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Recensione Libro: In Nome di Satana (Michele Cervati)

Di Stefano Ricetti - 14 Aprile 2016 - 12:30
Recensione Libro: In Nome di Satana (Michele Cervati)

 

In Nome di Satana

Il demoniaco nell’omicidio di suor Maria Laura Mainetti

di Michele Cervati

€ 13.00

Faust Edizioni

ISBN: 9788898147427

Data Pubblicazione: 10.02.2016

 

 

E’ la notte del 6 giugno 2000. A Chiavenna, un placido borgo nella provincia di Sondrio, suor Maria Laura Mainetti, madre superiora di una Congregazione del luogo, viene martoriata con numerose coltellate in un viottoIo. Morirà dissanguata. Il caso del “delitto di Chiavenna”, uno dei più raccapriccianti della nostra storia giudiziaria, sconvolge le coscienze dell’intera nazione, non solo della comunità della valle. Dopo l’arresto delle autrici dell’assassinio – tre compaesane minorenni – affiorano risvolti sempre più perturbanti. Si evoca, come movente, un’entità dal nome quasi impronunciabile: Satana. E il Principe del male fa il suo ingresso, da indiscusso protagonista, sulla scena del crimine.

L’avvocato Michele Cervati, all’epoca difensore della famiglia della religiosa, affronta con antica emozione e rinnovata scientificità la matrice dell’omicidio come emerge dalle carte processuali. Inserito il fatto nell’ambito del cosiddetto satanismo giovanile o acido, l’autore fregia ciascun capitolo di stralci inediti di interrogatori, atti d’indagine, perizie e sentenze.

Ora facendoci respirare la puzza di zolfo di Marilyn Manson o quella di vodka al bar del paese, ora guidandoci tra Bibbie bruciate, tombe profanate, note blasfeme sul diario e sacrifici di animali (e di neonati), ora inquietandoci con i processi per stregoneria e gli esorcismi, questo libro cerca di approfondire lati della vicenda mai del tutto chiariti: le tre baby-killer erano completamente sane di mente? Hanno agito da sole? E qualcuno era a conoscenza del loro piano agghiacciante?

Questo quanto riportato, in quarta di copertina, da parte dello stesso Michele Cervati, a livello di sinossi per poter inquadrare un libro scomodo come In Nome di Satana, Il demoniaco nell’omicidio di Suora Maria Laura Mainetti.

Uno fra i compiti più elevati di qualsivoglia cronista è lasciare ai posteri dati, situazioni, vissuti, racconti affinché non vengano sepolti dalla polvere del tempo, con il rischio di perdersi per sempre. Chiaro che in questi tempi da basso Impero, nell’epoca del web ultraspinto, dei mass media senza pudore e dell’informazione di regime, l’esercizio di tramandare talune situazioni abbia perso un po’ della sua carica primigenia, vista la moltitudine delle fonti di approvvigionamento, ma ciò non toglie che su tematiche di questa portata sia sempre meglio non abbassare mai la guardia.

Tornare mentalmente al 2000, nonostante siano passati solo sedici anni, assume la portata di un viaggio a ritroso nel Giurassico Inferiore, quantomeno a livello musicale e di appartenenza rock. La penetrazione mediatica di un album con una croce rovesciata in bella vista in copertina oggi non fa più notizia, esattamente come l’effetto provocato da certune band atteggiate con il face painting e i denti digrignati ad arte. L’utilizzo di pratiche occulte, in ambito rock, sebbene non vada mai sottovalutato, da tempo non paga più, né in termini economici né in termini di visibilità, al di là di certi ambienti di nicchia nella nicchia, che però non producono “numeri” veri, di quelli che fanno business.     

La dissacrazione, la ribellione, la rabbia oggidì viene canalizzata in altre maniere e sempre più spesso alberga in altri generi musicali, distanti anni luce dal rock. Se il suono di una chitarra distorta negli anni Settanta e Ottanta faceva indignare l’intellighenzia perbenista dell’epoca, scoperchiando mondi paralleli costruiti su violenza, cultura biker spinta e un look spike&denim&leather minaccioso, oggi assume le sembianze di un esercizio fuori tempo massimo che piuttosto demarca la linea di confine fra i giovani “vecchia maniera” e quelli della generazione X, con il cordone ombelicale perennemente “connesso” alla realtà virtuale.

Personaggi citati nel libro di Michele Cervati come Marilyn Manson – un “fenomeno” (???) peraltro MAI trattato per ben precisa scelta editoriale da TRUEMETAL – da anni commercialmente “non tirano più” come un tempo, nonostante riescano a mantenere un consistente zoccolo duro di fan, comunque ben lontano dalle grandi cifre del passato. Quelli dissacranti per davvero, già allora, erano altri, ma per conoscerli ci voleva ben più della “cultura” – per usare un eufemismo – musicale da quattro soldi acquisita sulle pagine “gossippare” dalle riviste generaliste piuttosto che dal compagno di Liceo che si divertiva a fare il trasgressivo.

Avventurandosi lungo le centocinquanta e rotti pagine di In Nome di Satana è agghiacciante scoprire, man mano che la vicenda viene dipanata con perizia chirurgica da parte dell’autore, che tre ragazzine fra i sedici e i diciassette anni, armate di tonnellate di noia di provincia e con situazioni familiari critiche alle spalle, sulla base di pratiche occulte dozzinali, mutuate da qualche artista forzatamente alternativo costruito a tavolino e da un sentito dire degno di un film horror di serie B abbiano premeditato l’omicidio di suor Maria Laura Mainetti. Nonostante Cervati utilizzi all’interno dello scritto volutamente dei nomi di fantasia, Veronica, Ambra e Milena vennero arrestate il 28 giugno del 2000; successivamente due di loro furono condannate a otto anni e mezzo mentre la terza a dodici anni e quattro mesi di reclusione. Oggi sono libere e conducono una vita “normale”…  

Il libro oggetto della recensione, ben scritto e ottimamente curato nei particolari anche tecnici, fornisce una visione d’insieme carica di documenti inediti non solo dell’efferato delitto compiuto a Chiavenna nel 2000, ma tratteggia un interessante quadro riguardante il disagio giovanile che attanaglia la realtà di provincia di frontiera, lontano dalle mille luci della città e dalle prospettive castranti. In Nome di Satana si avvale, oltre che di una ventina di pagine ricolme di foto e testimonianze materiali, anche della presentazione fornita dall’allora Procuratore della Repubblica di Sondrio, Gianfranco Avella e dell’introduzione dell’esorcista Cesare Truqui.

Per chiudere, emblematica risulta la dichiarazione di una delle tre assassine pochissimi giorni prima del delitto: “Il 3 giugno non c’era già più Satana, c’era la voglia di fare qualcosa… per noia… per far paura alla gente di Chiavenna…”.

Compito di tutti noi evitare che certe cose possano accadere ancora…          

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

IN NOME DI SATANA