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Recensione film: Metalhead

Di Alessandro Marrone - 31 Gennaio 2019 - 14:31
Recensione film: Metalhead

A pochi giorni dalla release internazionale del già ampiamente controverso “Lords Of Chaos”, mi sembra doveroso fare un piccolo passo indietro e parlare di una pellicola che probabilmente è passata fin troppo in sordina, complice il fatto di essere una produzione di certo meno pomposa del sopracitato film che sarà invece incentrato sulle vicissitudini che hanno portato alla nascita ed alla disfatta dell’Inner Circle norvegese. Metalhead (titolo originale Màlmhaus) è un film islandese datato 2013, maledettamente attuale e di certo più adatto ad essere riflesso sull’ampia tematica dell’heavy metal e della visione distorta che la società – figuriamoci una piccola comunità come quella in cui si svolge il lungometraggio – ripone nella musica che noi tanto amiamo.

Non preoccupatevi, non intendo disseminare alcun tipo di spoiler in questa mia recensione, ma soltanto suscitare in voi quel pizzico di interesse che vi porterà a guardarlo, del resto si trovano facilmente sottotitoli in inglese (o italiano) per far fronte ai dialoghi in lingua originale. La storia ruota attorno a Hera, una ragazza tormentata dalla prematura morte del fratello. In seguito al tragico incidente, quella che era una normalissima bambina spensierata, comincia a chiudersi in se stessa e trovare sfogo e riparo dal dolore immergendosi in quella che era la grande passione dello scomparso Baldur, la musica metal. La rabbia, la solitudine e le difficoltà nel rapportarsi con una comunità bigotta portano Hera a spingersi verso confini sempre più estremi, sia musicali che comportamentali, ma in fin dei conti, urlare a squarciagola e senza alcun tipo di freno il suo disgusto verso una vita di sofferenza pare essere l’unico modo per andare avanti. Isolarsi in mezzo alla gente, per sopravvivere.

 

Il film ha un ottimo ritmo, la location di questo piccolo paesino disperso nelle desolate terre islandesi gioca senza dubbio la sua parte, ma ogni personaggio rispecchia alla perfezione il messaggio che il regista Ragnar Bragason ha voluto trasmettere. Ben presto ci troviamo in sintonia con la protagonista, condividiamo il suo dramma anche se per molti il disagio viene rispecchiato in maniera differente. La comprendiamo nei suoi momenti di ribellione e notiamo anche un’accurata scelta dei brani che riguardano la colonna sonora, non un semplice tappeto di fondo per scene più o meno concitate, ma un viaggio nelle preferenze dei personaggi che incontriamo durante il racconto. Pur non essendo focalizzato interamente sul black metal – e in questo caso la copertina potrebbe fuorviare un pochino – tutto ciò che Hera desidera è omaggiare la prematura scomparsa dell’amato fratello e più le cose sfuggono di mano, più il suo cuore si dirige verso i confini più estremi della musica e del suo sfogo emotivo: da qui la registrazione di una demo black metal e l’incontro con alcuni personaggi di cui non voglio svelare di più.

Metalhead è a tutti gli effetti un film drammatico ambientato nei primissimi anni 90 (ipotizzerei ‘92/’93) che riguarderò volentieri decine e decine di volte e che riesce a toccare un argomento delicato e traslarlo su pellicola come raramente mi è successo di vedere. Consapevole del fatto che molti cercheranno il più piccolo sgarro o qualche contraddizione temporale, posso anticiparvi che in realtà è in grado di appagare un pubblico musicalmente preparato, quanto coloro che prediligono il genere drammatico. E se prima di premere il tasto play mi aspettavo qualcosa di interamente rivolto al panorama black metal, mi ritengo più che soddisfatto nell’aver scoperto che in realtà questa storia può essere più facilmente adattata a un pubblico ben più ampio, senza contare che risulta del tutto attuale, nonostante sia stato sapientemente ambientato un’abbondante ventina di anni fa.

Alessandro Marrone