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Focus Indulgens (Carlo Castellani,Federico Rocchi)

Di Damiano Fiamin - 21 Febbraio 2012 - 11:10
Focus Indulgens (Carlo Castellani,Federico Rocchi)

Dopo un disco di esordio che li ha fatti notare nell’affollato panorama del doom metal, tornano i Focus Indulgens. Con il loro secondo album, Hic sunt Leones, il terzetto si è davvero spinto oltre le terre conosciute, avventurandosi in sonorità decisamente differenti da quelle del debutto, ma non per questo meno affascinanti. Potevamo esimerci dall’intervistarli? Decisamente no, mettetevi comodi e preparatevi ad addentrarvi nel mondo oscuro e misterioso dei Focus Indulgens!

Intervista a cura di Damiano Fiamin

Ciao e benvenuti su TrueMetal.it! Cominciamo a scaldarci con qualcosa di facile: potete raccontare ai nostri utenti la vostra storia? Come vi siete formati?
Carlo Castellani: Ciao a tutti e grazie dell’ospitalità! Risponderò alle domande io (Carlo Castellani), insieme a me, c’è Federico Rocchi; purtroppo, Edoardo non ha potuto essere presente! Brevemente, la band nasce nel 2008, inizialmente ne facevamo parte solo Edoardo e io: io suonavo la chitarra e cantavo, lui suonava la batteria. Ci siamo formati in un periodo di stallo con l’altra nostra band, gli Spartacus (stessa formazione dei Focus Indulgens). Dopo le ultime prove di questi, Edoardo e io rimanevamo in sala prove e suonavamo ancora un po’. Nate le prime tracce abbiamo registrato qualche canzone e queste sono iniziate a girare nel web, fino al contatto con Pio della Doomymood.

Non allontaniamoci troppo, perché non ci dite quali sono le vostre influenze? Potete anche uscire dal seminato e non limitarvi alle basi musicali.
Carlo: Quando scrivevo le prime canzoni per la band non feci niente a tavolino, non dissi “Adesso formo una band doom” o cose simili. Mi misi solo a scrivere questi riff libero da ogni etichetta. Ovviamente, in ciò ero influenzato da ciò che più ascoltavo all’epoca, ero e sono un grande fan del doom, a partire da quello embrionale degli anni ’70 fino all’attuale. Inoltre, adoro la NWOBHM, insomma, il metal ortodosso anni ’80 in toto. E, ovviamente, sono sempre stato un grande fan del progressive italiano. Mi piace il Dark Sound in qualsiasi sua forma, ora come ora poi le mie influenze si sono triplicate rispetto all’epoca, e penso che questo da Hic Sunt Leones si senta. Edoardo, come me, era ed è fan dell’heavy metal più ortodosso, del doom, della NWOBHM e anche molto dell’hard rock, del progressive, del southern rock. Per Federico, il discorso è lo stesso, lui però prima di noi si è avvicinato già da tempo a movimenti come la New Wave, il Beat e quel progressive italiano più pop prettamente anni ’70-’80. Io ultimamente ho approfondito molto certe correnti italiane un po’ dimenticate, come appunto la New Wave.

Come nasce uno dei vostri pezzi? Siete degli artisti impulsivi o, piuttosto, vi riunite a tavolino per delineare delle strategie precise?
Carlo: Assolutamente impulsivi nello strutturare la canzone, ma abbastanza meditativi su come deve suonare il disco, non vogliamo che fra le canzoni ci sia troppo divario stilistico, vogliamo insomma che il disco possa suonare bene anche se visto come un’unica grande traccia omogenea. In linea di massima funziona così, uno di noi tre porta un’idea, la fa sentire agli altri, e se piace poi insieme ci lavoriamo finché non abbiamo il prodotto finito che ci soddisfa. Tendiamo a cambiare molte volte una canzone nel corso del tempo, a esempio, Hic Sunt Leones è stato ultimato solo pochi giorni prima di entrare in studio. Continuavamo a cambiare parti che non ci soddisfacevano. È giusto che sia così.


Rispetto ai vecchi pezzi, quelli contenuti in “Hic sunt leones” hanno delle sonorità che mi ricordano enormemente il progressive italiano degli anni d’oro. È un esperimento consapevole che credete di ripetere o pensate di ritornare a muovervi nel doom metal più tradizionale?
Carlo: Esattamente, il progressive italiano in questo disco ci ha ispirato fin più del doom o del rock-metal in generale. Niente è ancora detto, come lo è stato per questo disco rispetto al primo ci potrebbe essere un nuovo cambiamento per il futuro, ma non lo sappiamo. Sicuramente il progressive all’italiana rimarrà sempre fra le nostre influenze, anche se tentassimo di fare qualcosa di diverso. Ci è dispiaciuto per motivi di tempo non aver potuto inserire delle parti che erano state assegnate a flauto traverso e sax, sarebbe suonato ancora più progressivo. Sarà per il prossimo!

Volete raccontarci qualcosa dell’ultimo disco? Quali sono le tematiche affrontate? Forniteci un quadro generale per permettere anche a coloro che non lo hanno ancora sentito, di farsene un’idea.
Carlo: Il nuovo disco innanzitutto ha le liriche in italiano, questo ci ha permesso di fare testi più profondi e curare di più le tematiche, che si sono fatte più personali. Per quanto riguarda queste ultime appunto non vi è un vero filo conduttore che le lega, ma se proprio lo si vuole trovare allora è il dolore o la malinconia, la tristezza. Non abbiamo scelto di fare un disco con testi pessimistici però se ci fate caso è uscito così. D’altronde penso che le tematiche si debbano sposare bene con la musica proposta. Per quanto riguarda il piano musicale, be’, sono cambiate un po’ di cose da The Past, la matrice progressive è più marcata, il doom è quello “proto” degli anni ’70 e altre influenze sono entrate nei pezzi. Con questi generi per così dire retro non potevamo far scelta migliore che suonarli live, infatti le registrazioni sono praticamente un live in studio, escluso voce e soli. La parte solida delle canzoni è stata interamente suonata in presa diretta senza metronomo o altro.

Quali sono i vostri programmi? Avreste voglia di delineare un affresco dei vostri progetti futuri?
Carlo: Ci stiamo proprio ora muovendo nelle prime idee per il prossimo disco, ne abbiamo tante e anche una strada da seguire, ma come ho detto prima nulla è deciso, tutto può cambiare in questi casi. Vogliamo tenere “segreto” il percorso che stiamo compiendo, come abbiamo in parte fatto per Hic Sunt Leones, quindi dovrete aspettare un po’. In ogni caso al momento stiamo pensando già alla scrittura del terzo, e anche ai prossimi live, per adesso quello a Prato di spalla ai Necrodeath, dove avremo modo di presentare Hic Sunt Leones.

I Focus Indulgens sono un gruppo di nicchia; che rapporti avete con il mondo sotterraneo della scena musicale nostrana? L’underground italiano è vivo e forte o, piuttosto, la scena si va sgretolando?
Carlo: Mah, ti dirò, una volta ti avrei risposto diversamente, ma adesso non so cosa pensarne.  Band valide ce ne sono, ma troppo spesso certe band già di per sé underground si lanciano in ridicole guerre fra poveri, è sempre successo, ma è un comportamento infantile e non mi abbasso a fare nomi. Nonostante ciò ,come già detto, di band valide ce ne sarebbero e il discorso fatto prima è solo un caso per fortuna limitatissimo. Ringrazio comunque di “essere nell’underground”, ora, e già prima con gli Spartacus, perché a livello personale questo mi ha dato modo di conoscere tantissime persone speciali, come i nostri grandissimi amici degli Axevyper, o tanti altri grandi ragazzi; oltre la musica, l’underground è fatto anche e soprattutto di rapporti con i membri delle band, e posso dire che spesso oltre la stima musicale si stringono vere amicizie durature nel tempo.

Cosa esce, in questo periodo, dalle casse dei vostri stereo e dalle cuffie dei vostri lettori mp3?
Carlo: Mi sento in dovere di risponderti sinceramente, i dischi che sto ascoltando di più ultimamente sono questi: Faust’o – J’accuse Amore Mio, Diaframma – Siberia, Banco Del Mutuo Soccorso – Canto Di Primavera, MC5 – Kick Out The Jams. Di solito non tendo ad ascoltare più di tre o quattro dischi a “periodo”. E per adesso questi sono quelli che girano più spesso nel lettore.
Federico Rocchi: In questo periodo nevoso e un po’ freddo (nel mio caso, anche dentro) mi piace molto accompagnare il tempo passato al PC con Faust’O, che ritengo un artista dotato di genialità e gusto unici, e con l’Ivan Graziani più malinconico. Prima di andare a dormire i Dark Quarterer dei primi due dischi. Quando mi sento invece più cazzuto i riffoni dei The Sword sono davvero un toccasana per l’adrenalina!

Avete gruppi di cui volete suggerirci l’ascolto o su cui volete lanciare un anatema?
Carlo: Eeeeeh, se ne avrei! Guarda più che gruppi io voglio consigliare a tutti i lettori di riscoprire la scena progressive italiana degli anni ’70, è troppo spesso tralasciata a favore di quella inglese o del rock straniero in generale. OK ascoltatevi la discografia dei Black Sabbath, loro sono inarrivabili, dei Deep Puple, Led Zeppelin ecc. Ma poi compratevi anche qualche vinile degli Osanna, dei Balletto Di Bronzo, e via dicendo! E vedrete che vi si trovano molte soluzioni geniali e di puro rock! In ogni caso, se rimettete su un vinile dei Black Sabbath mi va bene lo stesso ahahah!
Federico: Suggerirei molto volentieri l’ascolto di una band che ho conosciuto suonando al Malta Doom Festival, i Griffin Device: un bel sound Doom nel modo giusto, supportato da ottimi musicisti nonché persone squisite. Ho stretto un bel legame con il chitarrista della band, Daniel Bartolo. E fra le altre cose ci siamo confessati a vicenda di aver fatto cadere qualche lacrima il giorno che è venuto a mancare Gary Moore!
In quanto agli anatemi, non auguro del male a nessuno, ma mi dispiace di come in Italia si preferisca ascoltare nuove band e artisti solo perché schierati politicamente e il più delle volte in modo ipocrita, rispetto a giovani che mettono l’Arte e la Fantasia prima di facili cliché e luoghi comuni da giovani adulti.

Impreziosite questa intervista raccontandoci qualcosa di intrigante, un po’ di aneddotica che ci aiuti a capire chi siete esattamente, cosa avete passato e cosa vi ha reso, come band, quelli che siete.
Carlo: Be’, suonando insieme circa dal 2006 (prima con gli Spartacus, poi con i Focus Indulgens) di aneddoti ne avremmo tantissimi come puoi immaginare! Ormai sono sei anni che suoniamo nella stessa sala prove, il mio garage, e lei potrebbe raccontartene tanti ahahah! Sinceramente, sia The Past che Hic Sunt Leones li abbiamo scritti sotto effetto di alcolici. Dunque, quando iniziammo a capire che Hic Sunt Leones aveva le carte in tavola per essere un disco molto influenzato dal progressive italiano, puoi immaginare come ci sbizzarrimmo e ci sentimmo liberi nel poter usare qualsiasi idea ci passasse per la testa! In quel periodo io vivevo da solo a Firenze per l’università (da quest’anno ho abbandonato la vita solitaria per andare a vivere con Edoardo in un altro appartamento sempre a Firenze, adesso è in casa da solo, so che si sta scolando tutte le birre che ci sono in frigo) in un appartamento-loculo-monolocale disagiato in una via del centro. Anche Edoardo era a Firenze e anche lui viveva da solo poco lontano da casa mia, quindi ci vedevamo spesso, praticamente ogni giorno. Eravamo in piena fase di scrittura per Hic Sunt Leones, ma, purtroppo, nei nostri monolocali a Firenze come immaginerai non avevamo spazio per adibire una sala prove e nemmeno portare gli strumenti, quindi ci arrangiavamo. Dopo svariato vino e birre accendevamo il PC, aprivamo il registratore vocale e iniziavamo a segnare le idee di riff ecc. simulando gli strumenti con la voce. Non sai le risate che ci facevamo quando poi sobri in sala prove riascoltavamo quelle vocals session per cavarne fuori qualcosa con gli strumenti ahahahah! Mamma mia ci sarebbe da stamparci un disco di cacofonia con quelle tracce vocali. Poi non sto a raccontare tutti gli aneddoti dei live perché sono davvero troppi e troppo lunghi. Posso solo dirvi che Federico Rocchi sta cercando di farci vertere verso uno stile jazz-cantautorato napoletano, dopo che ha visionato per mesi il video del live di Pino Daniele. Ecco il video incriminato.


Siete una band da studio o vi sentite più a vostro agio quando calcate un palcoscenico? Spiegateci le vostre preferenze.
Carlo: Mh, bella domanda! Non ci ho mai pensato. Be’ dipende, ecco, ci sono volte che hai proprio voglia di suonare dal vivo, e allora il live esce un gran live, e altre volte che in realtà preferiresti abbandonare i concerti e continuare a lavorare solo in studio. Però diciamolo, alla fine quando sei sopra il palco ti diverti sempre alla grande, è sempre una grande emozione. Piuttosto sarebbe bello portare dal vivo le nostre canzoni in versione originale, con tutti gli strumenti, senza doverle ri-arrangiare per la dimensione fuori dallo studio. Potrà succedere, speriamo!

Ultimamente, c’è un grande clamore intorno al tema del diritto d’autore. Cosa ne pensate, qual è la vostra posizione sulla tutela della proprietà intellettuale?
Carlo: È un argomento molto delicato e controverso. Ci si dovrebbe aprire un dibattito, io e Federico qui presente diciamo solo che il tema del diritto d’autore è solo un pretesto per un piano “terroristico” di controllo mediatico molto più fine e ampio. L’America ci fa un po’ paura.