Death

TrueMetalStories: Red Harvest, il freddo asettico delle macchine

Di Giuseppe Casafina - 14 Maggio 2016 - 6:00
TrueMetalStories: Red Harvest, il freddo asettico delle macchine

TrueMetalStories: la rubrica in cui presentiamo band giovani e pronte a sfondare, o band di lungo corso che ancora non hanno ricevuto il successo che meritano.

 

 

1989, Oslo, Norvegia.

Il black metal era ancora un sogno, un’idea che da lì a poco avrebbe preso forma compiuta.

L’elogiare la freddezza dei propri fiordi però, non era cosa comune a tutti, almeno se vogliamo parlare delle menti di Jimmy Bergsten e Thomas Brandt, due misantropi che preferivano contrapporre tutto questo amor di patria al gelido, ruvido fragore della tecnologia e dei suoi tranelli, delle sue trame malefiche che a loro dire avrebbero presto agito sulla psiche delle generazioni future.

L’idea doveva essere molto forte, il concetto del futurismo distorto ma allo stesso tempo paurosamente vicino alla realtà era un qualcosa che animava fortemente i due musicisti norvegesi: queste sensazioni erano anche, per nostra fortuna, accompagnate da una immensa dose di talento e personalità, caratteristiche che finora hanno sempre contraddistinto ogni fatica discografica del ‘Mostro Meccanico’ norvegese.

Nacquero così i Red Harvest, al periodo sotto la forma di una ben più modesta (si fa per dire) thrash metal band dalle venature alternative (oltre che avanguardistiche), venature prese in prestito dagli ensemble thrash-core (S.O.D., D.R.I. et similia) che affossavano la scena in quelli anni: già in questa veste si poteva notare l’elevatissima dose di personalità dei Nostri, a dir poco roboante, capace di trasformare anche la più banale imitazione di qualcos’altro in un puro colpo di genio.

I Red Harvest, non solo secondo il sottoscritto, hanno sempre centrato con assoluta perfezione l’obiettivo di costruire un sound infarcito di personalità ruggente, di un carisma inarrivabile, frutto di una mentalità acida e psicotica che ha sempre saputo adattarsi, con risultati egregi, all’infinito trascorrere del tempo.

Ed ecco che, dopo le prime due demotape (oggi introvabili se non a prezzi folli su eBay, quando capita di trovarle si intende) “Occultica” e “Psychotica” arriverà il tanto atteso debutto discografico, denominato “Nomindsland”, che uscirà addirittura sotto la ‘protezione’ della svedese Black Mark Productions, etichetta di culto nota soprattutto per aver dato alle stampe i seminali album dei Bathory.

 

Le copertine delle prime due demotapes, oggi introvabili

 

LA PRIMA FASE (1992-1995)

 

“Nomindsland”

 

“Nomindsland” dicevamo: bene….

Il gene perfetto, per così dire, deve ancora nascere ed infatti su questo debut album, datato 1992, abbiamo a che fare con un sound ancora immaturo se confrontato a quello che solo pochi anni dopo diverrà il trademark della band (dobbiamo aspettare il 1996): come già detto infatti, le influenze che animano la prima incarnazione dei folli norvegesi sono di chiaro stampo thrash, ora più tecnico, ora più ‘punkeggiante’, con il risultato di ottenere un miscuglio già di per se abbastanza insolito di ‘Norwegian Thrash Metal’, infarcito di pesantissimi influssi alternative che fanno sembrare il combo una versione più allucinata e schizzata  degli Helmet, con una percentuale metallica decisamente più elevata rispetto agli alternative metallers statunitensi (formati entrambi nello stesso anno….coincidenze che ti segnano!).

Brani come ‘No Next Generation’ e ‘Acid’ enfatizzano un’attitudine a suo modo già esasperata,  una serie di potenzialità quasi perfette per una genialità musicale notevole ma ancora non del tutto consapevole dei propri mezzi: il risultato generale è quello di un disco globalmente ottimo, godibilissimo e per molti aspetti decisamente inusuale. Compaiono inoltre, i primi interventi di voce effettata che poco dopo diverranno un must nelle performance vocali in studio del gruppo, ma per i veri estremismi dobbiamo ancora aspettare.

L’unica ‘pecca’ di questo disco è data dalla sua oggi rarissima reperibilità: io stesso mi sono svenato di un cinquantine per poterlo avere in condizioni accettabili, spero in una ristampa a tempo breve….

Comunque il tempo va avanti, come sempre, e con esso anche i Red Harvest affinano i propri mezzi e mutano pelle, dando alla luce uno degli spaccati più belli in assoluto della loro discografia: esce sul mercato, nel 1994, “There’s Beauty in the Purity of Sadness”.

 

“There’s Beauty in the Purity of Sadness”

 

Il disco ci mostra uno spaccato di quello che erano stati i Red Harvest fino ad allora e, allo stesso tempo, quello che diventeranno in futuro, per un crossover auto citazionale decisamente riuscito: se da una parte l’iniziale ‘Wounds’ è il prototipo perfetto di quello che saranno da lì in poi i Red Harvest grazie ai suoi campionamenti, alle sue linee ritmiche meccaniche e le sue parti di chitarra serratissime, d’altro canto brani come ‘Resist’ enfatizzano la componente alternative/Helmet-oriented dell’esordio ma miscelandola a certe vocals distorte, caratteristica che sarà un marchio di fabbrica dell’ensemble nella sua prima fase (idea sicuramente ‘presa in prestito‘ dagli allora spopolanti Ministry), assieme a parti ora pregne di maggiore tecnicismo, ora più atmosferiche.

 

Il video di ‘Wounds’, unico video ufficiale della band.

 

Il risultato complessivo è inusuale e commovente, specie se al tutto alterni anche brani come le intense ‘a.ß.y.l.e.a.k’ e ‘Sadness’ , due episodi agli antipodi immediatamente successivi, acustico il primo e fortemente metallico il secondo, entrambi ricolmi di un’atmosfera orientaleggiante tanto affascinante quanto pericolosa, intenta a narrare di un mondo lontano e pericoloso, con un occhio musicalmente improntato al futuristico.

Da notare il cantato, sempre sopra le righe e mai nei generis che spesso abbraccia derive post-punk: in tutto il disco non vi è la minima traccia di growl o scream, ma si riesce allo stesso tempo a mantenere intatto l’accento sull’estremismo sonoro.

Ma i Nostri (anzi, i Mostri, musicalmente parlando) stanno nuovamente per cambiare forma: è il 1995 ed infatti esce l’EP “The Maztürnation”, da segnalare per via della prima presenza in assoluto del tastierista Lars Sørensen, meglio noto come LRZ, che da lì in poi diventerà il protagonista assoluto delle deviazioni elettroniche del combo.

LRZ proviene dai Dunkel-Hate, progetto formato oltre che da quest’ultimo anche da Kjetil Eggum e Jimmy Bergsten proprio dei Red Harvest, autore di un unico disco intitolato “Obey” e rilasciato nel 1995, infarcito di soluzioni acidissime ed esasperate senza alcun briciolo di accenno di fruibilità occasionale, tanto è distorto e volutamente innaturale nelle sue deviazioni oniriche dalle tinte maestosamente industriali.

 

“Obey” dei Dunkel-Hate

 

Strano a dirlo, ma in questo progetto parallelo si troveranno le basi del futuro suono Red Harvest, quello più autentico ed inimitabile, basterà pochissimo tempo….

 

1996: L’IBRIDO DELLA NUOVA STIRPE

 

 

In alto, la cover originale di “Hybreed”, mentre sotto abbiamo la versione ristampata quest’anno.

 

1996, il Mondo della musica estrema non sarà più lo stesso ma pochi riusciranno davvero ad accorgersene: “Hybreed” esce sul mercato portando con esso una formula rinnovata di intendere il metal estremo, assieme al suono Red Harvest definitivo, quello che fino ad ora ha garantito alla formazione un discreto seguito di fan affezionati (tra cui il sottoscritto).

Si parte con ‘Maztürnation’ per definire un suono estremo indefinibile, claustrofobico: gli accenni alternative del passato sono ancora presenti, ma sono finalmente estremizzati a dovere in un calderone di sonorità uniche e distorte. Il concetto di ‘estremo’ dei Red Harvest è finalmente divenuto quel che dovvea essere, vale a dire un qualcosa che fino ad allora non era stato neanche lontanamente provato: facile testarlo ascoltando brani dall’incedere esplosivo come ‘Mutant’, mentre l’incedere sospeso di ‘After All…’ suona come una lontana, raggelante nenia industriale.

I pezzi si fanno in media piuttosto elaborati e a volte anche piuttosto lunghi (e meglio strutturati), con forti accenni di doom epico (almeno nella concezione che i Red Harvest possono avere per siffatte sonorità) assimilati attraverso un suono completamente distaccato da tutto ed allo stesso tempo fortemente influenzato da ogni cosa allo stesso tempo: e se ‘On Sacred Ground’ si fa notare per il suo straziante incedere claustrofobico, ‘The Harder They Fall’ è un delirante procedere verso l’abisso, ‘Monumental’ è una interminabile estasi delle insicurezze dell’animo umano grazie al suo incedere epico che da questo momento in poi potremo definire ‘in puro stile Red Harvest’.

Un disco quasi cinematografico, come dei Killing Joke impazziti che inseguono le gesta del metal più estremo, un capolavoro ASSOLUTO che trascende i singoli binari di appartenenza e li fonde in un unico insieme, da cui ogni cosa sarebbe potuta evolversi grazie all’infinito potenziale che avrebbero potuto influenzare la scena estrema del periodo ma che purtroppo ben pochi hanno avuto l’occasione di conoscere: forse perché ‘Hybreed’ è davvero slegato da qualsiasi cosa assimilabile al periodo o solo forse perché la loro fama tardava a salire, nonostante prove live che a detta dei presenti erano già di alto livello.

(SEGNALAZIONE DOVUTA: Il disco è stato recentemente ristampato, finora solo in formato musicassetta, dalla Cold Dark Matter Records, etichetta degli stessi Red Harvest: buttateci un occhio)

Ma questi sono tipi duri, ed i Nostri pertanto continuano il loro cammino di evoluzione, incuranti di tutto, anche se la prova successiva si farà attendere.

 

LA RINASCITA DEL NUOVO MILLENNIO (2001)

 

“Cold Dark Matter”

 

Ed infatti, come già detto, si son fatti attendere.

Il ritorno ha dell’incredibile, con il fragore di “Cold Dark Matter” (pubblicato nel 2000) a risuonare prepotente grazie al nuovo contratto con la Nocturnal Art Productions, in concomitanza con la Relapse Records: ora le influenze estreme, soprattutto in ambito death metal, cominciano davvero a farsi sentire, l’impatto già devastante del loro destabilizzante muro sonoro diviene realmente qualcosa di mostruoso ed ancora più indefinibile.

Il suono della ‘Macchina’ quindi si estremizza ulteriormente, ed i Red Harvest del nuovo millennio a prendere sempre più le sembianze di un gigantesco droide impazzito, pronto ad annichilire la razza umana al ritmo di martellanti nenie sonore. O almeno questo è l’effetto che fa l’ascoltare ‘Omnipotent’, pezzo di apertura del disco, dal suono volutamente distorto all’eccesso, massiccio, pesante e realmente estremo, nel senso più puro del termine.

Le liriche ora si spostano su temi di oscurità interiore mentre i maligni presagi futuristici qui esplodono come non mai: non basterebbero 1000 parole per descrivere la bellezza dissonante di “Cold Dark Matter” nella sua vibrante interezza, perché qui siamo nuovamente al cospetto di un qualcosa che va realmente vissuto, più che solamente ascoltato, talmente il risultato è brutale ed a suo modo armonioso al tempo stesso.

Le parti elettroniche ora diventano vere e proprie suite all’interno dei pezzi, che via via si fondono al marasma distorto dato dagli strumenti più tradizionali, dando vita ad un mix di sonorità industriali estreme che altri acts più blasonati tutt’oggi si sognano (….mi scusi buon uomo, è lei per caso che mi ha citato l’ultimo disco dei Morbid Angel?).

 

 

“NewRage World Music” e, sotto, “New World Rage Music”

 

Il nuovo (capo)lavoro verrà seguito a breve da “New World Rage Music”, un EP, riedizione di un introvabile e quasi omonimo EP “NewRage World Music” del 1998 (dalla copertina identica, ma di colore dorato), che sarebbe forse lecito considerare più un disco vero e proprio, dato che oltre a contenere le versioni iniziali (e dal suono più pulito) di brani già presenti nel precedente lavoro, aggiunti numerose rarità ed outtakes.

 

SICKNESS AND PUNISHMENTS (2002 – 2004)

 

“Sick Transit Gloria Mundi”

 

Il 2002 sarà un anno cruciale per i norvegesi: uscirà “Sick Transit Gloria Mundi”, uno tra i loro dischi più celebri, contenente perle di assoluta perfezione meccanica quali ‘AEP’ (devastante inno death/black in salsa tecnologica, opener perfetta per i Nostri) e ‘Godtech’ (un tempo lentissimi infarcito di sadici elogi verso una tecnologia dissacrante per la razza umana), che diverranno due inni in sede live oltre che veri e propri pilastri della filosofia alla base del concetto Red Harvest.

 

“Internal Punishment Programs”

 

Disco meraviglioso come i precedenti, verrà seguito nel 2004 da ‘Internal Punishment Programs’, forse uno dei dischi più deboli se confrontato con le meravigliose gemme del recente passato, segnato dai problemi di salute mentale di Jimmy Bergsten (…. meglio tardi che mai, segnalo che spesso nei dischi ha usato lo pseudonimo di  Ofu Kahn): il titolo del nuovo disco accenna a quei momenti in cui qualcosa dentro di te smette di funzionare e pertanto è il tuo stesso corpo ad offrirti una punizione e si rivela, dal punto di vista lirico, una ferita aperta per esprimere i disagi infiniti del corpulento frontman.

Disco comunque ‘solamente’ buono, finora il disco spostato su soluzioni più canonicamente death metal della formazione, ma  che contiene comunque perle di nichilismo elettronico quali ‘Anatomy of the Unknown’, ‘Abstract Morality Junction’, ‘Wormz’, ‘Mekanizm’ e ‘Symbol Of Decay’.

 

La title-track di “Internal Punishment Programs” eseguita dal vivo al NRK2.

Clicca qui oppure qui per poter visionare due ulteriori brani tratti dalla medesima performance.

 

Nel frattempo, arriverà il primo DVD dal vivo della band, intitolato “Harvest Bloody Harvest”, in grado di testimoniare le massicce dosi di energia che la band è capace di sprigionare durante le sue prove dal vivo: assolutamente da vedere e possedere.

 

Un estratto ufficiale del DVD e la loro grande carica live

 

La copertina del DVD “Harvest Bloody Harvest”

 

A GREATER DARKNESS WILL COME…. (2007 – 2010)

 

“A Greater Darkness”

 

Il disco verrà seguito nel 2007 da “A Greater Darkness”, dove la produzione si fa più canonica, le influenze dei generi estremi più basiliari prendono il sopravvento in alcuni brani rispetto al marasma indefinibile rilasciato fino ad allora.

Ma non si pensi mai che quest’ultimo sia un brutto disco, al contrario dimostra come i Nostri siano all’altezza della situazione anche in contesti  e suoni di produzione più classici, come dimostra l’iniziale ‘Antidote’ oppure la perfidia visionaria di ‘Dead City’ e ‘I Sweat W.O.M.D’ dove addirittura riemergono suoni ed atmosfere tipiche di “Hybreed”, mentre ‘Hole In Me’, ‘Beyond the Limits of Physical Xperience’ e ’Warthemes’ ci riconsegnano i Red Harvest più sperimentali in stato di grazia.

“A Greater Darkness” sarà purtroppo l’ultima prova in studio del mostro norvegese fino ad ora, a cui seguirà unicamente uno scioglimento, avvenuto nel 2010 per ragioni non chiarite (ma alcune voci insistono che ciò sia avvenuto a causa dei problemi di salute mentale di Bergsten, ormai ufficialmente afflitto da paranoia volatile).

 

“The Red Line Archives”

 

Ad onor del vero, l’unica prova discografica o presunta tale a succedere sarà “Red Line Archives”, raccolta pubblicata nel 2008 contentente remix e prove in studio, invero abbastanza trascurabile (per non dire inutile), salvo per i collezionisti più incalliti.

 

L’INATTESO RITORNO IN PISTA (2015)

 

Red Harvest al Blastfest 2016!

 

Red Harvest: anno 2015.

Sul sito ufficiale del Blastbest 2016 compare il logo dei Red Harvest tra i nomi ufficialmente presenti all’evento (furono anche uno tra i primi nomi annunciati): la reunion è cosa fatta, anche Metal Archives conferma la cosa.

La band è ritornata, a dispetto del sito ufficiale (che appunto non segnalerò) che informa ancora dello scioglimento: è la pagina Facebook della band il nuovo motore pulsante delle loro rinnovate attività, dalla fondazione della Cold Dark Matter Records (che ha recentemente ristampato “Hybreed”, con artwork rinnovato, a seguito dell’incessante richiesta di scarsa reperibilità, sperando che ciò avvenga con tutto il resto della discografia, specialmente i primi album) e dei nuovi show dal vivo della band.

Insomma, il ‘Mecha’ norvegese è tornato, per di più in formazione originale, e noi con loro speriamo (o almeno il sottoscritto) che questo ritorno in pista sia finalmente in grado di portare giustizia ad una delle realtà più splendidamente uniche ed originali del metal estremo mondiale: senza dimenticare inoltre, che costoro si son sempre resi autori di dischi splendidi, senza mai compiere un fasso falso vero e proprio, cosa che invece band di caratura più ‘normale’ han già fatto nel loro passato.

E chiudo questo speciale sulla loro importante figura citando i versi di uno dei loro inni, ‘Godtech’.

 

In A World
Controlled
By Machines
Humans Identify
With Machines
Rather Than Regaining
Control Over Their Lives

 

Verso il futuro, sperando che il loro futuro sia migliore di quello descritto nelle loro stesse liriche….

NOTA: In alto, come immagine di copertina, parte del bellissimo artwork della reissue di “Hybreed”.