Vario

Skull (Marco Fenudi)

Di Stefano Ricetti - 12 Gennaio 2012 - 0:10
Skull (Marco Fenudi)

Una storia come tante altre all’interno dell’HM tricolore, quella degli Skull. Speranze, illusioni, delusioni ma anche la soddisfazione di avere lasciato davvero il segno da parte del combo sardo, fra i prime mover dell’HM isolano e nazionale, a suon di demo ma non solo.

Cronaca di una carriera e di una passione infinita per l’heavy metal nelle parole del cantante e bassista Marco Fenudi.

Buona lettura.

Steven Rich  
 

 

Come e dove nasce la scelta del vostro nome?

Siamo nel 1982, in piena ascesa del fenomeno heavy metal mondiale. Ci troviamo ad Ozieri, un paese di 11.000 anime in provincia di Sassari, lontani dal mondo ma catapultati in mezzo ad esso grazie alla passione per la musica. Con Gianfranco Pinna passavamo serate intere a discutere ed immaginare il nostro gruppo, che volevamo fortemente come un crossover tra HM e PUNK; fantasticavamo su come formare la band, che nome dargli. Era molto importante… doveva assolutamente essere di grande impatto. Da una rosa di nomi ricavammo SKULL: il nome perfetto, così evocativo; uno dei simboli della iconografia heavy metal. Il lato comico è che nessuno di noi due aveva mai preso uno strumento musicale in mano… un problema che avremmo affrontato in seguito! Reclutammo Giuseppe Masia e Franco Becciu alle chitarre e, per un paio di anni anche Roberto Ledda al basso.

 

 

 

E il logo? Aneddoti a riguardo?

Il primo logo lo disegnò il nostro amico Danilo Sini, chitarrista dei PSA (Hardcore Punk, di Sassari), un grande artista del disegno (oggi ha un fantastico Tattoo Studio). Fu un regalo che ci lasciò di stucco per la bellezza del disegno, lo apprezzo tutt’ora per l’impatto dell’immagine… il teschio con la cresta punk attraversato dalla mazza chiodata. Utilizzammo anche la scritta SKULL con la “U” comprendente la A cerchiata dell’anarchia.

Nel 1984 esce il demo Maniac.

Il tempo scorreva veloce e non vedevamo l’ora di registrare le prime composizioni originali, che dal vivo avevano un bell’impatto sugli spettatori. Registrammo su un 4 piste Tascam, col supporto di un conoscente. I lavori andarono un poco a rilento per alcuni suoi problemi di salute, mentre noi fremevamo. Fu così che iniziai a prendere confidenza con le pratiche di registrazione e portammo avanti il lavoro in autonomia. Lui si occupò del missaggio. Venne fuori il Demo “Maniac”, che ci aiutò a superare l’ambito della provincia e della Sardegna: il nostro manager, Giovannino Mannu, instancabile, lo mandò a tutte le principali fanzine e radio italiane e fu l’inizio di una bella serie di recensioni positive e contatti anche fuori dall’Italia. La musica e le idee erano molto acerbe e piene di ingenuità, ma la carica dei brani ed il nostro entusiasmo era tanta che, evidentemente, colpimmo nel segno. Chi lo ascoltava era stupito dalla moltitudine di influenze ben miscelate… dal power metal di AND THE GODS MUST DIE all’hardcore di MANIAC, il midtempo con cavalcate maideniane di  THE LADY OF THE NIGHT.

In quel periodo nasce la Vostra amicizia con i romani Astaroth, giusto?  

Già… come spiegare una delle tante magie di quegli anni? Successe che Giovannino conobbe Saverio Principini, il loro bassista, in vacanza in Sardegna e si intesero da subito. Il seguito fu tutto una logica conseguenza: dopo alcuni mesi si organizzò un concerto a Roma, con gli SKULL e gli STIFF ad aprire la serata per i padroni di casa: gli Astaroth. In quegli anni i concerti si organizzavano prevalentemente così: uno scambio amichevole di occasioni per suonare. Ciascun gruppo si dava da fare per organizzare concerti nella propria città, invitando altre band, che poi ricambiavano. Un sistema che creava unione, comunità; ciò che i Manowar poi cantarono con Brothers of Metal, noi lo avevamo vissuto davvero! Rivalità non ne esistevano, casomai solo un po’ di sana competizione. Tornando alla serata, fu davvero bella e prendere contatto con un pubblico nuovo fu davvero una esperienza entusiasmante!

 

Marco Fenudi live

 

Seguono altri due demo, “…and the Gods must die!” e “Skull”. Ricevete le risposte di King Klassic Records (Illinois) e Semaphore (Germania).

Il 2° demo “and the Gods must die” fu anch’esso interamente autoprodotto e registrato in sala prove, ma aveva unicamente scopo promozionale per radio ed etichette discografiche. Dopo alcuni mesi dall’uscita, ricevemmo due lettere da altrettante case discografiche: la King Klassic Records (Illinois, USA) e Semaphore (Germania) ed entrambe ci chiedevano di registrare i brani in sala di incisione e loro avrebbero provveduto a pubblicare il disco. L’entusiasmo salì a livelli stratosferici: non riuscivamo a credere che i nostri desideri si avverassero così in fretta! I contatti successivi chiarirono che le case discografiche desideravano che andassimo a registrare da loro e, lato dolente, a nostre spese. Eravamo tutti studenti e le spese che avremmo dovuto affrontare chiaramente insostenibili: fu questo il motivo per cui dovemmo rinunciare. Però fu un ulteriore segnale di incoraggiamento sul gradimento dei brani: fu così che decidemmo di stringere ancora di più la cinghia ed andare a registrare, finalmente, in sala di incisione (sostenevamo già le spese per avere acquistato la nuova strumentazione e gli amplificatori Marshall stack). Entrammo in sala nell’estate del 1986 e registrammo il demo SKULL: 6 brani su multitraccia a 24 piste, un grande passo avanti in termini di qualità della registrazione e composizione dei brani, densi di atmosfere molto più dark rispetto al passato.

 

 

Le copertine dei Vostri demo meritano un approfondimento. In particolare quella di “Skull” è davvero curiosa, oltre che penetrante.  

L’idea della copertina è mia: avevo comprato un teschio di marmo; semplice ma molto realistico. Lo lavorai con molta pazienza per riprodurre il disegno del primo demo: disegnai un occhio su una perla che incollai in una delle orbite, tracciai dei solchi riempiendoli con china rossa per simulare il sangue, attaccai una catenella tra cavità nasale e sotto zigomo per renderlo ancora più truce… il risultato era così realistico che preparai lo sfondo per le fotografie con del raso nero ed il teschio che troneggiava su uno dei miei bracciali borchiati. Ecco la copertina! Quel teschio divenne la mascotte del gruppo: mi faceva compagnia in tutti i concerti: lo attaccavo all’asta del microfono e richiamava sempre l’attenzione degli spettatori.

A distanza di tanti anni, ti comporteresti ancora come a metà anni Ottanta oppure tenteresti l’avventura King Klassic/Semaphore espatriando?

La questione economica in quegli anni era un ostacolo insormontabile: tutti noi eravamo figli di gente comune, non potevamo chiedere un sacrificio così grande alle famiglie e per un periodo fu abbastanza frustrante non poter cogliere quella occasione. Certo, potendo, saremmo partiti e chissà come sarebbe finita. Le idee musicali non mancavano: avremmo giocato la nostra partita con onore, certamente.

E’ del 1988 il vostro demo più ambizioso: Skalmanati.

Skalmanati segna un punto fondamentale nella carriera del gruppo: suonavamo moltissime date, la risposta della gente arrivava sempre; alcune centinaia di fan ci seguivano ovunque e le recensioni che seguirono l’uscita del demo ci giudicarono unanimemente pronti al debutto discografico internazionale per la maturità compositiva,  l’originalità dei brani, la preparazione tecnica. Aver introdotto alcune strutture melodiche e ritmiche della musica sarda nell’ heavy metal riscosse grandi consensi: era una cosa mai sentita e funzionava perché non si trattava di ricerca del suono commerciale, ma esclusivamente la ricerca di un suono originale che non ricalcasse strade già percorse dai grandi gruppi dell’epoca. Fummo anche in procinto di partire per Londra e tentare la carta della fortuna in Inghilterra: ricevemmo la proposta di una agenzia inglese e lo stimolo insistente di un nostro fan e amico che soggiornava proprio a Londra. Ogni volta che telefonava ripeteva “Ma cosa ci fate ancora li? Siete molto meglio della gran parte di questi stronzi che sento suonare e ragliare qui!”. Non partimmo perché alcuni nel gruppo erano contrari, quindi decidemmo che avremmo rivalutato la questione se avessimo ricevuto proposte più concrete. Pesò sulla decisione anche l’illusione che se fosse stato nostro destino sfondare nel mondo della musica, sarebbe stato ininfluente vivere in un paese o in una metropoli. Skalmanati è il demo che ha avuto più successo, almeno un migliaio di cassette spedite in tutto il mondo. Siamo molto affezionati a quei brani. Tutt’oggi capita che qualcuno mi contatti via internet chiedendo se lo abbiamo stampato su CD.

 

 

Su Skalmanati cambiano anche i presupposti grafici, con più ilarità. La “U” del logo cosa rappresenta? E il personaggio raffigurato?

Il demo segna anche un allentamento di tensione nei confronti di alcuni cliché grafici ed iconografici dell’HM. La copertina, realizzata da Maoro Sanna, un artista/amico di Nuoro, rappresenta spiritosamente uno scheletro col biberon infilato nel teschio al posto della mazza chiodata… balla e suona la chitarra collegata ad un piccolo Marshall. E’ una copertina ironica, che sdrammatizza alcune tematiche seriose dei brani. La U del logo SKULL nel demo è una mandibola separata dal teschio. Se guardi il profilo anteriore di una mandibola è proprio una “U”.

 

Marco Fenudi

 

Dopo l’entrata nel roster della Musical Box Promotions intensificate l’attività dal vivo. Hai ricordi di qualche concerto in particolare?

Lavorare con Musical Box e Klaus Byron ci ha fatto intensificare l’attività concertistica nella penisola: un paio di volte riuscì ad organizzare dei mini tour di una settimana durante i quali concentravamo 3 o 5 concerti fuori dalla Sardegna. Esperienze molto utili per affinare lo spirito di gruppo ed imparare a suonare esprimendo il massimo anche in quelle situazioni apparentemente disastrose dove ti trovi a suonare davanti ad un pubblico scarso e completamente sconosciuto. Sono occasioni che dimostrano la qualità di un musicista: suonare davanti a 50 o 100 persone come se fossero migliaia. Il concerto che ricordo maggiormente di quel periodo si svolse a Cagliari, davanti a 5.000 persone per un festival della birra: una grande accoglienza dal pubblico, registrammo diverse interviste e la serata fu ripresa da una TV regionale. Ricordo che dovetti intervenire per calmare la gente inferocita con un povero comico che gli organizzatori avevano chiamato per un intervallo tra il concerto del gruppo di supporto e noi che eravamo la band principale.

Il brano “Gotta find the way” viene incluso nella compilation su vinile “Not Just Spaghetti and Mandolini” della Amtal Blade, spiega come nacque la cosa.

La compilation fu una bella idea per far conoscere i gruppi italiani emergenti; sicuramente faceva parte delle tante idee di Klaus per promuovere i gruppi di cui aveva il management e – se non erro – avrebbe dovuto uscire in distribuzione europea. Il messaggio promozionale puntava  proprio su “l’Italia non è solo la terra degli spaghetti e della musica melodica”. Non so come siano andate le vendite: i gruppi parteciparono firmando una liberatoria per la quale nulla era loro dovuto.

 

Skull 1989

 

Vi sbattete come ossessi per organizzare eventi live e infatti riuscite a suonare con Gow, Creepin’ Death, Sabotage, Bulldozer, Requiem e Astaroth. Un tuo ricordo particolareggiato per ognuna di questa band.

Gow e Sabotage: li ricordo bene per il suono veramente massiccio e professionale. Molto bravi e di grande compagnia;

Creepin’ Death: idem, thrash metal stile Metallica, grande impatto dal vivo, abbiamo tenuto i contatti per lungo tempo.

Abbiamo fatto da supporto ai Bulldozer in una loro data qui in Sardegna ma non eravamo gli organizzatori… sinceramente non mi sono piaciuti, forse quella sera non erano in forma.

Dei  Requiem ho sempre apprezzato il lato umano e la sincerità.

Astaroth: sono stati dei grandi amici ed erano tra le nostre band preferite. Personalmente è il gruppo italiano che ho ascoltato di più: ricordo a memoria la loro “Cry Wolf”. Quando partirono per gli USA eravamo certi avrebbero sfondato! Con le divise dei legionari romani avevano un impatto eccezionale e musicalmente erano assai credibili e professionali. Saverio Principini è un grande musicista, la sua carriera lo dimostra.

 

 

Vanadium & Skull

 

Spiega cosa voleva dire organizzare concerti HM negli anni Ottanta in Italia, Marco.

Gli inizi furono veramente difficili: i pochi spazi disponibili erano monopolizzati da gruppi POP e nessuna agenzia prendeva in considerazione l’idea di far suonare gruppi underground; per capirci: il loro orizzonte rock erano i New Trolls o Eugenio Finardi! Le cose cambiarono quando per la prima volta ci trovammo davanti una amministrazione comunale di sinistra: con un assessore alla cultura riuscimmo ad ottenere l’autorizzazione ad organizzare un festival HM dedicato ai giovani ed alla musica emergente. Di anno in anno riuscimmo a migliorare organizzazione e qualità dei gruppi ospiti. Contemporaneamente questo avvenne anche in altre città e le occasioni per suonare aumentarono, si moltiplicarono tantissimo, anche grazie ad un altro fattore decisivo: erano i metallari ad organizzare concerti nei loro paesi, per favorire gli incontri e le possibilità di sentire musica heavy metal dal vivo. Si creò veramente un bel movimento di energie: ci sentivamo molto vicini, accomunati dalla passione e dallo stile “essere heavy metal!”. Ho tanti bei ricordi, che se mi guardo intorno adesso mi viene la depressione… ognuno pensa a sé. I ragazzi vivono prevalentemente chiusi a casa, nei bar o nei locali anziché sbattersi per creare qualcosa di positivo per loro stessi ed il posto in cui vivono. Purtroppo, vittime inconsapevoli di un Sistema che li vuole “Consumatori passivi ed acritici”. Un sistema che si cura solo di svuotargli le tasche e riempirgli la testa di stereotipi vacui.

I Saw The Fire, anno 1990, il primo full length degli Skull che però non vedrà mai la luce.

La registrazione del disco di esordio era un progetto che coltivavamo da anni, l’anello mancante per chiudere il cerchio e vedere la reazione di un pubblico più vasto nei nostri confronti. Era previsto dal contratto con l’agenzia Musical Box e così andammo in sala i primi giorni del freddissimo gennaio 1990, in uno studio vicino al paese di Klaus Byron, a Marina di Massa, alle pendici dell’Appennino. Avevamo solo una settimana di tempo per registrare e mixare 8 brani, per cui avevamo preparato tutto per bene. Volevamo fare il massimo per sfruttare l’occasione che sentivamo di non poter fallire. In studio si creò subito una bella atmosfera con lo staff: iniziavamo a lavorare da metà mattina sino a  notte inoltrata, interrompendo lo stretto necessario per sfamarci.
Alla fine delle registrazioni non restò tempo a sufficienza per mixare al meglio i brani e restammo delusi dal risultato. Ci autofinanziammo una nuova seduta di mixaggio nel giugno di quello stesso anno e questa che senti è la versione finale: eravamo soddisfatti del lavoro. Penso sia un bel disco: è un vero peccato che non sia mai uscito. Penso che dopo questa intervista lo metteremo a disposizione sulla Rete.

Quali sono secondo te i pezzi vincenti di I Saw The Fire?

E’ una domanda veramente difficile! Ogni canzone ha una sua storia e richiama alla mente le fasi della composizione e preparazione col gruppo. Se proprio devo scegliere: Civil Man e Will Kill Nature per la potenza; Noiseland, il primo brano in italiano (farà parte nel ‘94 di una compilation su CD “Boghes che Rockas”); Gotta Find The way, per le sonorità  particolari e l’intermezzo in tempo di 6/8; Procurade e Moderare: un brano in lingua sarda, basato su un testo tradizionale che viene definito “la marsigliese sarda” per la forza del testo di protesta contro i latifondisti che nell’800 che tenevano soggiogato il popolo. L’abbiamo riarrangiata in chiave heavy metal: si tratta di un tema purtroppo ancora attuale nel mondo.

 

Skull 1985

 

Uscirà mai in veste ufficiale? Hai ricevuto proposte in tale direzione?

Il disco doveva uscire nel 1990, poco dopo la registrazione, ma insorsero problemi con la casa discografica ed il nostro management. Fu l’inizio di una serie di continui rinvii sino a quando scoprimmo che la casa discografica era fallita! Dopo aver chiuso col manager avevamo un po’ perso la speranza e l’energia per cercare altre vie di uscita: un errore madornale che non si dovrebbe mai commettere. Dopo 21 anni è una speranza assai flebile, anche se nulla si può mai dire: il disco è pronto ed a disposizione di qualsiasi editore volesse pubblicarlo… Diciamo che è come un gioiello di famiglia: è li, chiuso in uno scrigno, da tirare fuori nelle belle occasioni. Siamo veramente dispiaciuti che non sia mai uscito su CD: tutte, dico tutte le persone che lo hanno ascoltato hanno espresso complimenti lusinghieri e non per piaggeria…

Nel 1996 la fine degli Skull. Ricordi, rimpianti… a te, Marco.

I ricordi sono veramente tanti e bellissimi: dagli inizi in cui eravamo dei veri sprovveduti ai primi concerti in giro a suonare, quando per andare a suonare ci muovevamo in treno partendo prestissimo la mattina per arrivare a metà pomeriggio e rientrare l’indomani dormendo in stazione dopo il concerto… Poi gli anni d’oro ed il bel contatto con le persone del pubblico che ci apprezzava davvero tanto; le belle conoscenze con tantissimi musicisti che ancora teniamo vive: ogni volta che ci si incontra è una festa!
Qualche rimpianto esiste certo, sopratutto per l’ultimo periodo quando perdemmo la fiducia e la spinta motivazionale adeguata per superare le avversità. Pensa che l’ultimo periodo io rinunciai a cantare autorelegandomi nel ruolo di bassista: una scelta contrastata dagli altri elementi della band ed ancor più dai fan che ad ogni concerto non smettevano di chiederci il perché! D’altronde suonare 15 anni e non vedere risultati appaganti e sempre maggiori sfiducerebbe anche una roccia! E poi non dimentichiamoci che l’anno che decidemmo di fermarci era il 1996, in piena epoca Grunge: in quegli anni chiusero i battenti gran parte delle heavy metal band! Mi riempie di orgoglio però che siamo usciti a testa alta, giacché ci siamo fermati per tempo prima che rovinassimo l’amicizia fraterna che ci legava. Già, gli SKULL, per scelta, non si sono mai sciolti… ci siamo presi una pausa di riflessione. Essendo passati 15 anni, diciamo che è una lunghissima pausa di riflessione 😉

Mai pensato di rimettere insieme la band?   

Più e più volte: considera che quando ci siamo fermati abbiamo anche deciso di tenere in comune  anche gli strumenti musicali: non abbiamo mai venduto nulla. Nel 2008 ho messo su il sito commemorativo su Myspace (http://myspace.com/skullsardegna ). Qualche tempo fa ho rimediato una saletta prove per stuzzicare gli amici Gianfranco, Franco e Dario (l’ultima formazione del ‘96), adesso grazie a te e questa intervista li stuzzicherò ancora: vediamo che succede. Io sono pronto!

Negli anni Ottanta che rapporto avevi con i Rod Sacred di Franco Onnis?

Assolutamente ottimo! Suonammo diverse volte insieme, in varie città (non ricordo se anche ad Ozieri).

Scazzi  fra di voi e i Rod Sacred?

Non ricordo ci siano stati malumori, men che meno scazzi. Ricordo a malincuore un nostro concerto insieme nel loro paese, Villasor: fu l’unica volta che non terminammo un concerto. Io ebbi una crisi fortissima di emicrania e dovemmo interrompere lo spettacolo… scesi dal palco vomitando! Mi dispiacque tanto allora perché si erano dati da fare tantissimo per organizzare. Ringrazio tutt’ora Franco Onnis: è un musicista ed una persona ottima!

Ti va di menzionare altri gruppi HM sardi?

Anzitutto proprio i Rod Sacred di Franco Onnis, che ho rivisto piacevolmente l’estate scorsa; ricordo con piacere i Twilight Zone ed i Golem, fondati da elementi fuoriusciti dagli Skull e band di tutto riguardo; gli Hot Pets coi quali suonammo spesso, ricordo gli Hardened Sinner, gli Skitzo.  

In generale com’era il grado di collaborazione fra gruppi HM isolani negli anni Ottanta?

Io ricordo una grande collaborazione! Ci conoscevamo praticamente tutti ed ad ogni concerto si stava insieme, sostenendoci vicendevolmente. Magari qualcuno se la tirava più di altri, ma non ricordo episodi negativi.

Marco, sinceramente, se foste nati in città come Milano o Firenze secondo te che piega avrebbe preso la carriera degli Skull?

Sicuramente avremmo avuto qualche opportunità in più, ma guardando desolatamente la storia dei gruppi Italiani che pur hanno avuto un pelo di fortuna in più di noi, non credo sarebbe stata una gran differenza. E’ che i discografici italiani non hanno mai creduto ne tantomeno investito nell’HM. I pochi indipendenti che hanno osato non hanno avuto gran fortuna. Forse, dico forse, l’unica vera possibilità l’avremmo trovata espatriando al momento opportuno.

Com’è la situazione HM in Sardegna oggi rispetto agli anni Ottanta?

Si muove qualcosa, sento ogni tanto alcuni gruppi, ma la scena è lungamente inferiore come numeri rispetto agli anni 80. In più i gruppi si scoraggiano o bisticciano subito: è un po’ lo specchio dei tempi che viviamo. Se penso che abbiamo suonato per 15 anni e la maggior parte dei gruppi si scioglie dopo un anno mi riempio di orgoglio!

Segui ancora la scena HM?

Si, ma prevalentemente i gruppi storici. Il disco più recente che sto letteralmente consumando è “Blood of The Nations” degli ACCEPT. Un capolavoro, degno dei migliori anni 80! Non seguo e non sopporto i gruppi con i cantanti che si esprimono unicamente in “growl”. Preferisco di gran lunga gli immortali AC/DC o i Krokus, tornati entrambi in gran forma. Ascolto un po’ tutti i generi musicali, tranne la Disco che non ho mai sopportato, ma la mia preferenza è sempre per l’HM!

Chiudi come vuoi, Marco. Grazie.

Stefano, un grande ringraziamento a te e tutto lo staff di Truemetal: fate un lavoro egregio! Mi fido molto delle vostre recensioni e leggo con piacere gli articoli. E’ una passione sincera che mettete nel lavoro e si vede tutta. Un caro saluto a tutti i metallari di ieri e di oggi: è una gran bella musica che mette il fuoco nelle vene e da una carica incredibile, anche a chi come me ha superato abbondantemente i 40 anni. Ringrazio tutte le persone che tutt’ora hanno un vivido ricordo della musica degli Skull o la conoscono ex novo: ricevo ogni tanto e-mail da tutto il mondo, grazie al MySpace degli Skull

Keep The Faith!

Marco Fenudi

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti