Hard Rock

Recensione libro: Scorpions – Uragano Tedesco, di Martin Popoff

Di Stefano Ricetti - 23 Dicembre 2014 - 12:30
Recensione libro: Scorpions – Uragano Tedesco, di Martin Popoff

SCORPIONS

Uragano Tedesco

di Martin Popoff

Euro 20

Pagine 352

Tsunami Edizioni

 

Martin Popoff, uomo dalle circa 7900 recensioni all’attivo, attualmente domiciliato a Toronto, di certo è uno che l’heavy metal l’ha masticato e lo mastica tuttora alla grande. Quarantuno libri scritti dedicati alla musica dura più innumerevoli collaborazioni con riviste del settore e televisioni a tema hanno fatto il resto. Fra le migliaia di attività il Nostro si è anche cimentato nell’allestimento del libro Scorpions: Top of the Bill, pubblicato nel 2013 dalla Power Chord Press di Toronto.

Come spesso accade nei confronti dei lavori di spessore, la meneghina Tsunami Edizioni s’è cimentata nella traduzione del lavoro, tramite i servigi di Stefania Renzetti, licenziando un libro di 352 pagine accompagnato da un centinaio di immagini – in bianco e nero – riguardanti l’universo afferente il combo tedesco più conosciuto del pianeta. Si, perché nonostante i durissimi Accept si siano cavati e continuino a cavarsi le lo porche soddisfazioni così come, allargando un po’ la visuale, nemmeno i Rammstein stiano indietro, solo gli Scorps hanno fatto il botto per davvero, mettendo a ferro e fuoco gli Usa. E se la passano ancora alla grande, vedasi alla voce sold-out.  

Già, gli Scorpions da Hannover, troppo molli per i puristi più oltranzisti e troppo duri per gli appassionati di musica generalista… ma comunque capaci di radunare intorno al proprio capezzale, a suon di tagliandi venduti, entrambi gli schieramenti, per di più in numero cospicuo. Magari solo per una volta nella vita, ma gli Scorpions fanne parte di quel ristretto novero di band che val la pena vedere.

Uragano Tedesco rappresenta un viaggio dettagliato all’interno del combo dello Scorpione, accompagnato da dichiarazioni di prima mano da parte dei vari protagonisti, che talvolta non bastano per far luce su quei grandi avvenimenti in chiaroscuro che da sempre rappresentano il mistero intorno ad album epocali quali Blackout e Love at First Sting. Popoff, durante il racconto, non si sottrae a delle valutazioni di merito personali che, come da definizione, prestano il fianco a critiche da più parti. Se le sparate di Martin – niente di clamoroso, sia chiaro – aggiungono un po’ di sano pepe alle varie vicende, gli stessi Scorpions, da buoni campioni dell’ego, non risparmiano simpatiche frecciate agli Accept, di tanto in tanto, nonostante fra i due colossi della musica dura teutonica permanga il rispetto di prammatica.

A livello di aneddotica il volume dispensa buoni colpi, anche se di portata non eccezionale. Solo per citarne qualcuno le grandi pippate di coca di Herman Rarebell, uomo rivelatosi fondamentale nel periodo di boom dei tedeschi, le ubriacature di Rudolf Schenker, la follia perniciosa di suo fratello Michael durante i primi anni di vita della band, quella che volta che a St. Louis si ritrovarono il palco invaso da scorpioni veri, lanciati da un fan in delirio…

Ogni periodo viene scandagliato con cura, il taglio giornalistico impresso da Popoff fa il resto, fra i picchi degli anni Ottanta e i clamorosi tonfi successivi, seguiti da inaspettate impennate d’orgoglio. Viene rappresentata al meglio la differenza fra gli Scorpioni degli inizi, strettamente legati a due manici della chitarra quali Michael Schenker e Uli Jon Roth e quelli degli anni cotonati, con Matthias Jabs all’ascia ad affiancare il sempiterno Rudolf Schenker. Se il cantante Klaus Meine ottiene il giusto spazio lungo le 352 pagine del volume stessa cosa non avviene per il bassista Francis Buchholz, lo “Ian Hill degli Scorpions“, uno che apre poco la bocca, ma quando lo fa risulta il più profondo del quintetto. Poi il concetto di band viene meno, per usare un eufemismo, e il Dio denaro mina la stabilità dei teutonici. Al basso e alla batteria si alternano musicisti sì validi ma a libro paga (Rieckermann, Cress, Taylor, Kottak, Maciwoda) e quel sogno nato nei tardi anni Sessanta nella Bassa Sassonia si incrina per sempre lasciando il posto a una macchina perfettamente oliata in grado di fare business e ancora grande musica, anche se a sprazzi.    

Martin Popoff possiede l’onestà intellettuale di spiattellare con dovizia di particolari le basi che hanno dato vita alla costruzione chirurgica di quel castello di ruffianeria con la quale gli Scorpions sono riusciti a conquistare il mercato nordamericano (facendosi un mazzo tanto, sia ben chiaro!). A tal proposito val la pena citare un passaggio con una dichiarazione illuminante, in tutti i sensi, direttamente da pagina 200: “…se gli Scorpions avessero suonato di giorno, la loro età sarebbe stata messa in risalto. Non che fossero vecchi… è solo che le luci sono magiche…”.

E si parla del lontano 1988…

 

Gli uomini di Hannover sono ancora in giro, nel 2015 uscirà il loro nuovo album Return to Forever e a settembre caleranno dalle nostre parti per tre concerti.

Ma un po’ di tempo fa non avevano mica annunciato il tour d’addio?      

That’s Rock’N’Roll…

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti  

 

       

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