Live Report: Metalcamp 2010 a Tolmino (10/10)

Di Redazione - 20 Ottobre 2010 - 22:00
Live Report: Metalcamp 2010 a Tolmino (10/10)

Quinta giornata
Sabato 10 luglio 2010

MAIN STAGE
14:25 14:55 D-Swoon
15:15 16:00 Insomnium
17:25 18:25 Exodus
18:55 19:55 Dark tranquillity
20:15 21:30 Finntroll
22:00 23:30 Immortal
 
SECOND STAGE
23:50 00:50 Kalmah

Report fotografico a cura di Daniele Peluso.

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Introduzione
(a cura di Daniele Balestrieri)
 
Ed eccoci finalmente all’ultimo giorno del Metal Camp, il giorno della resa dei conti. Il fango e la pioggia sono ormai un ricordo sbiadito e il caldo continua la sua afosa escalation, mietendo un paio di vittime di svenimento nelle ore più calde. Nonostante sia l’ultimo giorno, funziona ancora tutto con efficienza, il pericolo dei bagni chimici inutilizzabili dopo 5 giorni di uso intenso non si è per fortuna concretizzato, e il campo di battaglia si popola di diversi blackster, rimasti nell’ombra fino a questo momento. Quest’oggi sale sul palco Abbath e la sua schiera demoniaca, ma non prima di essersi sfracellati di humppah con i Finntroll, o con i Dark Tranquillity o con un po’ di buon, sano, vecchio bay area con gli Exodus.
 
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D-Swoon
(a cura di Nicola Furlan)
 
Agli italiani D-Swoon spetta il compito di aprire l’ultima giornata del MetalCamp. I nostri sono autori di una sorta di metalcore molto melodico le cui strutture ritmiche (davvero particolari) rendono il tutto un po’ progressivo. Interessanti i vari momenti un cui la band propone dei raffinati e distesi intramezzi che ricordano gli ultimi Cynic mentre i tratti più armonici del sound (alquanto alternativo) vengono raccolti in strutture compositive intricate, ma smussate da un sacco di melodia. Il risultato è una proposta divertente che ben ha captato l’attenzione dei presenti.
 
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Insomnium
(a cura di Stefano Pastore)
 
I finlandesi Insomnium sono alla loro prima volta al Metalcamp e il loro melodic death metal con influenze gothic non convince tanto. Bravi, compatti ma anche noiosetti alla lunga. Hanno proposto una selezione di tutta la loro  ristretta (solo 4 lavori) discografia ma l’impressione è che la maggior parte della gente non li conoscesse. Rimandati alla prossima visione.
 
 
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Exodus
(a cura di Nicola Furlan)
 
Non ci può esser festival di musica metal che non presenti nella bill almeno una storica thrash metal band. Questo genere musicale si presta perfettamente come genere d’apertura, come intramezzo a sole calante o come headliner. Coglie e stimola emozioni, risveglia e ristora la sete di potenza e coinvolgimento. In questo caso l’organizzazione colloca i californiani a metà scaletta, quando ancora più di qualcuno rinfresca le proprie mebra ustionate nel gelido corso del fiume Isonzo. Poco male, sotto il palco una schiera di forsennati attende l’uscita del quintetto mentre alcuni si collocano seduti all’ombra degli alberi che costeggiano la mini vallata che abbraccia il main stage. E il via alle danze ha inizio: i primi due brani tratti dall’ultimo full-length “Exhibit B:The Human Condition” mettono in moto la turbina del circle pit, per l’occasione annaffiato dalla security (non si sa mai che qualcuno schiatti sotto 35° di calore!). Fango in abbondanza e il circle pit perde controllo, allargandosi, vedendo pezzi scivolare per poi rialzarsi (non sia mai che il turbine rallenti!). Via altri tre brani devastanti come Iconoclasm, Blacklist e Children of a Worthless God, e via ad altri incontrollati tornadi di fan sotto il palco. Basta un cenno del cantante Rob Dukes e la bomba esplode. Puro divertimento nel vedere ragazzi insozzarsi di terra umida? No, vero onore. Basta poco al cantante per puntare il dito verso coloro che assistono allo show sotto l’ombra e urlare loro, con fermezza, improperi a dito medio alzato. Poco cambia, il sole picchia forte, tanto quanto il genere proposto dal combo di San Francisco, e risulta più sopportabile goder del concerto da posizioni ‘rassicuranti’. Via via gli Exodus scaricano le loro cartucce, più due bombe, quella Toxic Waltz (tratta da “Fabulous Disaster” del 1988) e Bonded by Blood, title track del capolavoro di carriera uscito nel 1985. Perfetti, naturali, immortali.
 
 
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Dark Tranquillity
(a cura di Gianluca Toffanello)
 
Perfetto. Potrei concludere qui la recensione dei Dark Tranquillity. Ho da sempre voluto vedere i fondatori del Gothenburg sound in azione dal vivo ma, per una ragione o per l’altra, non ci sono mai riuscito. Perciò, quando ho letto sul sito del MetalCamp che sarebbero stati reclutati loro in sostituzione degli Insision, non potete immaginare la mia gioia. Il compito di aprire le ostilità è affidato a “At the Point of Ignition” e “The Fatalist” tratte dall’ultima fatica ”We Are the Void”. La setlist prosegue con brani pescati qua e là, con particolare attenzione agli ultimi full-lenght, passando da “Haven” e “Projector”, ma tralasciando, ahimé, i gioiellini di “The Gallery”. Un plauso particolare a Mikael Stanne che ha dimostrato non solo di essere un ottimo screamer, ma di cavarsela bene anche nelle clean vocal (Misery’s Crown su tutte). Aspettative non deluse!
 
 
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Finntroll
(a cura di Daniele Balestrieri)
 
In un Metal Camp che molto spesso ha parlato finlandese, non potevano non mancare i troll più famosi del folk metal, coloro che hanno creato e rivoluzionato un intero genere. Svestiti ormai da un paio di album del loro aspetto più festoso, i Finntroll ci hanno nuovamente presentato il loro volto più brutale e feroce, complici veri e propri uragani sonori come la celebrata Solsagan o una En Mäktig Här da strappare la pelle. Il cambio d’aspetto ha certamente influenzato anche la resa live, e i sei troll finlandesi appaiono live sempre più distaccati, a differenza dei tempi di Wilska, che trasformava ogni concerto in una specie di post-rissa da taverna o addirittura dei tempi gloriosi di Katla e Henri, che facevano del “pochi ma buoni” una vera bandiera dedicata al grottesco e alla goliardia insensata anticristiana. Vreth è una superstar e recita il suo Trollhammaren perfettamente mandando in visibilio la folla, anche se ho sentito alcuni dei più giovani lamentare una differenza molto marcata tra l’album e le prestazioni live. Il problema ovviamente risiede nella mancanza di tutti quei sample orchestrali che rendono il disco più ricco e di spessore, difficilmente riproducibili live. Il giudizio complessivo è una prestazione piacevole ma non stellare. I suoni erano leggermente impastati e la band sembrava quasi volersi sbrigare ad andarsene.
 
 
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Immortal
(a cura di Daniele Balestrieri)

Finalmente arriviamo al piatto forte, non solo della giornata ma probabilmente dell’intero Metal Camp: gli Immortal tornano in Europa con il loro carico di gelo nonostante la serata decisamente umida e afosa. Reduci da un Wacken tempo addietro in cui fecero faville ma vennero contestati per l’eccessiva freddezza (alcuni lo chiamarono “disinteresse totale”) nei confronti del pubblico, quest’anno invece un’ottima forma e un’amichevolezza fuori dal comune li hanno resi più graditi e apprezzati. Soddisfacente l’equilibrio dei suoni, anche se un po’ debole nel compartimento dei bassi, ma nel contesto sembrava di galleggiare in un mare di umidità e suoni ovattati. Il vero grande problema a remare contro l’esibizione dei blackster norvegesi è probabilmente stato il tipo di audience, prettamente orientata verso il folk o il power; questo ha generato una certa freddezza del pubblico che ha faticato a scatenarsi nonostante le ripetute incitazioni di Abbath e soci. Stellare la setlist, con l’inanellamento di Sons of the Northern Darkness e Pure Holocaust a metà esibizione, e le sempre apprezzate Solarfall e Withstand the Fall of Time. Conclusione sempre nella freddezza generale con One By One dopo un sorprendente Antarctica e una veloce uscita di scena. Una presenza importante, ma evidentemente la stanchezza ha iniziato a farla da padrona.
 
 
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Kalmah
(a cura di Daniele Balestrieri)
 
Drammatica disposizione quella dei mostri delle paludi, relegati come ultima band dell’ultimo giorno di un metal camp lungo e climaticamente difficile. I Kalmah ce la mettono tutta, ma vuoi per la scarsa fama di cui godono e vuoi per la disposizione del secondo stage, nodo nevralgico di passaggio tra stand in fase di smontaggio, gente che iniziava ad abbandonare il festival e gente che correva verso la spiaggia per lo show erotico (?), ancora una volta devono accontentarsi dei fans immarcescibili e di un piccolo nugolo di curiosi. Etichettati troppo presto come copie dei Children of Bodom, in realtà i Kalmah hanno lottato molto per imporsi con una propria identità d’immagine e musicale. Di certo l’abilità con le chitarre non gli manca e lo hanno dimostrato nell’ultim’ora di Tolmino: peccato per i suoni a dir poco orribili e per il caos alle spalle del pubblico che non hanno consentito alla loro abilità di emergere come sarebbe convenuto.
I 5 Oulani sono in tour per celebrare l’ultimo 12 Gauge, e proprio con Rust Never Sleeps si nota l’ennesimo cambiamento – o meglio, ritorno alle origini – della band delle paludi, la quale sceglie però di utilizzare il Metal Camp come palcoscenico per i propri cavalli di battaglia, uno su tutti il trascinante Swamphell e la ottima They Will Return, che avvicina un’orda di nuovi ascoltatori incuriositi da una inattesa citazione a Master of Puppets. I fratelli Kokko sono in piena carica e parlano a più riprese con il pubblico nel tentativo – parzialmente riuscito – di trattenere più ascoltatori possibili di fronte allo stage. La conclusiva e infernale Hades ben si accompagna al calare delle ombre e del silenzio sul settimo “inferno sul paradiso”, in attesa dell’ottava edizione che si preannuncia “faster, stronger, louder”.
 
 
 
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GALLERIA FOTOGRAFICA: FACCE DA METALCAMP!!!

… arrivederci il prossimo anno!!!