Live report: Steel Fest a Bologna 5/11/2011

Di Stefano Ricetti - 15 Novembre 2011 - 0:10
Live report: Steel Fest a Bologna 5/11/2011

Steel Fest

Estragon Bologna

Sabato 5 novembre 2011

British Steel Fest l’anno scorso e Steel Fest quest’anno: una fortunata accoppiata che è riuscita a radunare a sé un dignitoso numero di persone, grazie a dei bill ben costruiti e un locale, l’Estragon, dove la vivibilità è assicurata e l’enorme parcheggio adiacente lascia solo l’imbarazzo della scelta per collocare la macchina. Pochissimi i posti a sedere, invero, per una rassegna che comunque, se vissuta come si dovrebbe, ossia appieno – dal primo gruppo all’ultimo – tiene impegnati per delle belle ore in piedi. In caso di tempo atmosferico favorevole la situazione non comporta particolari problemi in quanto la zona esterna al locale permette stravaccamenti di varia natura senza limiti di spazio, viceversa in caso di maltempo le cose si complicano un poco di più. Tutte cose superabilissime, sia chiaro, per gli abili e arruolati, ma tant’è.
             
Peculiarità dello Steel Fest 2011 targato Virgin Steele, così come della kermesse dell’anno prima, il portare in dote almeno un serio motivo di interesse per ogni band. Particolare non da poco, viste le rassegne spesso imbottite di gruppi filler che vengono poi inevitabilmente umiliati dal pubblico stesso trovandosi a suonare di fronte a tre fan, due parenti e un altro paio di personaggi di quelli che devono star lì per forza. Gli opener Battle Ram dell’attivista Gianluca Silvi, ad esempio, nonostante la posizione e l’orario sconveniente, grazie al carisma e al mazzo che si sono fatti in tutti questi anni beneficiano della loro bella fetta di pubblico di fronte al palco non per caso. Un gruppo che annovera anche metalhead con centinaia e centinaia di chilometri sul gobbone che però vogliono esserci a tutti i costi in tempo per ammirare dal vivo un ensemble italiano che vanta stimmate forgiate al Keep It True e al Play It Loud, fra gli altri.     
       
Un’intervista face-to-face programmata da settimane non permette allo scrivente di poter godere di tutto il concerto dei Battle Ram – a sollazzare il sottoscritto le sole Burning Lives e Smash The Gates – così come salterà per intero quello dei Crystal Viper. Per questo motivo il report dei due gruppi porta la firma dell’amico Sandro Buti, che ringrazio per la gentile collaborazione.     

 

Battle Ram: Gianluca Silvi    

Sandro Buti:

i Battle Ram sono un po’ la Penelope della scena metal italiana. Conosciuti ed amati da tutti, sono al lavoro sul loro primo full-length da tempo immemorabile, quasi cancellassero ogni sera le registrazioni della giornata passata… Miti classici a parte, è un piacere rivedere all’opera la band marchigiana, da sempre nota per la qualità delle esibizioni on stage. E neanche oggi i Battle Ram non tradiscono: una setlist forzatamente concentrata li vede offrire ai primi accorsi a Bologna il meglio della loro produzione, con il picco emozionale nella cover di ‘Warrior’ dei Riot. Precisi, compatti, potenti e soprattutto intensi: il miglior modo di dare il via allo Steel Fest.

 

Crystal Viper

Era la prima italiana assoluta per i Crystal Viper, e non si può dire che tutto abbia funzionato alla perfezione. La chitarra di Marta Gabriel è stata muta per una buona parte dello show, e l’intensità per lunghi tratti è mancata nell’esibizione della band polacca, apparsa in più di un occasione poco coesa. Marta ha cantato bene, come pure i suoi compagni d’avventura – presi singolarmente – non hanno demeritato, ma per qualche motivo lo show di oggi non è decollato, restando su livelli appena dignitosi. Personalmente, li ho visti altre volte più in forma. Senza giri di parole, una mezza delusione…  

Sandro Buti

 

Pegazus

Pegazus. Li avevo visti con Danny Cecati dietro al microfono ai tempi del tour con i Labyrinth versione Morby. Plasticissimo nelle pose e spettacolare in quanto tale – piuttosto basso, con i capelli di poco al di sopra della linea di demarcazione del deretano e borchie a go-gò – ma devo ammettere che gli australiani con in line-up lo storico Justin Fleming – già presente sul primo album omonimo del 1995 – se possibile penetrano metallicamente ancora di più in virtù di un set che non lascia prigionieri in quel di Bologna, convincendo a fondo e dimostrando di meritarsi ampiamente la “chiamata” per lo Steel Fest, non a caso proponendo  profeticamente fra il resto dei brani anche A Call To Arms, tratto da The Headless Horseman del 2002.

 

Tarchon Fist: “Wallace”


Tarchon Fist. Una sicurezza, il gruppo di Lvcio Tattini, e la recensione potrebbe finire qua. Via con la bellissima It’s My World e poi acciaio in mezzo ai denti per tutti i quaranta minuti a disposizione forti di pezzi da rock arena del livello di We Are The Legion. Otto i brani sciorinati in totale e chiusura affidata a The Game Is Over. Una partita in casa lo Steel Fest per i bolognesi, nella quale la band non si è limitata al pareggino misero-misero ma ha puntato decisamente ai tre punti, per quanto possibile. Sicuramente migliorato il singer Mirco “Ramon”Ramondo rispetto alla prova fornita in quel dell’Acciaio Italiano di Marmirolo (MN) qualche mese fa, denotando l’aumentato feeling con la band e il solito coraggio nell’afferrare senza apparenti timori l’ingombrante microfono che fu di J.J. Sange Sangermano fino a tutto il 2009. Scommessa non da poco che vincerà del tutto fra un po’ di tempo, sicuramente.     

 

Picture

  
Se ipoteticamente si dovesse spiegare a un essere proveniente da Marte cosa significhi l’HM classico quadrato che più quadrato non si può basterebbe fargli vedere e sentire la prima parte del setlist dei Picture. I veterani olandesi – primo demo distribuito nel 1980 e full length l’anno successivo, mica noccioline! – possiedono una carisma da vendere, a partire dal singer Pete Lovell, rughe e connotati da vecchio metallaro impenitente dalla fede incommensurabile. Non da meno gli altri quattro pard: look e attitudine da vendere, di certo un esempio per tutti i giovani musicisti convenuti all’Estragon. Laurens “Bakkie” Bakker pesta come ai bei tempi e alla fine è tutto il gruppo a conquistare gli astanti in virtù di un atteggiamento anti-rockstar che ha permesso loro di stringere mani, bere birra e fare foto insieme con i metalhead per tutta la durata della rassegna, scordandosi completamente del proprio camerino nel backstage. Commoventi per attaccamento alla sacra maglia del Metallo e fra i migliori del Festival, senza dubbio, con la seconda parte dello show più variegato in termini di pezzi proposti. Heavy Metal Ears… si, proprio così: sanguinanti alla fine dello show dei Picture!

Skanners: un’istituzione del Metallo Italiano. Trent’anni di milizia e non sentirli. Il singer Claudio “The Undertaker” Pisoni salta come un grillo e canta forse meglio che negli anni Ottanta coadiuvato dal vecchio pard Fabio Tenca alla chitarra alla sua sinistra e dall’altra storica ascia marchiata Walter Unterhauser a destra. Lo Steel Fest rappresenta il vero battesimo del fuoco di fronte al grande pubblico ortodosso italiano per il diciottenne batterista Davide Odorizzi così come per il bassista Andrea De Masi, vecchia conoscenza e antico amico della band. Così come ampiamente premiati per la posizione all’interno del bill i südtiroler pagano pegno per via dei suoni che, pur essendo dignitosi durante tutta la Loro performance, divengono magicamente mostruosi in occasione dello show del gruppo successivo, gli Angel Witch. Ah…, ‘ste magie del mixer…

 

Skanners: Klaus Pisoni (Links) und Fabio Tenca (Rechst)

 

Setlist-killer a partire da Welcome To Hell passando attraverso pezzi recenti ormai già definibili classici come Factory Of Steel e Hard And Pure, con addirittura Klaus che fischia un paio di volte scimmiottando Biff Byford dei Saxon per il brano che verosimilmente diventerà – se già non lo è – la Wheels Of Steel dell’HM tricolore. Dopo l’immensa Starlight chiusura di uno show epocale a opera della nuova e per nulla convincente Rock To You, evidentemente troppo rock e troppo poco HM per gli Skanners targati 2011.    

 

Angel Witch

I ripetuti cori “A-n-g-e-l  W-i-t-c-h — A-n-g-e-l  W-i-t-c-h” prima della comparsa dei Nostri e con il solo, mitico tendone nero con il logo dietro la batteria di Andy Prestidge non bastano per far smollare quel pezzo di ghiaccio di Kevin Heybourne, freddo come al solito nei confronti del pubblico. Setlist ormai stra-stra-stra-consolidato per gli inglesi di Londra a pescare a piene mani dal monumentale disco omonimo del 1980 (Angel Of Death, White Witch e compagnia cantante) accompagnato da un muro di suono, che rende piccolo piccolo quello sentito appena un quarto d’ora prima per gli Skanners. Nonostante il gelo proveniente dal palco caldissima la risposta del pubblico e addirittura al calor bianco in occasione del pezzo Angel Witch, a chiudere il concerto e suggellare l’highlight in termini di coinvolgimento generale dello Steel Fest, a suon di pugni alzati, borchiati e non.   

 

Praying Mantis


… And is time for Praying Mantis. Un po’ sottotono e sfasati fra loro all’inizio dello show recuperano alla grande minuto dopo minuto. A monopolizzare la scaletta dei cinque inglesi non solo brani estratti dalla pietra miliare Time Tells No Lies del 1981 ma anche dall’album Sanctuary, Loro ultimo full length. Più che dignitosa la prova del cantante Mike Freelan, sia per estensione vocale che per attitudine, estrinsecata in mezzo a due pilastri del periodo NWOBHM e dell’Hard come i fratelli Tino e Chris Troy. Il concerto dell’Estragon finirà su di un disco dal vivo e la posizione in scaletta – suoni compresi – è funzionale a quello, con buona pace del microfono stretto fra le mani di Freelan, che ogni tanto si perde tornando attivo dopo qualche istante di vuoto. In questi casi professionalissimi gli altri ‘Mantis: come se nulla fosse continuano senza scomposi più di tanto a beneficio di uno show che è riuscito ad arrivare direttamente al cuore dei fan, a partire dalle dolci fanciulle in platea. Probabilmente la magia dello Steel Fest è proprio questa, riuscire a inserire una wild card apparentemente fuori contesto all’interno del bill – l’anno scorso toccò gli italianissimi Crying Steel incastonati in una full immersion totalmente british – senza generare particolari tsunami. I Praying Mantis, infatti, pur essendo dei monumenti dei suoni duri inglesi, da sempre incarnano la componente più melodica legata al firmamento heavy rock ed erano di fatto gli unici a tenere alta la bandiera dell’Hard in un dalla connotazione monolitica. Impresa riuscita pienamente, la Loro. Per chi scrive una fra le prestazioni migliori di tutta la giornata, di quelle che restano per sempre.  

 

Virgin Steele: David DeFeis

     
Nonostante un merchandising praticamente scandalosamente inesistente pressoché da sempre ai concerti, fatta eccezione per qualche rarissima occasione – periodi Invictus e The House Of Atreus in tempi relativamente recenti – il numero di T-Shirt tarocche e non presente fra gli astanti denota che molta gente è convenuta in quel di Via Stalingrado a Bologna appositamente per Loro: i Virgin Steele da New York. Attesa palpabile, quella riservata agli americani, per via delle prove dal vivo non propriamente eccelse di Sua Maestà David “Dionysius” DeFeis nell’ultimo periodo e le perplessità palesate dal nuovo corso degli ‘Steeler, quello indicato dagli album Visions Of Eden e The Black Light Bacchanalia.  

 

Virgin Steele: Ed Pursino

 
L’accoppiata iniziale Dust From The Burning e Immortal I Stand serve per scaldare i motori – e  “regolare” i suoni – poi il concerto decolla inanellando gemme bene eseguite del calibro di Wine Of Violence, Victory Is Mine e Defiance alternate a passaggi – sulla carta da urlo – come quelli riguardo classiconi immensi. Trattasi di Noble Savage in versione decisamente strana e modificata per il falsetto nei passaggi hot, A Symphony Of Steel cantata più dal pubblico che non dallo stesso DeFeis e una Don’t Say Goodbye sottotono. Peccati veniali, ci mancherebbe, il timore di vedere un David impresentabile è stato spazzato via da prove mediamente all’altezza della situazione. Il Lion In Winter ha sprigionato più volte gli “occhi da tigre” azzurrissimi a suggellare ulteriormente l’antico patto con l’Epic Barbaric Heavy Metal dimostrandosi autentico animale da palcoscenico senza “ma” e senza “se” in più occasioni. Il tempo passa per tutti e i picchi vissuti da chi era presente durante le date con i Riot e gli Stigmata IV fanno ormai parte della storia, o meglio ancora dell’epopea del Metallo. David DeFeis rimane un grande e l’ha dimostrato anche sul palco dello Steel Fest, coadiuvato da una band finalmente compatta ma soprattutto gratificato dagli osanna di una fetta di un pubblico estasiato, come ben evidenziato durante l’orgasmo epico finale costituito da The Burning Of Rome e Veni, Vidi, Vici.
 

 

Testo e foto di Stefano “Steven Rich” Ricetti              
 

 

Foto di Battle Ram e Crystal Viper a opera dell’amico Luca Bernasconi, che ringrazio di cuore.