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Biglietto Per L’Inferno.folk (Baffo Banfi)

Di Angelo D'Acunto - 12 Marzo 2010 - 1:35
Biglietto Per L’Inferno.folk (Baffo Banfi)

Il loro ritorno è stato un grande successo. La prima serata, al Teatro
Nuovo di Valmadrera (LC), ha visto il tutto esaurito in un solo pomeriggio. Sarà
l’attesa, sarà il debutto in casa ma l’emozione si sentiva sulla pelle.

Intervista a cura di Riccardo Angelini

Sì è stata una serata emozionante per tutti, sia da fuori sia da dentro. Abbiamo
avuto qualche piccolo contrattempo che ci ha fatto perdere due ore e per questo
eravamo un po’ preoccupati. Ma quando c’è gente, quando la senti alla fine sai
che andrà tutto bene. Poi questa sera è stata magica, unica, per il fatto che
c’era Claudio. Abbiamo rivissuto un concerto insieme trent’anni dopo. Calpestare
lo stesso palco con le stesse persone con cui hai vissuto gli anni più belli
della tua vita è un’emozione indescrivibile.

Quando si è diffusa la notizia della reunion del Biglietto per l’Inferno.folk
mi sono chiesto “che cosa c’entra quel .folk”? Andando però a vedere come si
sono sviluppate le cose, direi che il progetto è nato nel folk, poi la voglia di
fare progressive è diventata più forte…

Sì. Questa cosa è nata soprattutto da Pilly Cossa, che è il virtuoso del gruppo,
e lui è cresciuto molto negli anni. Dall’era post-Biglietto è passato attraverso
molte esperienze diverse fra cui quella della musica popolare, che affascinato
molto sia lui sia Mauro. Io come te ho detto “ma il folk cosa c’entra?”, e
invece c’entra assolutamente. Si è trattato di usare nuove sonorità, come quelle
degli strumenti acustici, che hanno anche un limite di estensione, e quindi
anche di arrangiamento. Bilanciare strumenti come l’ocarina o l’armonica con le
nostre composizioni è molto difficile, ma ti dà la possibilità di utilizzare
questi suoni che sono strepitosi. Io ero un po’ scettico, poi quando ci ho messo
il naso dentro, dopo che mi hanno chiesto di occuparmi del missaggio del disco e
io ho accettato di buon grado, la cosa mi è piaciuta molto. Alla fine non ho
resistito alla tentazione e ci ho messo qualche tastierata (ride, NdR). Non
molte comunque, perché volevo rispettare il lavoro che è stato fatto da Pilly,
ma nel tempo credo che questo contributo aumenterà. Credo che l’elettronica
anche con queste sonorità abbia molto da spartire. E poi resta il fatto che la
base è assolutamente rock.

Sì, direi che stasera si è sentito molto bene, i suoni erano giusti e i riff
anche. Poi non sarebbe un concerto rock senza assolo di batteria, e Mauro ha
voluto concedere anche questo, giusto?

Sì infatti (risate, NdR). Normalmente lo fa anche più lungo, stasera è stato
succinto.

Com’è stato per te, che hai collaborato anche con Klaus Schulze, passare
dall’avanguardia del suono elettronico alle radici della musica popolare?

Sono cose molto diverse, ma non si escludono necessariamente a vicenda. Se
riesci a colorare la musica anche con quelle sonorità, perché non dovresti
farlo? Come avrai sentito, alcuni tappeti tenuti sotto la cornamusa, per
esempio, sono affascinanti. Ecco, mi piacerebbe mettere un po’ più cose di
atmosfera, perché il bello della musicalità di un pezzo sta anche in quello. È
un aspetto che mi affascina non poco, da sempre: creare atmosfere. Qui
l’arrangiamento è più costruito, ma lo faremo col tempo.

Quindi c’è un futuro davanti al nuovo Biglietto per l’Inferno?

Certo, questo è solo l’inizio. Io ho smesso di suonare trent’anni fa, quindi per
me significa ricominciare. Loro invece hanno continuato, hanno fatto un mare di
gavetta facendo altre esperienze, quindi sono abituati a lavorare su un
palcoscenico. Non con questa formazione, perché comunque gestire otto elementi
più il sottoscritto, a livello di cura della registrazione, di microfoni, non è
per niente facile.

Ho visto che avete voluto ribadire il vostro legame con il passato, citando
‘Stairway To Heaven’ e ‘Dancing With The Moonlit Knight’, che si è attaccata ad
‘Ansia’.

Quello riflette anche il mio apporto al disco, quando da esterno ho smussato
alcuni suoni e mi sono occupato del mixing, ci ho messo anche un po’ del mio
chiudendo e aprendo certe piste. Così quando abbiamo fatto le prove e io mi
preparavo a fare il commento fra un brano e l’altro, ho pensato di mettere anche
la musica di quei tempi. Poi Franco è bravissimo, tu gli dici “fammi quel pezzo”
e lui sa tutto. Mi fa piacere che abbia funzionato.

Sul palco hai parlato del passato, del fatto che un tempo ci si trovava a
casa di un amico, con uno stereo, due casse e poco altro, perché la tecnologia
era poca e costosa. Oggi è cambiato tutto…

Sì vero. Senza dubbio ci sono dei vantaggi, grazie a un pc posso avere quello
che voglio sul palco, allora per ottenere gli stessi effetti dovevi portarti sul
palco dei muri di analogico. La tecnologia ti dà enormi possibilità, che però
diventano un grosso limite dal punto di vista della creatività. Voglio dire: tu
devi sapere quello che vuoi, così poi lo cerchi e lo usi. Altrimenti devi
destreggiarti fra ottocento plug-in, suoni… non ne esci più. Se non sai già cosa
vuoi, ti perdi. L’analogico invece era sperimentazione pura. Mettevi insieme due
cose e usciva un suono totalmente imprevedibile…

E dal punto di vista del fruitore, quando la musica non si trovava su myspace
o youtube e comprare un vinile pesava non poco sulle finanze di un ragazzo?

Certo, era tutto diverso. Quando usciva un nuovo disco costava, e per ascoltarlo
dovevi aspettare, te lo sudavi, non potevi certo andare su internet, fare due
clic e ascoltartelo subito. Inevitabilmente la musica si è appiattita, come
tutto il resto. La tecnologia e l’informatica senz’altro offrono possibilità
enormi, ma generano anche un piattume indicibile. Quello che ti salva è ancora
la creatività. Però la tecnologia è in mano a tutti, quindi tutti possono fare
qualunque cosa.

E infatti oggi chiunque sappia strimpellare due accordi può registrarsi un
disco in casa e pubblicarlo su qualche etichetta artigianale. Trent’anni fa il
percorso era molto più lungo…

…Mooolto più lungo. Era più difficile, e tanto più bello. Quando si diceva
“andiamo a incidere in sala di incisione” era qualcosa che nessuno di noi si
poteva permettere, a meno che non fosse un figlio di ricco papà. Costava
veramente un sacco. Se avevi un contratto discografico potevi farlo, altrimenti
no. Così anche quando si ascoltava. C’era chi ti diceva “vieni da me che ho il
piatto bilanciato”, quello che aveva l’impianto con le casse morbide, chi dure…
c’era differenza. Ora col pc pigi due tasti ed è finita così.

Prima sul palco ci hai parlato anche dei tuoi primi festival…

Allora la cosa che volevamo fare più di tutte erano i concerti. Puoi immaginare
se ti proponevano di andare a suonare davanti a venti o trentamila persone… Però
poteva succedere, se eri nel giro, se avevi fatto un disco…

Voi un festival importante lo avete fatto anche prima del disco.

Sì, facemmo il Be-In di Napoli prima del disco, nel ‘73, dove abbiamo poi
conosciuto chi è diventato il nostro discografico e ci ha fatto incidere il
primo album. Poi da lì abbiamo girato tutti gli altri insieme a chi c’era ai
tempi, il Banco, la PFM e tutti gli altri.

Immagino si vedessero anche facce che col tempo sono finite a fare tutt’altro,
tipo Battiato o Camerini…

Sicuro, ai tempi si andava in giro anche per 20.000 lire di allora, e suonavi
insieme a personaggi che nemmeno loro sapevano che avrebbero fatto successo.
Battiato era già stravagante allora, era capace di dire “adesso non suoniamo,
chiacchieriamo”, con tutta la gente che era lì per sentir suonare…

A proposito di quei giorni, ho una curiosità atavica che devo togliermi. Il
perché di “Baffo” Banfi direi che si capisce (Banfi si accarezza i baffi e ride,
NdR), ma il perché di Pilly Cossa?

Sai che non lo so (ride, NdR)? Lo abbiamo sempre chiamato così. Ma poi pure
Baffo è un soprannome che mi è stato appioppato a scuola quando ancora non avevo
i baffi. Sai, le storpiature di Banfi, Banfo, Baffi, Baffo… alla fine ti si
attacca addosso l’etichetta. Poi alla fine quando giravo in Germania non
cambiava niente, tanto per loro che mi chiamassi Baffo o Luigi suonava uguale.