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Madmaze (Alberto Baroni)

Di Orso Comellini - 2 Agosto 2012 - 18:49
Madmaze (Alberto Baroni)

“Frames Of Alienation” è senz’altro uno dei debutti più promettenti della scena thrash tricolore, realizzato da una formazione giovane e talentuosa come quella dei Madmaze. In pieno periodo di revival, sono molti, coloro i quali cercano di sfruttare il momento propizio del thrash per avere i classici cinque minuti di notorietà, ma c’è anche chi sembra animato da una genuina passione e che intende durare a prescindere dalla moda del momento. È questo il caso, riteniamo, del combo modenese e per questo noi dello staff di TM non ci siamo fatti sfuggire l’occasione di fare un viaggio alla scoperta del gruppo, toccando anche argomenti di stretta attualità.

Intervista a cura di Orso “Orso80” Comellini

-Ciao ragazzi, grazie per averci concesso l’intervista! Cominciamo parlando del vostro album di debutto “Frames Of Alienation”, come è nata la collaborazione con la Punishment18 Records e che tipo di ambiente avete trovato?

Ciao grazie a voi  per averci contattato e supportato! La collaborazione con la Punishment è iniziata poco dopo l’uscita del nostro ep “No Time Left” autoprodotto contenente quattro  brani, tre dei quali riproposti e riregistrati sull’album.
Siamo stati contattati da Corrado Breno che, molto interessato alla nostra proposta musicale, ci ha offerto l’ingresso nel roster della sua etichetta; per quanto ci riguarda non poteva capitare in un momento migliore! La nostra voglia di farci conoscere e pubblicare un full di pezzi inediti era pulsante, abbiamo colto  la palla al balzo e siamo entrati nella famiglia Punishment.
Ne siamo contenti anche perché Corrado e’ un ascoltatore attento ed esperto del genere, per la sua etichetta seleziona sempre gruppi che si distinguono in qualche aspetto e siamo felici di essere tra quelli.

-Come siete entrati in contatto con il leggendario Ed Repka? Siete stati voi a suggerire l’idea per la copertina oppure è sua?

Da parte della band la voglia di avere la copertina firmata dal grande Repka e’ nata durante la realizzazione dell’album. Arrivati alla progettazione dell’artwork, consultandoci sugli stili piu’ adatti non abbiamo resistito all’inconfondibile tratto del leggendario illustratore, così attraverso la Punishment abbiamo avuto la possibilità di contattarlo, ci siamo scambiati consigli sulla realizzazione della copertina guidati da un’idea del cantante Alberto Dettori che Ed ha riadattato secondo il suo inconfondibile stile.
Arrivato, l’artwork definitivo è stato subito colpo di fulmine: ha colto in pieno l’idea che avevamo,  siamo estremamente soddisfatti.

 


-Di cosa parlano le lyrics dell’album?

Abbiamo affrontato varie tematiche nell’ album, non necessariamente collegate tra loro.
Si passa da ambientazioni post nucleari a società segrete invischiate politicamente, pratiche di lavaggio del cervello a scopo militare, riferimenti all’ incidenza che può avere la religione sulle masse. Insomma ci piace trattare contenuti di natura psicologica o sociale adattandoli ad un contesto immaginario.

-Quali sono i punti di forza del disco e quali, quelli che, potendo, cambiereste?

Ci possiamo ritenere soddisfatti di un po’ tutta la componente musicale, ma penso che il complimento più grande sia venuto da un nostro fan di facebook, dicendoci di aver ritrovato nel nostro lavoro delle canzoni a tutto tondo, e non solo sterili dimostrazioni tecniche senz’anima. Questo per noi è importantissimo ed è sicuramente uno degli aspetti che vogliamo mantenere.
La strada che vogliamo seguire per il futuro sarà certamente all’insegna della mentalità aperta: sperimentare soluzioni che magari uno o due anni fa avremmo scartato, discostandoci gradualmente dal classicismo in favore di strutture più dinamiche. Questo senz’altro contribuirebbe ad accrescere la nostra personalità ma ci dobbiamo lavorare.


-A parte i nomi noti, quali sono i gruppi minori che più di altri vi hanno ispirato (intendo fin da piccoli) e quelli che attualmente ascoltate più volentieri?

Da piccolo non avevo ancora la concezione di “acquistare” o di farmi comprare un album.
A parte questo penso che nella nostra generazione abbia giocato un ruolo importante il palinsesto delle prime emittenti televisive musicali come Videomusic. Erano i primi anni ’90 e non era difficile imbattersi in video di Nirvana, Smashing Pumpkins, SoundGarden, Stone temple Pilots, Rage against the machine…forse mi è capitato di vedere anche qualcosa dei Pantera ma all’epoca ero troppo acerbo per apprezzarli. Questi sono stati i primi approcci “non selezionati” verso diversi modi di intendere il rock.
Poi con l’adolescenza siamo entrati in contatto con i cosiddetti classici, chi partendo da Savatage, Black Sabbath, chi sul versante più heavy con Iron, Metallica e Slayer.
Attualmente abbiamo orizzonti decisamente più ampi. Spaziamo dai Coroner agli Artillery e al di fuori del thrash molti di noi seguono la scena death/brutal così come quella di chitarristi solisti come Richie Kotzen ed Andy Timmons.

-Quali sono i motivi principali che vi portano a comporre musica thrash metal? Come scatta la scintilla?

Chiaramente il motivo scatenante e’ la grande passione che abbiamo per questo genere.
Del thrash metal apprezziamo la semplicità e l’immediatezza, anche se questo rende più difficile riuscire ad  esprimere qualcosa di significativo senza essere banali.
Probabilmente il segreto è quello di non sofisticare mai troppo un’idea nata spontaneamente. Ci piace l’aspetto grintoso e ” di pancia” da cui nasce un riff. Se poi si è in grado di disegnarci attorno una venatura melodica non invasiva questo non fa che impreziosire il tutto!

-Nonostante su molti siti specializzati venga riportato come bassista Andrea “Kase” Casari, sul booklet quel ruolo viene attribuito a Mirco “Mibbe” Bennati (già in forze con Injury e Amassado). Mi piacerebbe saperne di più…

Nel periodo di creazione dell’ep nella band era presente Andrea Casari. Purtroppo  dovette abbandonare il progetto mad-maze per dedicarsi con più forza a lavori personali, dopodiché contattammo Mibbe per un aiuto tecnico nella linea bassistica dei brani e nella fase di registrazione dell’album. Colgo l’occasione  ancora una volta per ringraziarlo dell’ottimo lavoro svolto .

-Rispetto all’EP d’esordio, “No Time Left”, cosa è cambiato a livello di formazione e di approccio al songwriting? Buona parte del materiale, comunque, proviene dalla vostra prima release, giusto?

Esatto, abbiamo inserito nell’album i tre  brani dell’ep “Lord Of All That Remains”  “Madmaze”  “Retribution”. Non volevamo che rimanessero  esclusivamente nell’ep, quindi li abbiamo riregistrati.
La composizione delle canzoni durante la preparazione del full si e’ fatta man mano  più elaborata, ma la linea guida generale e’ rimasta sempre la stessa: si partiva da una base di chitarra ritmica partorita da Luca Venturelli che veniva poi arricchita in sala prove con batteria, linee vocali e di basso, completata da soli e sfumature varie.
Poi in fase di pre produzione abbiamo messo a punto gli  ultimi dettagli. Non e’ quindi cambiata la meccanica di costruzione dei pezzi ma la qualità dei contenuti, o almeno questo era il nostro intento.


-Siete partiti nel 2002 con il moniker Absence Of Light (che ci fa intuire quale sia il vostro grande gruppo di riferimento), proponendo cover di gruppi thrash anni ’80: avevate anche del materiale originale che poi avete ripreso? Come mai dopo circa quattro anni vi siete sciolti senza aver rilasciato alcun materiale?

Il motivo dello scioglimento è stata la natura stessa del gruppo; una cover band ha senso unicamente come percorso di formazione. Una volta raggiunti degli standard tecnici accettabili e preso confidenza col palco in sede live è naturale sentire l’esigenza di una crescita.
Forse all’epoca non desideravamo andare tutti nella stessa direzione (e comunque la formazione coinvolgeva alcuni musicisti non più presenti nei Madmaze) e allora abbiamo deciso di prender parte a progetti diversi.

-Cosa vi ha spinto, invece, a riformarvi?

Nel corso degli anni dopo lo scioglimento degli Absence, parlando tra di noi è sempre stato presente il desiderio di riaffrontare un progetto legato al thrash, anche se non avevamo ancora una chiara idea di quale stile adottare. Una volta rimesso assieme un gruppo sufficientemente stabile di elementi abbiamo iniziato a buttar giù idee, e così siamo giunti al sound che oggi potete sentire nell’ album.

 

-Cosa ne pensate del “revival” thrash degli ultimi anni? Quali sono, secondo voi, tra le nuove leve, i gruppi nazionali e internazionali validi?

Penso che ognuno di noi giudichi la scena in maniera diversa e con diversi livelli di criticità.
Certo ci sono eventi ciclici che nel metal, come nel cinema o nell’arte in generale sono destinati a  ritornare riportando in auge alcuni “stili” del passato. La cosa importante è non sottovalutare mai le proposte che offre il panorama musicale odierno, dare una chance a tutti e affrontare l’ascolto senza l’indole inquisitoria che si respira in qualche recensione, applicata unicamente allo scopo di stanare similitudini coi gruppi classici, non cogliendo magari la qualità e la grinta di molti brani contenuti negli album.
Se fare degli esempi può aiutare penso che ultimamente gruppi come evile, havok, warbringer, Vektor con qualche episodio anche nei Mantic Ritual  abbiano dato esempio di come la passione possa far nascere lavori degni di nota.
A livello nazionale la situazione è in totale fermento e questo non fa che incoraggiarci.
Appenza possibile ci piacerebbe dividere il palco con realtà come Death Mechanism, Abuser, Urto, National Suicide e reicontrare i nostri vicini di casa Injury e Game Over!

 -…E quelli che invece cercano solo di sfruttare il “trend” del momento?

Non possono durare. Voglio dire, già è difficilissimo riuscire a ritagliarsi uno spicchio di attenzione mediatica se ti fai in quattro ed investi quei pochi risparmi di cui disponi, figuriamoci cosa puoi ottenere senza tutti questi sforzi. Non è una corsa all’oro.
Chi ha passione e perseveranza arriva ad ottenere un infinitesimo del successo dei big ma si sente realizzato, chi lo fa solo per auto-promuoversi non si accontenta delle briciole e tende a mollare.

-Dei gruppi storici, quali continuate a seguire e a quali consigliereste di ritirarsi mestamente dalle scene?

Della prima categoria sicuramente Overkill e Testament stanno tutt’ora spaccando culi, assieme ad Onslaught e agli instancabili Destruction, gruppo fieramente legato all’underground, ma che non accenna a voler flettere la propria attitudine!
Della seconda invece beh….non fateci dire Metallica. Anzi non lo pensiamo nemmeno, semplicemente perché non li seguiamo con gran interesse…
Exodus? si possono ancora salvare, ma deve tornare Souza!


-Quali sono le principali differenze tra lo storico movimento degli eighties e quello attuale?

In quegli anni si stava scoprendo uno stile “nuovo” e l’ ampia diffusione di quelle sonorità faceva sì che venissero interpretate con molteplici soluzioni, talvolta estremizzate a livello musicale e vocale. Molti gruppi, anche minori, sono rimasti impressi perché hanno osato dare un tocco a volte azzardato ai loro pezzi e questo ha dato vita ad ulteriori sottogeneri; Il panorama era ricco di tante influenze e non c’era la paura di percorrere nuove strade.
Oggi sembra tutto improntato all’omologazione, alla resa formalmente corretta, pompata e “figa”. Manca forse un po’ di sale. Una variazione sul tema può essere accolta male e quindi  si tende a realizzare un prodotto che sia commestibile per il più vasto pubblico possibile.

-Cosa deve avere oggi un gruppo thrash per riuscire a lasciare il segno e non finire tra le migliaia di gruppi clone?

Come dicevo prima, non bisogna confezionare il prodotto “piacione” a tutti i costi. Se si sente l’esigenza di dare una pennellata decisa bisogna farlo. A qualcuno non piacerà ma non importa.
Bisogna fare delle scelte, ed è bene che quelle scelte rispecchino le tue idee, e non le aspettative che gli altri si fanno su di te.

-L’attuale scena tricolore sembra godere di ottima salute, sia per quanto riguarda le band (le quali però sembrano più conosciute all’estero, in alcuni casi, che in patria), sia quanto  a label e distributori: cosa manca alla definitiva esplosione? Il pubblico appare numeroso e appassionato…

Il pubblico è numeroso ma è spesso scoraggiato dalla penuria di locali che permette a gruppi emergenti di esibirsi live: non dobbiamo certo farvi notare noi di quanto siamo arretrati rispetto alle altre nazioni in questo aspetto.
Si privilegia la tribute band. Non ci sono soldi nemmeno per il rimborso spese. Le organizzazioni lasciano spesso a desiderare. Noi siamo di Modena e per quanto nel Nord Italia la situazione non sia a livelli drastici non possiamo certo dirci soddisfatti.
Si accusa spesso il metallaro italiano di essere pigro e di muoversi solo per i grandi nomi, ma la verità è che se non c’è una continuità nella scena live anche underground, non si invoglia la gente a partecipare agli eventi.

-Questa situazione ricorda un po’ i primi anni novanta, quando in Italia emersero gruppi come Extrema, In.Si.Dia e Broken Glazz che si affiancarono ai nomi storici. Sembrava che il movimento dovesse fare il botto da un momento all’altro, invece finì per implodere su se stesso. Come fare a scongiurare questo pericolo? Quale la ricetta?

Domanda da un milione di dollari. Difficile rispondere. Mai come oggi la scena è satura di piccoli gruppi tecnicamente molto preparati ma il mercato segue logiche diverse. Forse le label italiane dovrebbero tentare maggiormente di proporre i gruppi all’estero in modo da avere subito una visibilità quantomeno europea, che rimane una terra in cui il metal ottiene ancora qualche risultato.
Penso che ad oggi nessuno punti più alla sola penisola come bacino d’utenza, né le etichette né i gruppi stessi.
 


-Cosa ne pensate delle possibilità della rete (YouTube, Facebook, eBay ecc.)? Croce o delizia? La mia opinione personale è che oggigiorno i più giovani metalheads abbiano più facile accesso a ogni genere di musica o gruppo e che siano molto preparati, tuttavia l’ascolto si è fatto un po’ più superficiale,  rispetto a quando per comprare alcuni dischi dovevi “sudarteli” cercandoli a destra e a manca (e di conseguenza poi finivi per approfondirli di più e dargli  maggiore valore!).

E’ così!
La rete dovrebbe fungere da vetrina grazie alla quale scegliere su cosa orientarsi. La realtà dei fatti è però ben diversa: ci si lascia sopraffare dalla tentazione del poter avere tutto a zero costo, “fregando” il sistema. La soluzione, come spesso accade, sta nel mezzo. E’ giusto poter scaricare musica a livello di sample o magari anche di album interi, a patto che ci si assuma l’impegno di acquistare se piace o di cancellare se non piace.
Quando non c’era internet il processo di ricerca e di soddisfazione nel trovare quell’album semisconosciuto ma consigliatissimo dalle riviste aveva un fascino innegabile, che presentava il suo rovescio di medaglia non appena ci si accorgeva che il cd acquistato non era di proprio gradimento! Questo per dire: Non è giusto nemmeno comprare musica a scatola chiusa!

-Quali sono i vostri programmi per il futuro (Concerti, nuovo album ecc.)?

Stiamo puntando tantissimo sulla promozione del disco, e cercheremo di intensificare l’attività live. Per un eventuale nuovo disco è sicuramente nei nostri piani ma non abbiamo fretta di buttarlo fuori frettolosamente. Non appena c’è un’idea, ci lavoriamo ma non ci siamo posti una scadenza.

-Infine una domanda extra musicale: qual è stata la vostra esperienza diretta del tragico terremoto che ha colpito la zona dell’Emilia Romagna? Sembra che i media abbiano sfruttato l’occasione per aumentare gli ascolti e una volta calato l’“interesse” si siano dimenticati di voi: qual è la situazione attuale?

Non dirò certamente nulla che non sia già stato detto: sono stati giorni di tensione estrema, chi più chi meno abbiamo dovuto fare i conti con il panico e con l’imprevedibilità degli eventi.
Per fortuna nessuno di noi ha subito danni o perdite per quanto abitando a pochi km di distanza da uno degli epicentri (Cavezzo) era ed è totale l’apprensione verso gli abitanti di quei paesi, vedendo le condizioni in cui versano. Allo stesso tempo ci si sente però inutili di fronte ad una devastazione di questa portata, anche dando piccoli contributi sembra sempre di non fare abbastanza.
Penso quindi che in queste zone le persone non abbiano bisogno né dei media (che ormai sappiamo come operano) né delle parole. La realtà è semplice ed è reclamata a gran voce: c’è bisogno di soldi. Subito. Spero che questo venga capito alla svelta perché se è così che uno Stato tratta una delle zone più produttive d’ Europa, riempirsi la bocca con le parole “crescita” e “sviluppo” suona solo incredibilmente grottesco.