Death

TrueMetalStories: Strapping Young Lad, essere schiavi della propria creatura

Di Gianluca Fontanesi - 14 Novembre 2016 - 9:00
TrueMetalStories: Strapping Young Lad, essere schiavi della propria creatura

TrueMetalStories: la rubrica in cui presentiamo band giovani e pronte a sfondare, o band di lungo corso che ancora non hanno ricevuto il successo che meritano.
Genesi
Esiste un perché o una ragione quasi per tutte le cose; ciò che sta alla base della bestia va ricercato nella personalità del signor Devin Townsend  verso la seconda metà degli anni ’90. Come tutti sappiamo, Devin fu ingaggiato giovanissimo da Steve Vai come cantante nel disco Sex & Religion e nei relativi tour di supporto e promozione. Molti sogni e aspettative vennero qui disillusi e il buon Devin si sentì come un burattino nelle mani di qualcun altro senza uno straccio di realizzazione artistica né soddisfazione personale; status accentuato dal fatto che ricevette solo porte in faccia nel momento in cui provò a proporre alle label qualche demo della sua musica. La sua visione del music business era quindi vissuta come “un manipolo di persone con falsi sorrisi e muscoli addominali, che un minuto ti dicono che sei grande e in quello dopo che sei merda.” La situazione logorò Devin nel profondo e, se prima aveva una visione più spirituale della musica, ora l’istinto permanente era quello della distruzione, più semplice e diretto. Devin trovò prima un accordo con la Roadrunner, ma venne scaricato praticamente subito e bollato come “solo rumore”; infine si accasò nella piccola e intraprendente Century Media, la quale gli fece firmare un contratto per alcuni album estremi.

 

Heavy as a Really Heavy Thing
Non avendo mai suonato metal, le influenze di Devin furono tra le più disparate: dai Fear Factory ai Carcass fino ad arrivare agli Anal Cunt e la produzione del primo album della nuova creatura avvenne poi da se. Devin in questo caso suonò quasi tutti gli strumenti tranne la batteria, che fu affidata ad Adrian White; fu una produzione frettolosa e semi-amatoriale, che di professionale aveva praticamente solo il mastering eseguito a Los Angeles: “Ascoltando il disco finito, mi resi conto che i primi brani erano fighi, poi il tutto cadeva diventando una manciata di idee da demo.” La copertina fu un affare molto semplice: Devin andò da Robert Lowden, un artista digitale amico di un amico, e comprò questa immagine di un bambino distorta sfogliando tra la sua libreria. All’epoca, nel 1994, le immagini digitali erano ancora tecnicamente al precambriano e bisognava accontentarsi; fu Devin stesso a curare il resto dell’artwork, la foto del suo fondoschiena fu scattata da un certo Byron Stroud.
Il disco in se suona grezzo, embrionale, ma non per questo privo di fascino. Heavy as a Really Heavy Thing è composto da dieci brani e, fin dalle sue prime note, ne emergono sia la bontà di alcune idee che la penalizzazione del tutto da parte di una produzione pressoché amatoriale. Se si parla di black metal è quasi un vanto; se si parla della musica di Devin Townsend è un altro paio di maniche. Viene qui offerta sana ignoranza mista a un’attitudine punk che lo stesso Devin dice di apprezzare molto, tutto imbastito con le influenze citate e gli sprazzi embrionali melodici che poi diverranno uno dei più forti marchi di fabbrica del genio canadese. Le reali potenzialità dei primi due brani, che lo stesso Devin apprezza, le si possono ascoltare nel live in Australia del 1998: con una produzione di un certo tipo e suoni più moderni non sfigurano assolutamente rispetto al resto del repertorio ben più acclamato della band. 
Heavy as a Really Heavy Thing, con stupore di Devin, piacque alla label, che lo pubblicò senza particolari fanfare o pompe magne; nel suo primo mese di vita vendette ben 142 copie! Ricevette alcune buone recensioni ma fu più inteso come un esperimento bizzarro che una chiara dichiarazione di intenti; nel frattempo, la divisione giapponese della Sony contattò Devin proponendogli la pubblicazione di Ocean Machine a patto che creasse una label tutta sua. Nacque così la HevyDevy records e iniziarono le tormentate registrazioni del primo disco solista di Devin, ricche di imprevisti e difficoltà di ogni tipo. Arrivò in quei giorni una telefonata dalla Century Media con la richiesta di dare un seguito a Heavy as a Really Heavy Thing.
 
City
Devin accettò di buon grado: il primo disco dei Syl non rappresentava adeguatamente ciò che aveva appreso della negatività ed era deciso a raggiungere un obiettivo più serio e concreto. Si trasferì quindi a Los Angeles dove gli venne offerto un lavoro presso la Century Media stessa, la mansione consisteva nell’impacchettare e spedire i cd per pagarsi il soggiorno in città. Devin iniziava a fare i conti col suo essere bipolare e iniziava ad accettare sia la parte spirituale che l’oscurità che era dentro di lui; fu durante un altro ritorno a Los Angeles che scrisse City, con l’intento di rappresentare “un’anonima, solitaria esperienza in grado di succhiarti l’anima come può essere il vivere in una grande città”. Le prove con Adrian White del nuovo materiale non andarono come sperato, erano scemati l’entusiasmo nel lavorare insieme e, di conseguenza, anche l’alchimia; fu a un concerto degli Iron Maiden con Blaze alla voce e i Fear Factory di supporto che avvenne il fattaccio. Un amico andò a parlare con Devin dicendo: “Hey, sono qui con Gene Hoglan, sai chi è? Il primo album dei Syl gli è piaciuto molto e vorrebbe incontrarti.” Devin ovviamente conosceva l’orologio atomico grazie ai suoi trascorsi coi Death; “un enorme uomo barbuto con un bastone da passeggio si presentò con un caldo sorriso e un’amichevole stretta di mano”. Devin gli chiese semplicemente se avesse voluto suonare nel nuovo album e lui acconsentì. Quella sera il canadese era ubriaco fradicio; il giorno dopo chiamò Gene chiedendogli se era tutto vero, e chiese anche a Byron Stroud e Jed Simon di essere della partita. 
Prima di lavorare con Gene, Devin aveva inciso delle demo dei brani con specifiche parti di batteria; Gene era inesperto con blast beat e alcuni tempi richiesti ma non fu un problema, imparò tutto in più o meno una settimana di prove. City fu registrato finalmente in uno studio professionale, in un voluto studio professionale, che fu il Mothership Studio di Steve Vai a Hollywood. La band durante le registrazioni dormì sul pavimento dello studio stesso, col chiaro intento di registrare il disco più pesante che si potesse immaginare. In quel periodo Devin si era appassionato di manga e cultura giapponese; l’idea della copertina fu quella di dare ad una città lo schema di un motore. Il tutto, logo stile nipponico compreso, fu opera di un amico di Devin, Scully, sua anche la copertina di Ocean Machine. Gene Hoglan suonò ogni singola nota di City tranne Spirituality e Centipede (bonus track inserita nel live del 1998) che furono programmate; l’album uscì nel febbraio del 1997.
Cos’è City? Kerrang lo definì “l’album più pesante di tutti i tempi”, a ragione del resto. Un capolavoro, un monolite, uno dei capisaldi della musica estrema tutta. Prima vengono sistemati tutti i difetti di Heavy as a Really Heavy Thing con una produzione da denuncia potentissima, industriale e in grado di dare ai Syl il loro sound perfetto. La musica è violentissima, una bordata dietro l’altra con chitarre serrate e monolitiche, il drumming devastante di Gene e la voce demoniaca di Devin; City è geniale, inarrivabile e siamo qui a celebrarlo ancora dopo 20 anni. Non esiste disco ancora oggi in grado di eguagliare quella potenza e quella malattia; il marciume di un agglomerato urbano che si estende come un tumore inarrestabile, i fumi, i liquidi, il soffocarci dentro, tutto è ampiamente descritto e musicato in maniera indimenticabile. Il disco è fondamentale per qualsiasi amante della musica estrema tutta e per la formazione stessa di Devin Townsend, sia come musicista che personale. All Hail The New Flesh, Oh My Fucking God e la tamarrissima Detox sono in grado di tagliarvi l’erba del giardino da sole; per non parlare di Home Nucleosis, A.A.A. e Underneath the Waves. E’ presente una cover dei Cop Shoot Cop, Room 429 e una interlocutoria Spirituality a chiudere il cerchio; quaranta minuti scarsi di orgasmo sonoro bastano e avanzano per entrare nella storia del metal e siglare in maniera ben definita il sodalizio con Gene Hoglan.
Quest’ultimo e Devin vennero in Europa per un tour promozionale; fu durante questo viaggio che i due si parlarono molto e diventarono amici rafforzando sempre più il loro rapporto, tant’è che Gene si trasferì a Vancouver entrando nella band in maniera definitiva. Il primo tour avvenne in Nord America con Testament e Stuck Mojo e i Syl vennero accolti in maniera fredda e apatica; fu però in Australia che inizio il divertimento con la seguente incisione del live del 1998. Nell’album venne suonata anche la grandiosa Far Beyond Metal, che Devin definì come gli At The Gates incrociati con un incubo hair-rock, la quale venne incisa in studio solo in The New Black del 2006. Molte canzoni vennero scritte negli ostelli australiani, Bad Devil di Infinity e Olives di Terria, ad esempio; nel frattempo passarono sei anni prima che la band venisse riconvocata per un nuovo album.

 

Strapping Young Lad
In quei sei anni la band venne accantonata in favore degli svariati progetti solisti di Devin; uscirono Ocean Machine e Infinity e fu un periodo zeppo di difficoltà. La famiglia di Devin storicamente era affetta da malattie mentali e lui stesso ne era predisposto; il suo stato dell’epoca, unito all’uso di droghe, lo portò alla diagnosi del bipolarismo durante la scrittura proprio di Infinity, e si convinse che i Syl per lui fossero tossici e non dovesse più portarli avanti. Sciolse la band e non andò nemmeno in tour. Fu un periodo oscuro, buio e confuso per Devin; non sono nemmeno chiare le informazioni che dà lui stesso in merito! Ad ogni modo decise di confrontarsi con le sue paure e nel 2003 decise di scrivere un nuovo album dei Syl coinvolgendo la vecchia formazione; Jed Byron e Gene accettarono e Syl prese presto vita. Devin parlò di Physicist e di questo album come gli unici due della sua carriera coi quali ebbe veramente raggiunto quelli che erano i suoi obiettivi; contemporaneamente all’omonimo disco fondò la Devin Townsend Band e diede alla stampe Accelerated Evolution. Il presupposto cardine di Syl era il “prendere la nostra energia grezza e meditarci sopra per creare qualcosa di unico” e il titolo fu omonimo appunto per sottolineare il ritorno dei Syl ad essere una band vera e propria e non il progetto solista di uno solo. La copertina fu affidata an Travis Smith e gli fu chiesta una cosa semplice, con titoli semplici e grafica semplice, facile da digerire ma estrema; Devin lavorò già con Travis per Terria nel 2001 e lo trovò una persona estremamente professionale e motivata.  Contrariamente a quello che sembrerebbe ovvio, fu Jed a registrare quasi tutte le chitarre dell’album a causa delle condizioni di Devin e del suo applicarsi anche su Accelerated Evolution; Devin non aveva più nulla da dimostrare a se stesso con questo album e lasciò le redini agli altri, constatando come lavorassero anche meglio senza lui intorno. Durante il tour, Devin divenne quasi subito ossessionato dal fare un disco migliore di Syl e decise addirittura di tornare verso City e lo stato mentale che lo concepì.
Poteva comunque essere soddisfatto del lavoro svolto: Syl è un altro gran bel disco, molto estremo ma anche molto diverso da City. In primis per la produzione, che è molto più rock e meno industriale; gli strumenti sono più ovattati e il sound è più grezzo e primordiale, scelta che all’inizio e abituati agli standard precedenti può sembrare un po’ bislacca, ma alla lunga premia. Ci sono molte perle nell’album, da molti anche apprezzato più di City; è però farcito da composizioni più “difficili” anche se dirette e il suo ascolto non viene praticamente mai alla noia. I marchi di fabbrica della band ci sono tutti: Devin è sempre più brutale e la prestazione di Gene Hoglan dietro le pelli è allucinante e di una potenza inaudita, come sempre accompagnato dal roccioso Byron. Come detto, gran lavoro di Jed alle chitarre e altra lezione di musica estrema al mondo intero. I Syl sostanzialmente suonano semplici, ma l’accoppiata Hoglan-Townsend è irraggiungibile per chiunque.

 

Alien
Alien fu un attacco di schizofrenia, paranoia e ansia; Devin ne fu orgoglioso ma allo stesso tempo dovette ridefinire molte cose di se stesso. Continuare su questa via l’avrebbe di certo ucciso. Si appassionò di meccanica quantistica e iniziò a soffrire di svariate paranoie unite all’insonnia; dovette ospitare la suocera malaticcia e sdentata a casa sua e tutti possiamo immaginare quali furono le conseguenze. In quel periodo Devin produsse altre band e un giorno gli si allagò la cantina dove teneva cd, magliette e aveva anche un piccolo studio; l’assicurazione causa i soliti problemi contrattuali rimborsò una quantità minima di denaro e, in quei giorni, Devin compose Shitstorm.
“Alien took up a good 5 per cent of my overall battery life”.
Il disco è il frutto di tutta l’angoscia di quel periodo, inserita diretta, senza filtri e con la sicurezza che niente sarebbe potuto andare peggio; Alien è un disco intossicato da droga, porno, media, marijuana, alcool e tutto ciò che era stato ingerito e assimilato in quello stralcio di vita. Con Ziltoid, Devin provò poi a rimettere assieme i pezzi, era proprio lui l’alieno. 
L’intento era di fare un disco onesto, il più onesto possibile; fu influenzato molto da un tour coi Meshuggah e dalla band in se, che diede indirettamente a Devin una grossa mano nel definire la forma di Alien, la cui scrittura durò sei mesi. Molte notti furono spese con Gene Hoglan per la stesura del disco, e qui iniziarono le prime incomprensioni che si riversarono poi on the road sotto forma di svariate depressioni. Durante le registrazioni, Devin smise di assumere i farmaci che gli furono prescritti per il bipolarismo; la chiusura dell’album, Info Dump, fu scritta alle quattro del mattino e l’intento era di inserirla come bonus track. Devin aveva lo scopo di usare quel brano senza struttura per simboleggiare la fine della paranoia; una chiusura statica per simboleggiare il non controllo sull’intensità emotiva del disco. Quella notte Devin trovò un programma per tradurre in Morse ogni cosa scritta e inserì anche questo nel brano; il disco finisce con “x2+y2=z2 All is in an echo. Reflections of an eternal present. Connect you now and emerge. Om Om Om Om.” Alien è quindi sia un disco dei Syl che un chiaro manifesto dei limiti mentali di Devin..
..Ed è anche l’album più estremo e fuori controllo che il genio di Vancouver abbia mai composto fino a quel momento. La produzione supera in pesantezza e violenza quella di City e presenta dei bassi in grado di vincere le svariate gare di tuning nelle quali si sfoggia la più becera delle musiche tecno. Aprite il baule, mettete su Possessions e avrete la vittoria in tasca in barba a generazioni di tamarri. L’incipit di Skeksis è da insegnare alla scuola del metal e il proseguo non è di certo da meno; nel dvd allegato all’opera vi e un Gene Hoglan che registra le sue parti indossando dei Dr Martens slacciati e viene da chiedersi quale legge fisica graviti intorno a tutto ciò, il tutto provoca reazioni afrodisiache. La cara e vecchia tempesta di merda ormai è un classico assodato ed è il pezzo più violento composto da Devin Townsend in tutta la sua carriera: cacofonia, velocità, urla laceranti, sofferenza, disagio, c’è tutto. Shitstorm è una persona in preda a una crisi isterica che non ha controllo, parte e rade al suolo tutto ciò che tocca; durante l’ascolto ci si figura la suocera malata, la cantina allagata e Devin ancora coi capelli che urla di tutto, c’è anche un piccolo humor nero di fondo che è inevitabile non tirare fuori. La canzone finisce con un arpeggio, come tutti gli stati di rabbia assassina del resto: si ansima e si cerca a tutti i modi di aggrapparsi all’aria per cercare l’equilibrio perso e si sguazza in un limbo ancora da definire. Tempo qualche secondo e parte tanto amore con Love?, che è la visione townsendiana del nobile sentimento ampiamente esplicata a suon di doppia cassa e ritornelli falsamente ariosi. Shine e We Ride continuano imperterrite l’assalto, ma e con Possessions che le cose diventano pericolose; solo Devin avrebbe potuto concepire una cosa del genere. Il ritornello alternato tra lo scream principale e un coro di bambini è da pelle d’oca (qualcuno lo faccia sentire agli attuali In Flames) e il bridge è l’ecatombe dei partecipanti a sapete già cosa. Un pezzo ambient come Two Weeks appare quasi necessario, e presto viene soppresso dalle conclusive Thalamus e Zen. Info Dump non è nemmeno in tracklist, ma appare a questo punto dal nulla e traghetta l’ascoltatore martoriato verso la fine delle ostilità.

 

The New Black
Dopo Alien, Devin sentiva già che questa parte della sua vita stava volgendo ormai al termine; probabilmente quindi abbiamo nelle nostre mani The New Black solo perché il contratto con la Century Media prevedeva cinque album e Devin decise di onorarlo fino in fondo. Nel frattempo uscì Synchestra a continuare il perenne dualismo dell’opera townsendiana; Devin, ormai quasi schiavo della sua creatura come uno scrittore dei suoi personaggi, realizzò che l’unica maniera per venirne fuori sarebbe stata l’attraversare il tutto. E così fece.
L’intento era di realizzare un album con una versione più “commerciale” dei Syl e la sua composizione fu scevra da psicosi, ansie o devastazioni di ogni tipo; come se la musica dei Syl dipendesse proprio da questo, l’album uscì poco ispirato e fu lo stesso Devin ad ammetterlo. In studio non volle strafare con effetti, samplers o altre amenità e volle anche colori sgargianti nel libretto per dichiarare al mondo di esserne finalmente fuori, complice anche la sensazione che le persone che ruotavano attorno alla band vedessero la diagnosi del suo bipolarismo come non vera o addirittura esagerata. The New Black è stato quindi un chiamarsene fuori ma con rispetto.
Non c’è nulla di particolare che non vada nell’album, ma il sentore che le cose fossero cambiate e che qualcosa stesse per succedere era percepibile fin dai giorni della sua uscita. La violenza sprigionata dalla band non appare più come furia ma come entità controllata, quasi impattante contro un cuscino e altamente mescolata coi progetti solisti del buon Devin; The New Black offre i Syl di nome e coi fatti ci va molto piano. You Suck va comunque a bomba, ma vogliamo paragonarla con una Relentless a caso? Anti Product è fra i migliori brani dell’album, ma è un brano bislacco e che socia quasi nell’avantgarde facendo uso di trombe, tromboni e trombette; così anche Monument, che sembra Bad Devil adattata per i Syl (alcuni passaggi sono simili alla futura Lucky Animals). Wrong Side e Hope ci provano ma senza ottenere risultati degni di nota; fa poi capolino la già conosciuta Far Beyond Metal che, finalmente registrata in studio, guadagna pulizia ma perde molta della sua ferocia e del suo appeal catturato nel 1998. Fucker si cimenta in un inedito crossover e Almost Again sembra un brano di Synchestra; Polyphony non fa testo essendo un breve intermezzo e la titletrack conclude il tutto provando a risollevare ciò che probabilmente era già sbagliato in partenza fin dai suoi presupposti.

 

Fine Della Storia
Ciò che mise fine ai Syl fu ovviamente lo stesso Devin. Il successo della band era in crescita esponenziale e i tour stavano diventando sempre più grossi e impegnativi, ma lui non era più parte della cosa, ne era schiavo. Voleva che la sua arte non fosse apprezzata per la violenza, la malattia e la psicosi ma voleva creare qualcosa di bellissimo e “pulito”; si stava uccidendo e logorando per questo, così dovette dire basta e fermare lui stesso la macchina. Non ci è dato sapere dove sarebbe stata oggi la band e soprattutto in che situazione sarebbe stato Devin se avesse continuato il percorso dei Syl; sappiamo però dov’è Devin da solo e lo apprezziamo sempre di più disco dopo disco. I Syl non erano solo una band ma anche uno stato mentale ben preciso, dal quale Devin era rimasto schiacciato e decise di liberarsene; non avremo quindi mai più un disco dei Syl ma dovremo accontentarci di sentire qualche pezzo sporadico suonato ai concerti se lui vorrà. In fin dei conti è giusto così: una band finita deve essere tale e il circo reunion non deve iniziare perché di artistico non ha nulla, è solo denaro. A noi resta la musica, e i Syl hanno donato al mondo un disco epocale e due quasi capolavori; un quasi demo e un commiato così così, al giorno d’oggi è tanta roba. Il bipolarismo comunque continua a farsi sentire: il recente Deconstruction fu un altro capolavoro della musica estrema tutta e ci ha messi in attesa di un altro disco del genere da ormai qualche anno. Quando Townsend fa un disco estremo non ce n’è per nessuno, siamo certi che ce ne sarà un altro.