Live Report / Intervista – Armageddon In The Park

Di Fabio Vellata - 15 Settembre 2012 - 16:00
Live Report / Intervista – Armageddon In The Park

 

 

Live report a cura di Vittorio Sabelli e Mirco “AbysS” Gnagnarelli

 

Contestualizziamo geograficamente il posto in questione:
San Giacomo Degli Schiavoni, a 5km dalla turistica Termoli, con una verve e un coraggio di altri tempi – soprattutto in quelli attuali – riesce a richiamare da tutto il centro e il sud Italia appassionati delle frange musicali più estreme e variegate, comprese tra l’heavy ed il thrash, passando dal death, al brutal ed al black. Non approfondendo il discorso, potrebbe sembrare uno dei tanti raduni che – soprattutto nel periodo estivo – riescono a creare quell’ambiente in cui il popolo del metallo pesante trova il suo giusto contesto. Ma come ci racconta a fine serata uno dei tanti fan: “l’Armageddon In The Park è la migliore manifestazione musicale a cui io abbia mai preso parte: il modo in cui è organizzato il festival lo rende speciale e la gente che lo segue è senza dubbio l’arma in più. Rivedere le persone a cui mi lego ogni anno di più, incontrare nuovi amici, mangiare carne e bere birra insieme a loro come se fossimo amici da una vita, è una esperienza davvero unica. Ognuna delle facce che sono legate a questo festival, ogni singolo momento legato al parco di San Giacomo, sono cose che sicuramente non dimenticherò mai”.

Andando a scovare nei meandri della manifestazione ci imbattiamo in una vera e propria “comunità” di oltre quaranta membri dello staff che oltre al lavoro a monte di organizzazione, si fanno in quattro lavorando sotto al sole e con qualsiasi condizione meteorologica, allestendo e disallestendo il ‘parco’ che sorge in mezzo al paese, il luogo di ritrovo per diverse centinaia di appassionati accorsi da mezza Italia, confermando le parole citate sopra: è come rincontrarsi per una cena dopo il diploma delle scuole superiori, l’atmosfera è familiare e nonostante il caldo torrido non si può rinunciare all’abbigliamento di chi fa del metallo (in qualunque suo ramo) un credo per la propria vita.

Ulteriore riscontro è stato fornito dalle parole di Paul Speckmann: “sono molto felice che ci siano in Italia tante persone che supportano ancora il vero metal underground, nonostante le cose oggi siano più difficili che in passato, ma lo scenario perdura e gli spettacoli continuano, vedendo ragazzi che si fanno in quattro per organizzare un Festival come l’AITP, e farci trovare a nostro agio, sono senz’altro da incoraggiare e da premiare”. A Speckmann fa eco Nige Rockett, chitarrista degli headliner Onslaught, stupito (positivamente) del ‘trattamento’ e della location, all’unisono con le altre band in cartellone, che hanno visto con i loro occhi il lavoro dello staff riempiendo questi ragazzi di complimenti e ringraziamenti, dandogli il coraggio per continuare in una zona ‘dimenticata’!

Stage Area

Dopo questa premessa obbligatoria per entrare nel mood dell’AITP, passiamo ad analizzare il programma, che vede l’apertura dei cancelli in ritardo sull’orario stabilito. Come già detto, non ci sono le ‘risorse’ e i mezzi di Wacken e qualche piccolo problema tecnico fa slittare le operazioni di entrata del pubblico ed il conseguente inizio del Festival, inaugurato dallo show dei campobassani Sakahiter.

Il gruppo che sfodera un black metal intriso di contaminazioni provenienti da doom e thrash, nonostante l’inevitabile ‘assestamento audio’, riesce comunque a improntare il set su brani diretti e senza compromessi, inaugurando questa nona edizione nel migliore dei modi.

(Vittorio Sabelli)

Setlist:
1. Hirpus
2. Kutilia
3. Lex Sacrata
4. Blood stained Agony.

Cambio scena ed ecco salire sul palco i torinesi Endovein.
Il gruppo, ridotto ufficialmente ad un quartetto, mette in campo buone idee e doti tecniche, improntate su di un thrash metal di stampo tradizionale, offrendo al pubblico una buonissima performance, basata soprattutto sull’energia del cantante Alex Panza che corre da un lato all’altro dello stage. come un forsennato.
Vari i brani tratti da “Waiting For Disaster”, a cui si aggiunge il nuovo singolo “No Walls, No Doors”.

(Vittorio Sabelli)

Setlist:
1. Endless Prophecy
2. Fallout Terror
3. Lynched by Fate
4. No Walls, No Doors
5. Problem of Humnaity
6. Endovein are Adrenaline… For your Fuckin’ Summer
 

Il caldo si fa sentire e i presenti approfittano di queste prime battute per tirare il fiato in vista della serata. Ma purtroppo è solo un’illusione: non appena fanno il loro ingresso gli Antropofagus l’aria diventa incandescente, ed è impossibile rimanere seduti o aggirarsi nei diversi stand all’interno del parco. Tya e soci catturano l’attenzione con una performance spaccaossa. “Meatgrinder” si accartoccia sulla malcapitata Jackson, devastandola a più non posso con riff ’n’ sweep a velocità stratosferiche, mentre il carismatico leader invoca Clive Burker, ispiratore del concept album “Architecture Of Lust”, dal quale sono tratti tutti i brani proposti. Cambi di tempo, cattiveria, tempi dispari sono il fulcro del quartetto di Genova, tenuto in piedi dall’asse Jacopo / “Brutal Dave” Billia, che scandiscono ogni colpo con una precisione disarmante, facendo apprezzare il loro sound senza compromessi ai presenti – scesi finalmente in ‘campo’ sprezzanti del caldo soffocante – che hanno iniziato a contribuire alla causa dell’Armageddon, disapprovando la chiusura anticipata del set, dovuta al ritardo iniziale, così come hanno fatto le band precedenti.

Tya annuncia la conclusiva Lament Configuration e gli Antropofagus – nonostante qualche problema relativo all’audio che non ha aiutato di certo il quartetto – si lasciano comunque alle spalle una performance ottima, confermandosi una delle migliori brutal band in circolazione.

(Vittorio Sabelli)

Setlist:
1. Architecture Of Lust
2. Exposition of deformity
3. Sanguinis bestiae solium
4. Demise of the carnal principle
5. Lament Configuration

 

I Sabotage, 30 anni di storia del Metallo italiano, senza sentirli, ma mettendoli a servizio della migliore esibizione della giornata. Chi pensava che i vecchi eroi fiorentini fossero ormai arrugginiti, ha avuto quel che meritava, una sana dose di onestà ed acciaio di vecchia fattura. Sin dall’apertura con “Hot zone”, la band dimostra di essere davvero in forma, e la risposta positiva del pubblico (fino ad allora piuttosto statico) non fa che aiutarla nel tessere le trame di uno show davvero energico, con un Morby sugli scudi che riesce a convincere anche chi, come me, non è mai stato grande fan del suo stile vocale.  La scaletta, nella sua brevità, è davvero ottima, andando a pescare principalmente dal repertorio storico, anche se non mancano incursioni nel recente passato, come la title track di “Hoka hey”. Chiusura affidata alla storica “Night killer” (originariamente nota come “Killer della notte”) ed alla commozione dei convenuti di fronte ad una prova così genuina. L’unico rimpianto rimane vedere certi classici nella loro veste anglofona, piuttosto che in quella nostrana, peccato veniale comunque.

(Mirco “AbysS” Gnagnarelli)

Setlist:
1. Hot Zone
2. War Machine
3. Heroes Of The Grave
4. Hoka Hey
5. Riding Through The Dark
6. It’s Time
7. Victim Of The World
8. Mothers
9. Nightkiller

 

Per il pubblico italiano, Tommy Massara & co. non hanno certo bisogno di presentazioni. Più di 20 anni di dischi e concerti non sono pochi, e l’esperienza è tutta dalla loro, insieme alla fama di ottimo live act. Peccato, però, che questa volta il pubblico sia generalmente freddo e che i quattro proprio non riescano ad ignorare questa mancanza di entusiasmo, perdendosi più volte in frecciatine verso i presenti (cosa che, probabilmente, poteva essere evitata), andando ad affossare la riuscita della propria performance. La chiusura con “Ace of spades”, poi, è quanto di più populista ci possa essere e, se una trovata del genere può fare colpo sul metallaro in erba, desta negli altri profondo sconforto (un po’ come fece lo scorso anno la cover di “Raining blood” da parte dei Vader, detto onestamente).  I fan della band avranno apprezzato ugualmente , ma sicuramente non avranno conquistato chi già non era dalla loro.

(Mirco “AbysS” Gnagnarelli)

Setlist:
1. Join Hands   
2. Child O’Boogaow
3. Anymore
4. Selfishness
5. Generation
6. Money Talks
7. New World Disorder
8. Second Coming
9. From The 80’s
10. This Toy
11. Ace Of Spades
 

La delusione della giornata (dell’anno?). Chi sperava, dopo  la non eccelsa prova degli Extrema, di rifarsi le orecchie, e le ossa, con una bella dimostrazione di attitudine “ignorante e cafona” da parte degli statunitensi, è rimasto parzialmente con l’amaro in bocca. Ok, i suoni. Di certo i peggiori mai sentiti ad un Armageddon. Ma da gente esperta come Speckmann e soci ti aspetti che certe cose passino in secondo piano, che riescano a massacrarti nonostante le avversità, eppure ciò avviene solo a metà. E dire che l’entusiasmo, al solo sentire le note dell’eponima opener “Master”, era alle stelle. E dire che classici come “Submerged in sin” dovrebbero risvegliare i morti dal sonno eterno. Ma ciò accade solo in parte. I tre ci mettono del loro, eseguendo i brani col giusto piglio, ed affidandosi , per la riuscita estetica, al carisma di uno come Paul Speckmann (che, ad onor del vero, non sembra al pieno delle proprie possibilità). L’entusiasmo si risveglia a tratti, rimanere impassibili di fronte ad una “Funeral bitch” sarebbe quantomeno eretico, ma l’impressione di aver assistito alla classica “occasione mancata” è più forte che mai. Peccato davvero, perché poteva essere uno di quei momenti che davvero danno lustro ad un festival. Da loro è lecito aspettarsi di più.

(Mirco “AbysS” Gnagnarelli)

Setlist:
1. Master
2. Shoot to Kill
3. Slaves to Society
4. Judgement of Will
5. Submerged in Sin
6. Smile as you’re Told
7. Unknown Soldier
8. Funeral Bitch
9. Cut thru the filth
10. Pay to Die

 

Di ben altro tenore lo show degli storici thrashers inglesi. A dimostrazione che, per mostrare le palle, non c’è necessariamente bisogno di un suono fantasmagorico, gli Onslaught ci deliziano con più di un’ora di bordate thrash, com’è nel loro dna. Si parte alla grande con “Killing peace”, il classico live del nuovo millennio per la formazione albionica, grazie ad un ritornello irresistibile, seguita a ruota da “Born for war” dall’ultimo arrivato “Sounds of violence”. Ma il vero via al massacro arriva con la doppietta “Let there be death/Angels of death”, un’accoppiata capace di fare finalmente la gioia di tutti coloro che attendevano da ore una scusa per macellarsi sotto il palco. La band apprezza cotanta dimostrazione d’affetto, e non si risparmia minimamente. Sy Keeler si conferma un ottimo showman, e, nonostante la voce non si senta perfettamente, pare in gran spolvero. Idem dicasi per i suoi compagni, anche se la chitarra di Rosser-Davies sembri  soffrire degli stessi problemi  di sound avvertiti lungo tutta la giornata, ed il nuovo arrivato Mike Hourihan si dimostra all’altezza del ruolo di successore di Steve Grice dietro le pelli. La setlist prosegue con una buona dose di classici (inni come “Metal forces “ e “Fight with the beast”) e forse qualche brano di troppo tratto dall’ultimo, per me non eccelso, album. Bistrattato, come al solito, “In search of sanity”, dal quale viene pescata la sola “Shellshock”.  Lo show sembra chiudersi  con la discreta “Burn”, ma i fan di vecchio pelo sanno che manca almeno un nome all’appello, e che un secondo sia auspicabile. E gli Onslaught non ci deludono, regalandoci nel bis due versioni al fulmicotone di “Power from hell” e “Thermonuclear devastation”, a suggello di una prova di forza non indifferente. Il pubblico dimostra di nuovo di aver gradito, incitando i cinque a tornare sul palco, ma stavolta è davvero finita, la band ringrazia, saluta e se ne va, lasciandoci tutti con un gran sorriso sulle labbra.

(Mirco “AbysS” Gnagnarelli)

Setlist:
1. Killing Peace
2. Born For War
3. Let There Be Death
4. Angels Of Death
5. Destroyer Of Worlds
6. Rest In Pieces
7. Metal Forces
8. Plainting Seeds Of Hate
9. Fight With The Beast
10. Godhead
11. Shellshock
12. Demoniac
13. Burn
14. Power From Hell  
15. Thermonuclear Devastation Of The Planet Earth

In conclusione, pur con i gravosi, importanti e fondamentali appunti al comparto acustico, questa nona  edizione dell’Armageddon in the park è un’ennesima vittoria. La dimostrazione che, con impegno, sudore e buongusto, si possano fare tante cose. E che, doveroso affrontare anche questo aspetto, mettendo cibo e bevande a prezzi onesti, ci guadagnano tutti.
Ci si vede l’anno prossimo, “stessa spiaggia, stesso mare”, a festeggiare i dieci anni di un piccolo, grande, raduno di teste roteanti.
 

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Un salto nel backstage…

A Margine del festival, la crew di Truemetal ha avuto l’occasione di poter scambiare qualche breve battuta con i protagonisti, ottenendo in presa diretta (o meglio, date le temperature, “a caldo” ) un’opinione sull’evento da parte di ognuno.

(A cura di Vittorio Sabelli)

Sakahiter

Per quanto riguarda le impressioni, abbiamo avuto alcuni problemi sia legati alle tempistiche che alle condizioni sul palco. Non è stato per niente semplice , ma come dicevano purtroppo gli organizzatori, ci sono stati vari imprevisti burocratici e tecnici che hanno accorciato la durata dell’evento. Naturalmente essendo la prima band in programma ne abbiamo risentito particolarmente.
Ma pazienza, l’importante è suonare ed esprimere il proprio pensiero, conoscere musicisti e band valide, quindi alla fine bella serata.

(Amon)

Endovein

Grazie per i complimenti e per il supporto! Beh che dire, è stato un concerto molto molto ben riuscito, sia a livello di band, che di pubblico e soprattutto a livello personale con un backstage stratosferico! 🙂

(Paolo Cetani)

Antropofagus

Il fest è iniziato in ritardo. Premesso che il Soundcheck a noi non l’han fatto fare, abbiamo iniziato in ritardo con il problema assurdo che a noi non hanno concesso nemmeno il Linecheck “Essenziale per una buona uscita dei suoni sul pubblico, specialmente per un genere complicato da suonare come il nostro”. Quindi abbiamo iniziato così, con i fonici che si fumavano le sigarette invece che cercare di ascoltare tutto cio che non andava: ovvero volumi e suoni a caso! Io, Davide e Jacopo non ci sentivamo l’un l’altro e l’impressione era quella di aver suonato con i volumi dei Sabotage. A detta del pubblico non è stata purtroppo un impressione delle migliori: è come dare ai Suffocation i suoni degli Iron Maiden! Io avevo un suono orribile ed a ciò si è purtroppo aggiunto il taglio di metà scaletta per colpa dei ritardi. Abbiamo fatto il possibile ma è stato difficile per noi suonare: spero solo che si sia capito che non è stata colpa nostra la cattiva resa audio, giacché, a quanto riferito da alcuni dei presenti erano udibili solo  chitarra e Voce. Peccato: con una sezione ritmica cosi bella da sentire come la nostra, è stato veramente un peccato. Ad ogni modo pazienza, sono cose che accadono.

(Tya)

Sabotage

La manifestazione era ben organizzata e noi ci siamo divertiti!
La scena italiana, purtroppo, va avanti solo per passione!
A presto!
(Morby)


Master

Le cose sono diventate più difficili di un tempo, oggi, ma in qualche modo la scena continua e gli spettacoli pure. Sono davvero felice nel constatare quanto la gente in Italia abbia ancora voglia di supportare l’underground.

Speriamo davvero di tornarci presto!

(Paul Speckmann)

Onslaught

Grazie davvero ai fan italiani. Qui in Italia abbiamo trascorso dei momenti meravigliosi come al solito!

L’attuale scena Thrash/Death sta regalando cose egregie anche oggi, mi pare di vedere! In effetti, molte band della vecchia scuola sono tornate in circolazione nell’arco di pochi anni con ottimi album. E le nuove generazioni di fan, grazie a loro, stanno cercando di andare un po’ a ritroso nel tempo per riscoprire le origini…
Un tour, ad esempio, come quello dei Big 4, ha alimentato l’interesse per la scena, contribuendo alla popolarità dei gruppi meno noti e conosciuti.
Questo festival ne è stato la dimostrazione: il futuro prossimo sembra essere piuttosto roseo per il Thrash Metal!

(Nige Rockett)

Non poteva infine mancare la voce degli organizzatori.
Dopo l’estesa intervista pre festival con il direttore artistico Michele Di Cecco, il riassunto definitivo dell’edizione 2012 è stato a carico di Marco La Fratta, responsabile del progetto Armageddon in The Park.

Tempo di consuntivi. Partiamo direttamente dalle band in cartellone: hanno rispettato le vostre attese? C’è stata qualche sorpresa tra le band stesse o qualche ‘contrattempo’?

Le band hanno rispettato alla perfezione le nostre attese, per un piccolo intoppo dovuto all’allestimento del palco siamo partiti con un po’ di ritardo perciò abbiamo dovuto togliere 5 minuti (e non metà show!) a tutti, in maniera ultra democratica.
Ma a livello di show nessuno ha demeritato, ovviamente con le dovute differenze di esperienza e di fama!

Rispetto gli anni precedenti l’afflusso di gente è stato quello atteso?

Grossomodo ci sono state le stesse presenze rispetto agli anni scorsi. Siamo fieri di questo risultato in un periodo in cui la crisi si fa sentire ed è proprio nel campo della cultura e dello spettacolo che sia la gente che le istituzioni fanno delle “rinunce”. Di questi tempi bisogna solo tenere duro, stringere la cinghia e sperare in momenti migliori: nessuno di noi auspicava un risultato maggiore degli altri anni anche se il bill era nel complesso nettamente superiore alle passate edizioni!

Quali sono a tuo parere, le regioni da cui proviene il maggior affluso di deathsters ed appassionati per l’AITP?

Non so dirtelo perchè il pubblico è molto vario e proviene da diverse aree. Posso dirti che oltre ovviamente la nostra provincia, tanta gente viene dalla provincia di Foggia da sempre, aggiungerei poi Benevento-Avellino, Bari-BAT, Chieti-Pescara-Teramo e Ascoli Piceno. Il resto del pubblico credo siano rappresentanze di zone anche molto lontane, soprattutto del centro Italia…

Alla luce dei nomi di spessore sempre più evidente presenti in cartellone, possiamo dire che AITP è il Festival numero uno del centro Italia?

No no, non ci sentiamo affatto i numeri uno, ci sentiamo tra i migliori festival del centro-sud Italia, questo si. E ce lo teniamo stretto poichè non siamo noi a dirlo ma il pubblico e tutte le band che hanno partecipato negli anni. Non mi stancherò mai di ripetere che noi lo facciamo solo per passione, lavoriamo personalmente sotto al sole e qualsiasi condizione meteorologica, ci facciamo un mazzo così, ancora adesso stiamo continuando a lavorare per risistemare tutto quello che è stato allestito. E le band che sono venute hanno visto con i loro occhi quello che facciamo e ci riempiono sempre di complimenti e ringraziamenti, così come il pubblico e quelle persone che da anni ci supportano. C’è gente che a fine concerto mi ha abbracciato e baciato (strane effusioni omosessuali dovute alla birra sicuramente!), chi mi manda sms per dirmi/ci grazie, chi mi/ci invita a cena.

Quello che è stato fatto in 9 anni non è semplicemente uno dei migliori festival del centro sud-italia, ma molto di più, è la presa di coscienza per tanta gente che con la forza di volontà e il coraggio si può creare qualsiasi cosa anche in zone “dimenticate” come le nostre! E soprattutto che andare ad un concerto non significa farsi trattare come bestie e farsi “inculare” solo soldi, ma significa stare in mezzo ad amici, conoscere gente, godere della musica, scoprire band nuove. Insomma stare bene!