Live Report: Black Stone Cherry a Trieste

Di Daniele Peluso - 16 Luglio 2012 - 12:00
Live Report: Black Stone Cherry a Trieste

I Black Stone Cherry tornano in Italia per due show da Headliner dopo la fortunata esibizione al Gods of Metal 2012 nella giornata dei Guns ‘N’ Roses, abbiamo avuto la fortuna di poter assistere allo show di Trieste.
A seguire il report della serata a cura di Filippo “Ov Fire” Blasetti: buona lettura!
 

Foto di Daniele Peluso

Quando venni a sapere che i Black Stone Cherry avrebbero suonato nella mia città, nella più che suggestiva location del castello di San Giusto, mi pregustavo una serata trionfale, in cui Trieste si sarebbe accorta finalmente di che cos’è un concerto, rendendosi conto che non esiste solo Bruce Springsteen e che anche gruppi per la maggior parte dei miei concittadini sconosciuti, possono regalare grandi serate e grandi emozioni.
Bene, a “semifreddo” come mi piace definirmi la mattina dopo un evento live, devo dire che le mie aspettative si sono rivelate sbagliate per qualcosa in più del 50%.
Metto subito in chiaro che i BSC non sono da biasimare nel modo più assoluto, anzi, quel 48% di positività è tutto loro, e della loro performance.
Con un John Fred Young che sfonda il primo rullante a metà della seconda canzone, e altri tre durante il resto dello show per la foga assolutamente disumana con la quale suona la batteria (con precisione notevole in ogni caso), un Ben Wells che non si ferma un minuto, sale sulle spie, incita il pubblico, corre, salta, un John Lowhon che fa altrettanto nella sua sezione di palco, e un Chris Robertson in gran spolvero, non si poteva chiedere di meglio ai quattro del Kentucky.
L’esibizione comincia al tramonto, con i King Bravado, annunciati dall’organizzazione all’ultimo istante ed a quanto pare messi li a tappare il proverbiale “buco”. I ragazzi non si comportano male, anzi, scaldano bene un pubblico striminzito che va via via infoltendosi, senza però mai arrivare a livelli degni della performance degli headliner.
Dopo un rapido cambio palco e l’arrivo dell’oscurità, anche se non con l’afflusso di pubblico che tutti avrebbero sperato per un evento di questo genere, salgono sul palco i BSC, facendo capire a tutti che con loro non si scherza.
Suoni potenti e fin da subito una grinta spaventosa da parte di tutti, infiammano il poco pubblico presente.
Peccato veramente per l’affluenza perché lo spettacolo fila liscio, quasi troppo velocemente, nonostante la parte “sound engineering” non sia di qualità degna, visto che pur spostandosi in giro per il piazzale, era impossibile trovare un punto in cui il suono non fosse in qualche modo sporco ed eccessivamente carico di bassi.
Il fonico dei BSC si dava un gran da fare nel suo gazebo, mentre le altre tre persone dietro la strumentazione, non facenti parte dell’entourage BSC, non parevano preoccupate più di tanto.
 

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Tornando alla musica, i 4 americani hanno veramente lasciato a bocca aperta: uno stile il loro, unico nel suo genere, che riesce a miscelare alla perfezione le sonorità del Southern Rock, del Metal, del Rock e del Blues, grazie al minimo comune denominatore della splendida voce di Chris Robertson, che spazia facilmente dai toni aggressivi e alti di “Rain Wizard”, alle strofe quasi sussurrate ma calde e avvolgenti di “Blues”.
Sonorità che diventano ancora più morbide in quello che è stato un momento molto bello della serata, quando “Peace is Free” ha abbracciato il castello, e i BSC hanno avuto la possibilità di sentire a loro volta l’abbraccio di un pubblico dedicato, che mi ha sorpreso per l’aver cantato tutte (e dico tutte) le canzoni della set-list, e che pur essendo relativamente poco, è riuscito a far riecheggiare tra le mura il suo canto durante il ritornello; coro che avevo in testa ancora questa mattina.
Notare la bassa partecipazione è stato un vero dispiacere per la band americana. Un disappunto ancora maggiore una volta salita sul palco, perché Ben, John, Chris e Jon, hanno suonato veramente “da paura”. Quasi come fossero stati davanti a 700.000 persone, chiamati nel ruolo di Headliner del “concerto della fine del mondo”.
Veramente notevoli!

Il mio ormai quasi proverbiale giudizio finale ermetico per i Black Stone Cherry è, infatti: “Così si fa!”
 

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Da loro dovrebbe imparare l’entourage “in loco” dell’evento, che ha di nuovo dato ad intendere che, a meno di nomi altisonanti, a Trieste ben poco entusiasmo e professionalità vengono a galla.
Peccato, come sempre. Speriamo le cose cambino presto e non solo per gli interessi di qualcuno.

Filippo “Ov Fire” Blasetti