Live Report: Fear Factory a Roma

Di Francesco Sorricaro - 1 Giugno 2012 - 2:11
Live Report: Fear Factory a Roma

Turno di notte in “fabbrica” per gli amanti dell’industrial metal. All’Orion di Ciampino, Roma, arrivano i Fear Factory freschi di un nuovo album, l’ottimo The Industrialist ma, soprattutto, di una formazione rinnovata per metà che vede, al fianco della coppia di fondatori Burton C. Bell/Dino Cazares, l’inedita sessione ritmica formata da Matt DeVries e Mike Heller. Ecco il resoconto della serata del 29 maggio.

 

Foto e report a cura di Francesco ‘Darkshine’ Sorricaro

Un Orion tutt’altro che affollato dà il benvenuto ai 4 ragazzi del Colorado che stanno supportando i Factory in questo tour. Fieri divulgatori del verbo, sono il perfetto spot del “com’è bello fare il mestiere del thrasher”! Con soli due full-lenght alle spalle ed un EP di 4 tracce (di cui due cover) pubblicato proprio in vista del tour (come si faceva un tempo), i ragazzini dimostrano una padronanza dei propri mezzi e dei clichè del genere, propria dei veterani.

Il loro sound che pesca a piene mani da Slayer, Death Angel, Metallica e quant’altro vi venga in mente del periodo d’oro della San Francisco Bay Area si snocciola in poco meno di un’ora in nove brani tra cui spiccano le terremotanti Morbid Symmetry e Covering Fire. Una serie di tracce ultraveloci e tecnicamente ineccepibili che divertono sul momento ma annoiano sulla lunga distanza, lasciando in bocca una sensazione di stantio e nelle orecchie il loop di Damage Inc. (alzi la mano chi non è stato tartassato continuamente dalla sua eco!).

Una buona esibizione, in ogni caso, se non altro per la grande passione spesa dagli Havok che si divertono, si agitano, pestano come matti e cercano ripetutamente di coinvolgere un pit ancora abbastanza ingessato.


                                                       
                                                        

 

 

 

 

L’ingresso dei Fear Factory, dopo il tempo di una birra, avviene senza troppi trionfalismi: è la musica stessa del quartetto a donare maestosità al momento. Sulle note introduttive di ObsoleteBell entra in scena ciondolando e fa esplodere la platea quando urla il suo “SHOCK”! E’ davvero un piacere vedere fianco a fianco, dopo tutto quello che c’è stato tra loro, Burton e Dino. I due, in realtà, si “evitano amichevolmente” sul palco ma, perlomeno sembrano tornati a rispettarsi a vicenda e a divertirsi durante gli show.

Il set di questa sera è suddiviso in comparti stagni, con un’organizzazione, manco a dirlo, degna di una catena di montaggio! 6 episodi che rivisitano una carriera, a cominciare appunto da Obsolete, rappresentato da Shock, Edgecrusher e Smasher/Devourer: un trittico killer, tratto da uno degli album più riusciti del combo.

Dino Cazares è, come si dice a Roma, davvero “preso bene”; se la gode, e il pubblico lo prende da subito in grande simpatia, omaggiandolo fin dai primi minuti con un coro tutto per lui. La stazza cresce ad una velocità impressionante, ma le sue dita scivolano con la velocità e la semplicità irrisoria di un tempo sulla tastiera della sua Ibanez. E’ un piacere godere della simmetria assoluta con cui lui e DeVries suonano i rispettivi strumenti, pigiando i tasti all’unisono. L’ex Chimaira è così disinvolto che sembra continuare ad imbracciare una chitarra; non avrà la presenza di Byron Stroud, ma è un buon acquisto per la band di Los Angeles.

La prestazione di Mike Heller, d’altro canto, è pressochè senza macchie: pulito e preciso come un orologio, ha studiato alla perfezione il metodo giusto per ricreare la famosa “macchina da scrivere” che fa da marchio di fabbrica alla band ma, forse troppo impegnato a far bene il suo compitino, non suscita grandi emopzioni in chi lo guarda. Probabilmente è ancora troppo ingombrante l’ombra carismatica dei suoi predecessori.

Tralasciando i brani tratti da Digimortal, che anche all’Orion mostrano tutti i limiti che li contraddistinguono anche su disco, il concerto prosegue spedito sulle note di Mechanize, il disco della svolta del 2010: una parziale rifioritura per i Fear Factory, di cui Powershifter e Fear Campaign sono perfetti esempi di potenza e gusto lirico. Ah…. dimenticavo di dire che Burton Bell, anche lui in buona vena ed in continua ricerca dell’interazione con le prime file, perde completamente la voce dopo soli 4 brani dall’inizio del concerto, rendendo la maggior parte dei successivi quasi irritanti alle mie povere orecchie.


                                                       
                                                        

 

 

 

Un vero peccato, perchè per lo meno, con grande professionalità, il frontman ha continuato a fare il suo show, ma non ha saputo dosare la sua voce a seconda dei momenti più o meno acuti del suo cantato, rovinando quelle parti che poi sono uno degli ingredienti fondamentali del sound dei Factory, le clean vocals che emergono dal magma incandescente. Non lo salva poi di certo, da questa brutta figura, l’unico termine italiano nel suo vocabolario, e cioè: “bunga, bunga”…. Ma lasciamo stare!

Per fortuna il growl è più potente che mai, e passando per Recharger, unica concessione al sopracitato The Industrialist, ed un tuffo nel passato con Martyr e Scapegoat, è proprio quello che trascina fino al momento più atteso, riservato sapientemente alla fine. E’ il momento di aprire le quinte su Demanufacture.

Alle prima note della titletrack di quel fantastico disco del 1995 la catarsi si completa. Il pit esplode, canta a squarciagola, i suoni si fanno oscuri ed anche Bell, riacquista miracolosamente la voce. Non c’è che dire, questo è “il” disco dei Fear Factory; difficilmente riusciranno mai a tornare a quei livelli di perfezione. E’ il disco che ha forgiato il sound con cui tutti li identificheranno per sempre, quello che li ha resi la band più ricercata di quel periodo, quello che ha montato un’attesa tale sulla loro creatività, da favorirne purtroppo anche i successivi momenti di declino.

Vengono eseguiti brani che sono nel sangue di ognuno: Demanufacture, Self Bias Resistor, Zero Signal e, naturalmente, Replica, richiesta insistentemente dai fan e suonata (a dire il vero un po’ trascinata) in fondo allo show senza nemmeno una pausa nel mezzo. Chiusura col botto dunque: un finale per cui sembra che i quattro abbiano serbato energie apposta durante la serata, e che appaga in parte, dopo un’ora e mezza scarsa di spettacolo martoriato dalle problematiche di cui ho detto.

Lo show di Ciampino è stato pensato in maniera equilibrata, dosando i brani, pensando ai nostalgici del vecchio materiale, tralasciando completamente il periodo senza Cazares, ma puntando giustamente anche su un buon album come Mechanize. A parte la cattiva forma vocale di Burton C.Bell, il resto della band sembra affiatata ed in grande forma. Grossi sorrisi, continuo contatto con i fan ed il grande orgoglio di far parte di un gruppo che è storia, sono queste le componenti dei Fear Factory 2012 visti all’Orion. Cosa riserverà il futuro?

 

Setlist
Shock
Edgecrusher
Smasher/Devourer
Acres of skin
Linchpin
Powershifter
Fear Campaign
Chistploitation
Recharger
Martyr
Scapegoat
Demanufacture
Self bias resistor
Zero signal
Replica