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Speciale: Metallaro? Favorisca i documenti, prego

Di Dwight Fry - 17 Gennaio 2019 - 9:00
Speciale: Metallaro? Favorisca i documenti, prego

Qualche settimana fa mi sono imbattuto in un articolo che risale al 2016, pubblicato dal portale “Il primato nazionale” e intitolato “La musica metal? Roba per fighetti”.
L’articolo cita subito il Wall Street Journal, il quale ha attribuito al metal il titolo di “nuova world music”, poiché il metal è ormai penetrato nelle zone più disparate del globo.
In teoria non dovrebbe esserci nulla di male in questo, anzi; ma l’autore del pezzo ci avvisa subito che (cito) “c’è qualcosa che non va”, ovvero:

1) I gruppi storici sono ancora lì a sfornare dischi e a calcare i palchi e non si è assistito ad un cambio generazionale.

L’unico genere musicale che negli ultimi vent’anni ha resistito alla crisi del download selvaggio, e che si è guadagnato sul campo il titolo di “nuova world music”, non può essere privo di ricambio generazionale. Suvvia. Nei festival che si tengono in giro per il mondo (mondo), le nuove leve ci sono eccome. Di ragazzini/e impegnati a imparare il riff di “Master of Puppets” nelle loro stanzette, o di ragazzi/e impegnati a emulare i vocalizzi di Tom Araya, è pieno il mondo (mondo). Bisogna anche considerare il “sommerso” perché, in parte, questo ricambio è poco evidente. Forse cerchiamo male le nuove generazioni di ascoltatori. Lo so che la vecchia guardia si attende di vederli ancora nei negozi di CD, nelle edicole mentre chiedono una copia di Rockerilla o in prima fila ai concerti, ma siamo nel 2019 e i tempi sono cambiati. Parte dei nuovi metallari, specie nel mondo occidentale, trascorre molto tempo interagendo con altri appassionati su YouTube, nei forum metal, nei social, saltellando tra le piattaforme di streaming. Talvolta escono allo scoperto ma piaccia o meno, condivisibile o meno, è quello l’ambiente quotidiano per molti di loro e l’apprendistato non parte più dai cugini che ti duplicano la TDK, bensì dal web.
Tutto questo vi immalinconisce? Pazienza, ma ricordate che il web ci ha dato il porno gratis.

2) Dopo l’esplosione commerciale dei System Of A Down e dei Korn avvenuta in concomitanza dell’ultima grande moda passata all’interno della musica metal non si è più avuta alcuna sorpresa e nessuna nuova compagine assurta al successo.

Oggi è impossibile misurare il successo di una band coi parametri di una volta: bisognerebbe prima stabilire cosa si intende per “successo”. Solo un’interpretazione miope, tuttavia, può negare gli ottimi riscontri ottenuti da band legate al circuito metal quali TriviumPowerwolfAvanged SevenfoldVolbeatFive Finger Death PunchGhostShadows Fall, Sabaton o Mastodon.
Comunque: da quando in qua il successo commerciale è indice di qualcosa? Il metal è una musica particolare (speciale?) proprio perché sopravvive anche e soprattutto grazie alle seconde linee e a un meraviglioso sottobosco.
In sostanza: chi se ne frega delle esplosioni commerciali?

3) Il quotidiano statunitense usa toni entusiastici per ricordarci sostanzialmente come la musica metal sia stata normalizzata dalle regole del mercato globale […] Cosa resta della carica anti sistemica e ribellistica dei primi anni Ottanta? Le maschere demoniache e il corpse paint hanno cessato di far paura.

Diamo per scontato (non lo è) che il metal oggi non faccia più “paura”. Mi chiedo: è forse questo il suo obiettivo principale? Far paura? Non credo. Magari queste cose interessano a un quindicenne insicuro, a me che son vecchio e cinico non frega una mazza (chiodata). Datemi grande musica e se possibile qualche buon testo. L’immagine può anche avere un peso, ma viene dopo.
All’epoca bastavano due orecchini, vestirsi di nero e crescersi i capelli per intimorire le nonnine e far inalberare qualche benpensante. Era una cosa divertente, mica dico di no. Orecchini, vestiti scuri e capelli lunghi ce li hanno ancora oggi, i metallari, ma il risultato è differente e sapete perché? Perché a cambiare è stata, più dei metallari, la società che li ospita: è la società a non spaventarsi più davanti a una maglietta raffigurante Eddie, o a un bracciale borchiato. Ricordo che a inizio anni Novanta un ragazzino fu arrestato per aver indossato in aeroporto la maglietta di “F.U.C.K.” dei Van Halen, eppure io qualche mese fa – al supermercato – ho visto una cinquantenne indossare una maglietta con la scritta “DIRTY BITCH”. Verrebbe da pensare che non avesse la più pallida idea della traduzione ma non ci metterei la mano sul fuoco e comunque non è questo il punto. Oggi accendi la TV, passa la pubblicità del Mocio Vileda e vedi un ragazzetto che fa il saluto metallaro. Oggi vai in discoteca ed è tutto un pullulare di bracciali e collari borchiati. Oggi apri YouTube e trovi video in cui fanno ascoltare gli Iron Maiden a bambini e bambine di 8-9 anni per testarne le reazioni. In estrema sintesi, trent’anni fa il metal faceva paura perché la società temeva – molto più di oggi – certi eccessi estetici e musicali. Il metal non si è fatto schiacciare dalle “regole del mercato globale”, che peraltro sono sempre esistite; è il mercato globale che, sulla scorta dei cambiamenti sociali, ha dovuto rivedere alcune delle sue assurde convinzioni (del tipo: chi indossa il chiodo e ascolta metal è giocoforza un drogato satanista). Il metal non si è fatto normalizzare dal mercato, è il mercato che ha dovuto accettare la schietta, imperitura popolarità del metal, che dura ormai da quarant’anni. Parlerei di “vittoria” se non fosse che l’ambiente musicale dovrebbe fottersene di come ci vedono quelli del marketing e imparare un po’ da lui.
E giusto per la cronaca: una musica che “non fa più paura” non diventa in automatico una musica “per fighetti”.

4) non ci resta che uscire fuori dai meandri del mercato. E’ lì che troviamo ancora il gusto del proibito, del saper osare, dell’estremo che restando in ambito metal solo la corrente black riesce a racchiudere ancora con un briciolo di genuinità.

Certo, “solo la corrente black”…
Atteggiamento tipico di certo underground farsesco, chiuso a riccio nella propria visione elitaria della musica. Il mercato è sempre esistito e ha sempre avuto le sue regole. Ognuno ascolta ciò che vuole ma ‘sta storia che solo il black è genuino poiché rimasto di nicchia è una favoletta alla quale giustamente non crede quasi più nessuno, tra libri, film, documentari, parodie. In linea generale, se il concetto che deve passare è “musica di nicchia = musica genuina = musica migliore”, allora non ci siamo proprio. Per me gli Armored Saint o i Raven sono genuini quanto i Deathspell Omega citati dall’articolista, e pazienza se pubblicano i loro album con etichette piuttosto note come Metal Blade e Steamhammer. In generale ci sono centinaia, forse migliaia di band, che da anni si fanno il culo su palchi striminziti. Non c’è bisogno di registrare demo in una lurida cantina o pittarsi la faccia per dimostrare la propria passione nei riguardi di questa musica (che poi lo sanno tutti, di nascosto i metallari incorruttibili son così).

5) la globalizzazione ha appiattito le proposte […] Vedere immagini di gruppi provenienti dal Sud America, piuttosto che dalla Cina, con indosso magliette di Burzum o degli Slayer mette un po’ tristezza ed evidenzia ancor di più tutte le patologie sociali innescate da quel processo omogeneizzante chiamato globalizzazione.

In ambito metal la globalizzazione non ha innescato un ciufolo. Sul piano storico la nostra musica è germogliata contemporaneamente in diverse zone del globo, il che significa che i gruppi dei paesi lontani indossano magliette metal da una vita, in maniera credibile e niente affatto triste, ben prima che venisse fuori Burzum. In Giappone, in Argentina, in Australia, in Canada, nel Venezuela, in Ecuador, nei paesi dell’ex blocco sovietico, nelle nazioni scandinave e nella Russia stessa (da lì arrivano i grandi Aria)… perfino in piccole repubbliche quali l’attuale Slovenia (grazie agli storici Pomaranca)… in tutte queste zone il metal è nato sul finire degli anni Settanta o nei primissimi anni Ottanta, quindi contemporaneamente all’affermazione in Europa della NWOBHM. In Cina, i Tang Dynasty hanno pubblicato il loro primo album nello stesso anno (1992) in cui il progetto Burzum esordiva col suo primo full length. Non si tratta di stabilire chi è arrivato prima, beninteso; qui si tratta solo di smentire categoricamente chiunque paia suggerire che l’affermazione del metal, in quei paesi, sia frutto della globalizzazione imperante (fenomeno che invece ha avuto origine più in là, dopo la caduta del Comunismo).
Dirò di più: l’articolo nega uno dei sogni romantici dei metallari delle vecchie generazioni, quello di vivere (cito) “in un mondo fatto di heavy metal e basta”, ma nega soprattutto il vecchio spirito di fratellanza che una volta ti spingeva a rivolgere la parola a un perfetto sconosciuto, da qualunque parte del mondo provenisse, solo perché indossava una maglietta degli Overkill.

Penso che la diffusione su larga scala faccia bene al metal. Che lo arricchisca. Non si tratta solo delle sfumature che la musica tradizionale riesce a conferirgli (quelle possono piacere o meno), né delle leggende popolari che alcuni artisti utilizzano da sempre nei loro concept (penso a “Escalofrio” del sudamericano Paul Gillman, per esempio). Il punto è che in certe zone il metal riesce a recuperare quel gusto del proibito, del saper osare, dell’estremo che qui in Europa ha perso spinta ed efficacia. Lì suonare metal può costarti la vita e lo so che essere estremo, per qualcuno, significa impalare la testa di un maiale su un palco e urlare “Sataaaaan”. Per me, forse perché sono fighetto, è “estremo” suonare in un locale con la consapevolezza che la polizia può irrompere in qualunque momento e arrestarti (e certe prigioni non somigliano un granché a quelle occidentali). O registrare un brano che manda a cagare la religione in una società che ci mette poco a farti condannare per apostasia.

So che ormai il concetto di “fratellanza” è andato perso ma quando leggi quello che accade in Siria, o in Iran e Marocco, capisci che lì il metal inteso come ribellione ha ancora un senso. C’è solo da stimarli, ragazzi e ragazze così coraggiosi. È qua da noi, semmai, che il metal si è imbolsito ma va bene lo stesso, non esistono solo la guerra e la follia religiosa, il metal è bello perché vario, può parlare indifferentemente di demoni, fate, sveltine o pasta al formaggio. Se riesce a farti scapocciare con un bel riff o un grande assolo, raggiunge comunque il suo obiettivo.

Ciò di cui non abbiamo un granché bisogno, credo, è che qualcuno venga a dirci che se hai gli occhi a mandorla o la pelle olivastra sei meno metallaro di altri… che per indossare degnamente una maglietta metal devi arrivare da una nazione col pedigree, altrimenti metti tristezza.
È questo atteggiamento da “restiamo chiusi in cantina a pontificare su tutto”, a costituire la vera patologia sociale dei nostri tempi.