Heavy

Speciale: Motörhead’s legacy – L’eredità di Lemmy

Di Davide Sciaky - 28 Dicembre 2018 - 9:00
Speciale: Motörhead’s legacy – L’eredità di Lemmy

In questo giorno di tre anni fa se ne andò per sempre, l’uomo che non voleva vivere per sempre (“I don’t want to live forever”, ‘Ace of Spades‘, 1980). Ian Fraser Kilmister, meglio conosciuto col nomignolo di “Lemmy“, fece giusto in tempo a spegnere settanta candeline e venire a conoscenza di ben due tumori, per poi spirare, fermato probabilmente dall’unica cosa che gli avrebbe impedito di fare musica e concerti (“Killed By Death“, ‘No Remorse‘, 1984). Quel giorno cessarono anche automaticamente di esistere i Motörhead, dopo una carriera ininterrota durata esattamente quarant’anni e mezzo!

Oggi, a distanza di esattamente tre anni, a distanza di live usciti postumi (“Clean Your Clock“, dall’ultimo tour), di registrazioni tenute nel cassetto (‘Heroes‘, cover dell’anche compianto David Bowie), di collaborazioni di vario tipo (‘Paradise Into Dust‘ con l’ex compagno di band Würzel, ‘We Are the Ones‘ con il chitarrista Chris Declercq, ecc.), di recentissimi cofanetti natalizi (“End of the Wörld“ e “Böx of Magic“), il mondo fa i conti con il dopo-Lemmy, ovvero il dopo-Motörhead.

Tanti sono i gruppi che in loro assenza hanno infatti portato avanti la loro eredità e non mi riferisco soltanto alle centinaia di cover bands sparse per tutto il mondo, che comunque sia sono sempre state numerose e presenti anche in passato (e in chiusura di articolo ne parleremo meglio), bensì a gruppi che fanno quell’ibrido di Hard & Heavy con spruzzate di Punk per un genere musicale che ancora non ha un nome, ma forse se si chiamasse “Motörhead Rock”, non sarebbe del tutto sconsiderato.

 

Phil Campbell and the Bastard Sons (UK, 2017) 1 Album e 2 EP

Per rispetto vorrei inanzitutto cominciare da una costola dei Motörhead. Se infatti il biondo Mikkey Dee è entrato in pianta stabile come batterista dei leggendari Scorpions, l’altro membro della formazione rimasta ha preso una strada decisamente diversa. Philip “Wizzö” Campbell aveva infatti, ormai oltre cinque anni fa, fondato i Phil Campbell’s All Starr Band, cover band comprendente i suoi tre figli agli strumenti e il cantante Neil Starr alla voce. Questo progetto familiare aveva inizialmente cominciato a fare qualche concerto nei buchi di tempo che Phil aveva dalla sua band principale, suonando come anticipato, sostanzialmente cover, oltre però che dei Motörhead anche di altri artisti ispiratori per Phil stesso, tra i quali Black Sabbath, David Bowie, ZZ Top e altri. Alcuni mesi dopo la morte di Lemmy però, la band cambiò nome in Phil Campbell and the Bastard Sons e in un tempo brevissimo pubblicò un EP come antipasto, un album vero e proprio (dopo aver strappato un contratto con probabilmente la migliore etichetta in campo metal, ovvero la Nuclear Blast Records) e un Live EP in formato digitale, oltre ovviamente ad un’attività concertistica impressionante (oltre cento infatti i concerti negli ultimi dodici mesi), sia come headliner ma anche come spalla di grandi gruppi come Guns n’ Roses, Slash, AC/DC ecc.

Il loro, per ora, unico album (recensito qui) è secondo me la più naturale prosecuzione di “Bad Magic“ (recensito qui). So che con le parole ci devo andare cauto e magari è già troppo tardi, ma provate per un attimo a chiudere gli occhi ed immaginarvi sopra a una ‘Ringleader‘ o una ‘Gipsy Kiss‘ il vocione roco di Lemmy e capirete chiaramente cosa intendo. Nello stesso tempo non voglio però assolutamente sminuire il lavoro di Neil Starr, un ragazzo con una voce, una grinta e un’energia davvero invidiabili. Li ho visti per ora due volte dal vivo, entrambe nel tour del suddetto disco, e sono stati assolutamente devastanti; la scaletta ovviamente pesca sempre meno cover possibili, visto anche il loro repertorio originale, ma se volete divertirvi e urlare a squarciagola canzoni come ‘Born to Raise Hell‘ o ‘R.A.M.O.N.E.S.‘ o volete semplicemente guardare una giovane band affamata come poche, questo è quello che fa per voi. Musicalmente parlando poi, vi invito, se non lo avete ancora fatto, all’ascolto del disco in questione, perchè personalmente lo reputo nella Top 3 delle uscite hard rock dell’anno.

 

HeadCat (USA, 2000) 3 Album, 2 DVD, 1 Live, 1 EP

Un’ipotetica e molto fantomatica gerarchia ha deciso chi è il secondo gruppo trattato. Non tutti sanno infatti che Lemmy aveva parallelamente un’altra band da inizio millennio. Gli HeadCat proponevano (e propongono) un rockabilly molto motörheadiano e hanno pubblicato ben due album in studio, più un omonimo a nome “Lemmy, Slim Jim e Danny B.” e un paio di DVD live. Nel corso della loro carriera si sono cimentati perlopiù coverizzando artisti del calibro di Elvis Presley, Chuck Berry o Johnny Cash, ma nel secondo disco sono anche presenti le loro uniche due canzoni originali, con Lemmy alla voce perlomeno. Sì, avete capito bene, gli HeadCat esistono tuttora e il posto di Lemmy è stato preso dall’ex cantante dei Morbid Angel, David Vincent.

Il tutto è stato poi suggellato da un concerto al Wacken Open Air 2017 e dalla pubblicazione di un EP contenente la loro terza canzone totalmente originale, che poi dà anche il titolo al disco, ovvero “Born to Lose Live To Win” (per i più disattenti, il motto di vita del signore a cui è dedicata questa giornata). Se per un motivo o un altro non conoscete gli HeadCat siete sempre in tempo per recuperare! A proposito, a giorni dovrebbero anche tenere un annuncio; se si tratti di date future o nuova musica, al momento non ci è dato saperlo.

 

 

Leader of Down (UK, 2018) 1 Album

I Leader of Down sono, tra le proposte di questo articolo, quella invece con l’uscita piú fresca. Il disco, che è pure recensito qui, oltre ad essere quindi quello uscito più recentemente, è anche l’unico che contiene più apparizioni dei vecchi membri della band originale. Lemmy stesso è presente nel singolo-video che ha anticipato l’album “Paradise Into Dust” e nella traccia finale, rielaborazione però di una canzone originariamente pubblicata nel primo disco solista (“It Ain’t Over ‘till It’s Over“, 1993) del, udite udite, “Fast” Eddie Clarke, anche lui presente postumo. I Leader of Down sono comunque più di questo, difatti vennero fondati dal bassista Tim Atkinson e da Michael “Würzel” Burston ben dieci anni fa; e lo spirito di quest’ultimo è ben presente durante tutto il disco, oltre che nelle tracce scritte e suonate da lui. Poi però gli anni sono trascorsi, Würzel purtroppo è morto, ma non la band, che infatti ha proseguito, nel nome del Rock. Nel disco è presente anche un altro Motörhead, ovvero Phil Campbell (al quale i Leader of Down hanno appena fatto da gruppo spalla nel recentissimo tour inglese e del quale Tim Atkinson, come ho potuto personalmente constatare ad Aschaffenburg, in Baviera, lo scorso 4 dicembre, aiutava nella vendita del merchandising). Non è però tutto oro ciò che luccica, anzi. Il disco, edito dall’americana Cleopatra Records (la stessa degli HeadCat) è stato oggetto di critiche da parte della moglie del compianto “Fast” Eddie Clarke e anche da parte della pagina ufficiale Facebook di Würzel. In sostanza le due canzoni che Eddie ha rielaborato e presenti nell’album sarebbero state pubblicate senza il suo consenso, e perlopiù, da una’etichetta con la quale Eddie aveva già avuto tanti problemi in passato. Sono quindi i Leader of Down degli sciacalli? Probabilmente sì e, anche se sto scegliendo palesemente di non stare dalla loro parte, allo stesso tempo voglio spezzare una lancia a favore del loro disco per la godibilità che ricorda molto lo stile di gruppi come Thin Lizzy, UFO e Fastway (dei quali inoltre il batterista Steve Clarke è stato un membro in passato) e in generale perchè è molto piacevole. Sarei però a questo punto curioso di vedere come se la cavano dal vivo, a lungo andare e sopratutto in un eventuale secondo album. 

 

Segrëgates (UK, 2017) 1 Album

Passiamo ora a una band che è molto amica dei precedenti signori, visto che si pubblicizzano a vicenda. C’è però un mare di differenza tra le due, anzi rispetto anche a tutti gli altri gruppi citati oggi, in quanto gli sconosciutissimi Segrëgates sono, per me, nettamente superiori. Nati a York, Inghilterra, a inizio decade, propongono quello che loro chiamano un “Motörpunk” e “Rock & Roll” e mai definizione fu più esatta. E in effetti è esattamente questo che secondo me i gruppi ereditari dei Motörhead dovrebbero avere, un genere tutto loro, perchè sarebbe impossibile e neppure tanto corretto che gruppi così rientrino in generi come “Hard Rock/Heavy Metal/Punk/ecc.” che in verità sono soltanto un miscuglio di roba che non fa capire davvero le reali intenzioni. Forse è ora che un nuovo termine entri nel vocabolario della musica, e forse, come detto anche all’inizio “Motörhead Rock” potrebbe essere appunto la scelta giusta. I Segrëgates (rigorosamente con un umlaut sulla “e”) hanno pubblicato per ora un album (rigorosamente con un copertina con logo e mascotte indovinate di chi), quasi un anno fa, intitolato “Burstön” (come il cognome del primo dei Motörhead caduti) e quello che fanno è un Punk col basso Rickenbacker a mitragliare, la voce roca e la testa verso alto come Lemmy, power trio come la formazione classica e via che è un piacere. Provare per credere. Di ‘Turn it Loose‘ e ‘Sweet Vengeance‘ esiste pure un video musicale ed inoltre il disco è chiuso da una cover eccellente di ‘Riding with the Driver‘ (“Orgasmatron“, 1986).

 

Nitrogods (Germania, 2011) 3 Album

L’ultimo gruppo trattato, ma non per questo il meno interessante, sono i tedeschi Nitrogods. Come i Motörhead sono anch’essi un trio e ad essi loro si ispirano, con in aggiunta una spruzzata di ZZ Top e un pò di country, che non fa mai male. Nonostante la nascita della band sia relativamente tarda, non si può dire lo stesso dei suoi componenti; il chitarrista Henry Wolter è infatti stato un membro dei Primal Fear prima dal 2000 al 2003, e poi dal 2007 al 2010. Nello stesso gruppo ha inoltre militato il batterista Klaus Sperling, oltre ad aver suonato anche in band come Sinner e Freedom Call. Completa la formazione, con basso distorto e vociona consumata da sigarette e whiskey, lo sconosciuto Oimel Larcher, collega tra l’altro di niente popodimeno che Eddie Clarke in un progetto chiamato Bastards.

L’omonimo disco è uscito nel 2012 ed è appunto presente come ospite anche “Fast” Eddie nella canzone ‘Wasted in Berlin‘, ma è con il secondo disco che le somiglianze con i Motörhead aumentano (“Rats & Rumors“, 2014) e basta sentire una ‘Damn Right (They Call It Rock’n Roll)‘ per rendersene davvero conto.

È invece dell’anno scorso l’uscita dell’unico album recensito qui da noi. Le somiglianze con i Motörhead sono molteplici e non fanno che aumentare (ascoltatevi, giusto a caso una ‘Boogeyman‘) e tra l’altro in questo disco è presente un Bonus CD con quattro cover classiche; ‘Overkill‘, ‘Bomber‘, ‘Ace of Spades‘ e ‘Iron Fist‘.

 

I Motörhead quindi se ne sono andati, sì, ma come era facilmente prevedibile, una band di questo calibro ha lasciato un’eredità di una portata che definire enorme, vorrebbe dire sminuirla.

Tantissime sono infatti le altre band che, per un motivo o un altro, qui non sono state trattate (Sodom e High on Fire in primis) ma che comunque portano avanti la loro eredità. Tuttavia non sono da dimenticare neanche le cover band che, come detto all’inizio, sono tante, forse troppe, ma per due di queste vorrei comunque spendere due parole; i norvegesi Bömbers, tribute band di lusso fondata nel 1996 da Abbath Doom Occulta degli Immortal. Non hanno pubblicato nessun album, ma fanno spettacoli che sono veri e propri tuffi negli anni ottanta. E non è difficile beccarli nei festival estivi o comunque in date selezionate! Infine i Murder One, cover band che si differenzia dalle altre per il fatto che i membri non assomigliano a Lemmy o ai Motörhead, quindi niente parrucche finte o baffi a ferro di cavallo o imitazioni di vario tipo, bensì musica dei Motörhead fatta nel modo più professionale e migliore possibile, acusticamente parlando.

 

Lemmy è morto, lunga vita a Lemmy.

Articolo a cura di Xhoen “Joen” Bala