Ultra-Violence: tutto Privilege To Overcome in anteprima, traccia per traccia

Di Orso Comellini - 2 Febbraio 2013 - 14:00
Ultra-Violence: tutto Privilege To Overcome in anteprima, traccia per traccia

Fin dalla sua nascita TrueMetal.it ha sempre cercato di dare spazio e valorizzare quanto di buono venisse prodotto sul suolo italico, sia nel caso di band ormai affermate, sia di gruppi poco più che debuttanti e ancora underground, come nel caso dei giovanissimi e promettenti thrasher Ultra-Violence.

 

Il combo torinese si era presentato lo scorso anno con lo spumeggiante EP di debutto Wildcrash e successivamente si era messo a nudo attraverso una lunga e dettagliata intervista sempre sulle Nostre pagine. In quell’occasione ci avevano fornito alcune anticipazioni riguardanti il loro primo full-length, “Privilege To Overcome”, in uscita tramite Punishment 18 il 29 Aprile.

I Nostri sono appena usciti dalle sale di registrazione degli studi Domination di Simone Mularoni e hanno deciso di presentare in anteprima il loro lavoro, atteso con certe aspettative.
Di seguito il video delle registrazioni:
 

 

Come annunciato in precedenza, l’album vede la partecipazione di Tony “Demolition Man” Dolan (ex-Atomkraft/Venom), attualmente in forze negli M-Pire Of Evil, sul brano “The Voodoo Cross” e del mitico Ed Repka per la realizzazione dell’artwork, che potete gustare qui sotto.

 

 

 

Infine, in attesa della fatidica data di uscita di “Privilege To Overcome” vi proponiamo il track by track dell’intero album!

 

Spell Of The Moon: opener che, come suggerisce il titolo e gli ululati in apertura tratta il tema della licantropia, potrebbe trarre in inganno circa l’evoluzione del gruppo dopo l’EP di debutto “Wildcrash”, caratterizzato, come sappiamo, da un thrash old school avulso da qualsiasi modernismo. La partenza, infatti, ricorda un po’ una versione accelerata di “Davidian” dei Machine Head, ma non temete miei famelici thrasher intransigenti: su “Privilege To Overcome” non troverete elementi post/groove thrash e difatti, pur non trattandosi della traccia più veloce e assassina, s’incanala ben presto sui binari a loro più congeniali, regalandoci riff da scapocciamento e accelerazioni da manuele.

L.F.D.Y.: a fugare ogni possibile dubbio circa la natura dell’album ci pensa la ben più viscerale seconda traccia. Acronimo (“Live Fast – Die Young”) che prelude inevitabilmente a un ritornello anthemico da urlare in coro intrappolati nel moshpit più frenato sotto al palco e che riporta alla mente quel thrash dall’animo hardcore tipicamente ‘newyorkese’, figlio di Anthrax e Overkill. Ottimo il lavoro di Vacchiotti in fase solista che alza sensibilmente il potenziale adrenalinico del pezzo, seguendo le orme di un certo Kirk Hammett.

Order Of The Black: Parte iniziale sostenuta, con riff stoppato e martellante tappeto di “Robba” al basso, sezione centrale caratterizzata da un mid tempo roccioso e accelerazione bruciante nel finale, il tutto condito da vari e improvvisi soli di chitarra. Questi gli ingredienti del terzo brano in scaletta, atto a surriscaldare definitivamente gli animi con il suo crescendo letale.

Stigmatized Reality: uno dei brani più aggressivi. Qui i Nostri sfiorano quasi lidi black/death, un po’ come certe soluzioni dei recenti lavori targati Testament. Così come Castiglia alla voce talvolta accenna un growl cavernoso che ricorda vagamente quello dell’imponente Billy. Complessivamente una bella mazzata!

Restless Parasite: come nel caso di “Frustration Of Soul”, dal precedente EP, si ha talvolta l’impressione di avere a che fare con un brano composto per entrare in uno tra il debutto e “Frolic Through The Park” dei Death Angel (del resto si chiamano Ultra-Violence, no?), eppure paradossalmente è in pezzi come questo che emerge maggiormente lo stile del gruppo, che li rende in un certo senso riconoscibili. Sono in particolar modo le ritmiche di chitarra a fare la differenza con il loro incedere battagliero.

Turn Into Dust: procede a braccetto con la traccia precedente, denotando anche questa una certa personalità e come nell’altro episodio si mette in mostra Verre con il suo poderoso e vario drumming. Nonostante siano passati soli pochi mesi dall’uscita di “Wildcrash” la sua crescita è evidente. Non c’è un attimo di respiro, sebbene questa volta si percepisca una certa melodia di fondo, che tende subito a imprimersi in testa, data dalla disperazione palpabile del soldato in trincea che ormai ha perso ogni speranza di salvezza e se la prende con chi lo ha spedito in prima linea. Insomma, un “uno-due” assestato con veemenza alla bocca dello stomaco.

The Voodoo Cross: la doppietta precedente sarebbe sufficiente per dare il colpo del knock-out, ma i Nostri decidono di giocare ancora un po’ al gatto e al topo con la propria vittima di turno, concedendogli di riprendere fiato rallentando un po’ i ritmi. “The Voodoo Cross”, infatti, è un lungo brano cadenzato forse un po’ ripetitivo nella comunque vigorosa parte iniziale, ma di sicuro effetto. Specie nella parte centrale, nella quale un lugubre arpeggio fa da sfondo a una sezione parlata ad opera del celebre Demolition Man, che poi sfocia in un evocativo e inusuale solo dall’animo blues. Una dimostrazione che il quartetto se la cava bene e ha le idee chiare anche quando non preme sull’acceleratore.

You’re Dead: che gli Ultra-Violence abbiano altre frecce al proprio arco ce ne dà prova questa  breve sfuriata thrashcore di meno di un minuto. Evidentemente quello che l’hardcore ha dato al thrash, in particolare negli eighties, scorre vivo nelle vene di questi giovani ragazzi.

The Beast Behind Your Back: senz’altro uno dei migliori brani del lotto, riporta ai giorni nostri il mito dell’efferato Jack lo squartatore e come quest’ultimo assale la propria preda senza che questa abbia il tempo di reagire. Ancora una volta colpiscono duro le sventagliate di batteria e vanno a segno come stilettate i taglienti riff di chitarra. Sarebbe interessante testarne l’efficacia dal vivo, dato che già su disco tende a smuovere di peso. Violenza allo stato puro.

10.000 Ways To Spread My Hate: musicalmente questo brano è un po’ il fratello minore di “Stigmatized Reality”, seguendone le coordinate stilistiche. Non aggiunge poi molto a quanto fatto sentire finora, ma non per questo si tratta del classico filler da skippare, anzi. Certi passaggi di chitarra mi hanno ricordato i loro compagni di scuderia Madmaze e la loro potenza controllata, convogliata nell’assidua ricerca di raffinati fraseggi nei quali una cupa melodia gioca un ruolo di pari importanza con la cieca furia thrash..

Metal Milizia: è la cover dello storico act torinese IRA, autore, purtroppo, di un solo demo a metà anni Ottanta: “Power In Black”. Un brano dedicato al mitico obelisco di piazza Statuto, punto di ritrovo dei metaller locali dell’epoca. Un sentito tributo, quindi, ai loro concittadini, per cercare una continuità con un passato di cui i Nostri evidentemente desiderano raccogliere l’eredità. Il risultato è sicuramente all’altezza delle aspettative, diventando istantaneamente un inno speed/thrash che ci dà la misura della bontà di quella scena, anche a distanza di tanti anni. Il giovane combo interpreta in maniera piuttosto personale questa cover, anche se si capisce chiaramente che il brano proviene da un periodo piuttosto differente, nel quale la stragrande maggioranza dei gruppi affondava le proprie radici in un consolidato background hard&heavy, mentre molte delle nuove leve, ahimè,  hanno un po’ perso di vista questo fondamentale genere di retaggio. Mi auguro quindi che gli Ultra-Violence proseguano questo percorso di riscoperta delle origini di tutto l’HM in senso ampio!

When Future & Past Collide: è un breve strumentale che dà il la alla traccia conclusiva, “Ride Across The Storm”. Un breve intro arpeggiato che potrebbe essere definito come la calma prima della tempesta.

Ride Across The Storm: le aggraziate note di “When Future…” amplificano notevolmente l’attacco in puro stile black metal prima che la traccia cambi ancora pelle aggredendo l’ascoltare con il classico palm muting e riff stoppato à la “Domination” dei Pantera. Una struttura in continuo mutamento, perciò, con l’intenzione di narrarci le peripezie di un incauto viaggiatore del tempo, il quale partendo dall’Età della pietra e passando per l’epoca dei faraoni e dei centurioni, si spinge troppo oltre i confini di ciò che è umanamente possibile, segnando il proprio destino. Musicalmente poi il brano si chiude con una bella serie di soli e intecci di twin guitar, con fare quasi auto celebrativo. Questa traccia più articolato è la degna conclusione di un album molto vario e indubbiamente andato a segno.
 

Per considerazioni più approfondite e una valutazione generale vi rimandiamo alla recensione vera e propria dell’album, in concomitanza con l’uscita ufficiale dello stesso.