Live Report: Paganfest a Bologna

Di Angelo D'Acunto - 7 Marzo 2010 - 0:05
Live Report: Paganfest a Bologna

Il ritorno del Paganfest in Italia era sicuramente uno degli appuntamenti più attesi dell’anno in corso, soprattutto per chi, nella scorsa edizione, ha assistito ad una sua versione dimezzata dalle defezioni improvvise di Unleashed, Die Apokalyptischen Reiter e Blackguard avvenute a causa di un incendio sviluppatosi all’interno di uno dei tour bus, mentre in secondo luogo c’è il ritorno dei Finntroll dopo l’ultima e deludente apparizione in terra felsinea. Certo che, questa volta, già nel corso delle prime conferme ci siamo trovati di fronte alle incertezze di un billing che vedeva inizialmente, a supporto dei due headliner Finntroll ed Eluveitie, gruppi come Týr, Heidevolk e Swashbuckle, sostituiti poi da Dornenreich, Varg e Arkona. Poco male comunque, la qualità del festival non è stata minimamente intaccata e, come vedremo, le soddisfazioni non sono di certo mancante.

Angelo D’Acunto


Report a cura di Lorenzo Bacega, Roberto Cavicchi e Angelo D’Acunto
Foto a cura di Angelo D’Acunto


Arkona


Ore 19:20 circa: davanti a un esiguo pubblico raggruppatosi lungo le primissime file dell’Estragon, tocca ai russi Arkona aprire le danze di questa unica tappa italiana del Paganfest 2010. Quella messa in atto dal quartetto proveniente da Mosca è un’esibizione estremamente coinvolgente e precisa sotto ogni punto di vista, supportata in questa occasione da suoni ottimali e ben bilanciati (caso più unico che raro per un gruppo di apertura). I presenti, seppur ancora poco numerosi (ma il locale andrà riempiendosi con il proseguo della serata), dimostrano di apprezzare lo spettacolo messo in piedi dalla band caucasica, discretamente valido per quanto riguarda la presenza scenica (con in primis la bella Masha “Scream” Arhipova) ma assolutamente impeccabile dal punto di vista esecutivo. Pochi sono i minuti a disposizione per i quattro moscoviti (una mezz’oretta scarsa), per una scaletta che propone principalmente brani estratti dall’ultimo full length “Goi, Rode, Goi!”, tra i quali spiccano soprattutto l’acclamatissima title-track e una molto convincente “Yarilo”. Promossi senza riserve quindi, nella speranza di rivederli al più presto, magari con un po’ più di tempo a disposizione.

Lorenzo Bacega

Varg


Se la performance degli Arkona è stata davvero di ottimo livello sotto ogni aspetto, la stessa cosa, purtroppo, non si può certo dire dei Varg. Reduci dalla recente pubblicazione di “Blutaar” (secondo full length ufficiale edito da Nuclear Blast), i lupi di Coburgo offrono in pasto ai presenti uno spettacolo tutt’altro che memorabile, pesantemente condizionato da una resa sonora in questo caso decisamente non all’altezza (soprattutto per quanto riguarda i volumi della voce e delle chitarre, male equilibrati), e penalizzato inoltre da una tenuta del palco abbastanza impacciata e assolutamente rivedibile (solamente il cantante Philipp “Freki” Seiler tenta, peraltro in maniera tutt’altro che convinta e con scarsi risultati, di scuotere dal torpore il pubblico raggruppatosi nei dintorni del palco). I pezzi della scaletta vengono estratti principalmente dall’ultimo già citato “Blutaar”, come ad esempio la vivace “Viel Feind Viel Ehr” piazzata in apertura, oppure la melodica ma decisamente ripetitiva “Sieg oder Niedergang”. Lo show prosegue con il vero e proprio inno “Skål”, seguito a ruota dalla più sobria e ragionata “Blutaar”, fino ad arrivare alla conclusione con una tirata “Wolfszeit”, che pone la parola fine a una mezz’ora di esibizione nel complesso davvero poco coinvolgente e deludente su tutta la linea.

Lorenzo Bacega

Dornenreich


Finita l’esibizione dei tedeschi Varg è il momento degli austriaci Dornenreich di intrattenere il pubblico. Il terzetto austriaco sale sul palco aprendo col brano acustico Freitanz, eseguito splendidamente, apparendo fin da subito in gran forma, e riesce sia a tenere bene il palco sia ad entusiasmare il pubblico con la propria musica, nonostante il numero esiguo di musicisti e di strumenti sul palco. I suoni favoriscono il gruppo, rimanendo sempre su ottimi livelli di nitidezza e volumi, impeccabili quanto la performance dei nostri lo è per tecnica e passione d’esecuzione.
Il concerto potrebbe essere diviso in due parti ideali: la prima dedicata all’attuale proposta dei Dornenreich, quindi un ipnotico post rock estremamente suggestivo ed ammaliante, la seconda atta ad accontentare i fan del primo periodo della band, quando proponevano un black melodico di alta qualità, che viene riproposto in maniera impeccabile nonostante l’inusuale formazione chitarra-batteria-violino, portando un po’ di sana ferocia all’interno dello show, che si trasforma in un muro di suoni compatto ed assassino. Il pubblico gradisce tutto questo, e risponde con un affetto del tutto meritato.
Un’ottima esibizione quella dei Dornenreich, che anche dal vivo si confermano come una delle realtà migliori e più originali della scena europea. Promossi a pieni voti.

Roberto Cavicchi

Eluveitie


È il momento di spostarci in Svizzera con l’esibizione degli Eluveitie. Il concerto comincia presto, dopo un sound-check molto breve, soprattutto se si considera la mole di strumenti sul palco; gli effetti purtroppo si sentono, ed il primo pezzo viene eseguito con suoni che definire indecenti sarebbe un complimento, tanto da risultare quasi irriconoscibile: gli unici strumenti che si sentono sono la batteria ed il flauto mentre tutto il resto si perde in un caotico marasma ronzante. Per fortuna i suoni vengono aggiustati già dalla seconda canzone, e con qualche alto e basso si manterranno buoni fino alla fine del concerto. Con il nuovo album appena uscito la scaletta è ovviamente occupata da più di uno dei nuovi pezzi, come “Quoth The Raven”, “Nil”, “(Do)minion”, ed una “Thousandfold” suonata molto bene. Il palco dell’Estragon è affollato fino a scoppiare dai nove musicisti e dalla foresta di strumenti folk presenti, ma gli Eluveitie dimostrano tutta la loro attitudine live riuscendo nell’impresa di non sembrare statue di cera anche in quelle condizioni. Il carismatico frontman Christian Glanzmann incita il pubblico (memorabile la sua richiesta, prontamente eseguita, verso un fan del pubblico di dare vita ad un violento circle pit davanti al palco), il quale non vede l’ora di scatenarsi nel pogo ed in balli sfrenati. I pezzi storici vengono accolti con grande calore, in particolare una “Inis Mona” da lacrime che ha esaltato quasi tutto il pubblico presente (sottoscritto compreso, lo ammetto), come anche le ottime “Slania’s song”, “Gray Sublime Archon” ed una “Omnos” veramente da brividi. Unico peccato l’esigua presenza del loro primo full, “Spirit”, relegato alla sola “AnDro”.
Nel complesso una buona esibizione, ma comunque non del tutto perfetta: d’altronde se lo scopo di un concerto è divertire il pubblico gli Eluveitie hanno colpito in pieno.

Roberto Cavicchi

Finntroll


E se gli Eluveitie, con la loro ottima esibizione, hanno ravvivato a dovere l’ambiente dell’Estragon (tenendo comunque conto delle altrettanto ottime prestazioni dei gruppi precedenti), ai Finntroll è toccato invece il compito di dare il colpo di grazia alle energie residue dei presenti. Parlavamo, in apertura, della pessima esibizione dei finlandesi avvenuta lo scorso mese di settembre in terra felsinea. Bene, dimenticatela. Quello che è salito sul palco questa volta sembrava essere un altro gruppo: ottimi prima di tutto i suoni, ma ancora meglio la prova dei singoli elementi, con un Mathias “Vreth” Lillmåns perfetto sia a livello vocale, sia per quanto riguarda la presenza scenica e, senza togliere nulla agli altri, Ruotsalainen dietro le pelli preciso e, evidentemente, sobrio al punto giusto. La band tiene quindi più che bene il palco, e il pubblico bolognese dimostra di apprezzare in pieno lo show movimentando non poco la situazione tra le prime file a colpi di pogo e dimostrando una certa partecipazione cantando i cori di tutti i pezzi. Ben bilanciata la setlist della serata, giustamente orientata verso il nuovo corso della band, con Dråp, Solsagan, Den Frusna Munnen e Under Bergets Rot a rappresentare l’ultimo Nifelvind, oppure Korpens Saga e Nedgång (da Ur Jordens Djup), senza comunque tralasciare il passato con estratti Midnattens Widunder (come Blodnatt), la stessa title-track di Jaktens Tid e l’immancabile Trollhammaren. Tutti brani suonati con una buona dose di grinta da una band veramente in stato di grazia, capace di mettere in atto uno show assolutamente energico, piacevole e, soprattutto, decisamente divertente.

Angelo D’Acunto