Live Report: Steve Hackett a Bologna

Di Lorenzo Bacega - 21 Maggio 2011 - 12:00
Live Report: Steve Hackett a Bologna

Gradito ritorno in Italia per Steve Hackett e la sua Electric Band. A nemmeno un anno di distanza dall’ultima – eccezionale – apparizione risalente al Summer Rock Festival dello scorso agosto, il celebre chitarrista britannico ha infatti deciso di regalare ai suoi fan ben tre date sparse tra nord e centro della penisola, nell’ordine a Milano, Bologna e Roma. Per l’occasione abbiamo seguito il secondo dei tre show in programma, svoltosi in un locale come l’Estragon che ormai, possiamo ben dirlo, può essere considerato una vera e propria garanzia.

Lorenzo Bacega

Report a cura di Lorenzo Bacega
Foto a cura di Angelo D’Acunto

Sono le 22:05 quando, con qualche minuto di ritardo sulla tabella di marcia, si spengono le luci dell’Estragon e ha inizio l’esibizione di Steve Hackett. Accolto in maniera assolutamente calorosa dallo sparuto (ma ugualmente rumoroso) pubblico bolognese assiepato all’interno del locale, lo storico chitarrista britannico, fresco di pubblicazione dell’ennesimo live album della carriera (intitolato Live Rails, dato alle stampe lo scorso aprile tramite InsideOut Records), si rivela sin dalle primissime battute in un ottimo stato di forma, pronto a intrattenere gli astanti con uno spettacolo oltremodo intenso e, come vedremo, prodigo di emozioni. L’apertura della setlist è di quelle che lasciano il segno: Valley of the Kings e Every Day – estratti rispettivamente da Watcher of the Skies – Genesis Revisited (1996) e da Spectral Mornings (1980) – possono sicuramente essere considerati due pezzi di altissimo livello, magistralmente interpretati dalla formazione capeggiata dal chitarrista ex-Genesis e capaci di scaldare come si deve gli spettatori.

 

 

Quella offerta dal sestetto inglese è una prestazione estremamente brillante e trascinante, supportata in questa occasione da suoni complessivamente puliti e ben bilanciati, nonché precisa al millimetro per quanto riguarda il profilo esecutivo. Ottimo in questo senso il lavoro svolto dalla sezione ritmica, costituita nello specifico dal bassista Nick Beggs – autore fra l’altro di un assai convincente assolo di chapman stick – e dal batterista/cantante Gary O’Toole, artefici entrambi di una prova assolutamente martellante e priva di evidenti sbavature. Il pubblico, dal canto suo, dimostra di gradire particolarmente lo show messo in piedi da Steve Hackett e soci, scatenandosi in interminabili applausi nelle pause tra una canzone e l’altra e lanciandosi in continue ovazioni. Scaletta discretamente bilanciata quella proposta nel corso della serata, prevalentemente orientata sull’ultima fatica del chitarrista britannico – intitolata Out of the Tunnel’s Mouth, pubblicata lo scorso anno tramite InsideOut Records – dal quale vengono proposti brani quali Fire on the Moon, Emerald and Ash, Sleepers e Still Waters, ma che al tempo stesso non trascura la produzione meno recente, qui rappresentata da pezzi del calibro di The Golden Age of Steam (da Darktown, 1999), Sierra Quemada (proveniente da Guitar Noir, 1993), Ace of Wands e Shadow of the Hierophant (entrambe estratte da Voyage of the Acolyte, 1975); non mancano inoltre le “solite” cover dei Genesis tra le quali possiamo annoverare l’acustica Blood on the Rooftops, la melodica The Carpet Crawlers e un’intensissima Watcher of the Skies. Conclusione affidata come di consueto all’acclamatissima Firth of Fifth e a Clocks – The Angel of Mons (inframezzata da un ottimo assolo di batteria), che mettono la parola fine a uno spettacolo nel complesso oltremodo intenso e trascinante.