedono se ci sarà un seguito a questo racconto, vogliono sapere cosa successe dopo ed in effetti ho volutamente lasciato il racconto in sospeso.  Sto quindi valutando se scrivere la mia storia nella Londra dei primi anni ’90, vedremo. 

Chiudi come vuoi, spazio a disposizione. Thanx!

“L’unico fascino del passato è che è passato.” –  Il ritratto di Dorian Gray, Oscar Wilde

 

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti