Kaledon: studio report ‘Altor: the King’s blacksmith’

Di Damiano Fiamin - 18 Febbraio 2013 - 0:10
Kaledon: studio report  ‘Altor: the King’s blacksmith’

Kaledon “Altor: the King’s blacksmith” Studio report
09/02/13 – Outer Sound Studios, Roma

– report a cura di Damiano Fiamin

È passato poco più di un anno da quando Kaledon ci avevano accolto negli Outer Sound Studios di Roma per dare un’occhiata al loro best of, quel “Mightiest Hits” che sarebbe stato pubblicato poco tempo dopo da Scarlet Records.
Questa volta, il piatto è ben più ricco: dopo un lungo e travagliato periodo di gestazione, infatti, il gruppo è pronto per dare alle stampe “Altor: the King’s blacksmith”. Il CD dovrebbe essere, secondo i piani della band, il primo di una serie di narrazioni parallele alla saga narrata nei primi dischi; quest’ultima verrà arricchita approfondendo, di volta in volta, uno dei personaggi che l’hanno composta. Questo enorme sforzo compositivo punta a creare una tutta una nuova sequela di cronache correlate e intrecciate tra di loro. Un’idea sicuramente ambiziosa che, se sfruttata adeguatamente, potrebbe regalare ai fan una vera e propria saga parallela, una matrioska di opere in grado di accompagnarli per generazioni e generazioni. Prima di lasciarci rapire da eccessivi voli pindarici, però, vediamo un po’ di capire se varrà la pena attendere così tanto: entriamo in studio e facciamo il punto della situazione, in modo da sapere cosa aspettarci da questo primo capitolo. Ovviamente, non abbiamo potuto fare a meno di fare anche qualche domanda alla band. Potete leggerle nell’intervista.

I Kaledon sono degli ottimi ospiti: prima di procedere all’ascolto, lasciano che i convenuti si mettano a proprio agio e che l’atmosfera si rilassi, sfruttando sapientemente una mistura di chiacchiere, aneddoti e pizzette. Mentre si aspetta che arrivino tutti, comincia a serpeggiare un interrogativo…ma non erano sei? Dov’è il batterista? Ebbene, pare che la band non sia fortunata con chi siede dietro le pelli: dopo lo storico David Folchitto, la biografia del gruppo deve annoverare anche la defezione di Luca Marini che, prima di lasciare, ha comunque registrato le parti di batteria del nuovo album.
Come già accennavo in apertura, la creazione del disco è stata molto sofferta: i componenti della band hanno lavorato, per vari motivi, separati l’uno dall’altro e sono stati costretti a ricucire le varie parti in studio. Un lavoro lungo e complesso, aggravato anche dalla mancanza di dialogo, che ha portato a una dilatazione dei tempi notevole; per darmi un’idea, il prodotto finito è stato realizzato solo la notte prima dell’incontro con la stampa! Inutile aggiungere che tale modus operandi difficilmente sarà ripetuto.

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Una volta assolti i preliminari, tutti gli invitati prendono posto e sono pronti per ascoltare l’ultimo nato in casa Kaledon: “Altor: the King’s blacksmith”.

L’album si apre con una breve introduzione sinfonica, Innocence, la quale lascia subito spazio a Childhood, un brano martellante e incalzante, caratterizzato da una gran velocità e pulizia nell’esecuzione. Di certo, un’apertura piuttosto classica, un power metal ben eseguito ma che non può certo impressionare per la sua originalità.
La terza traccia del CD continua sulla strada aperta dai suoi due predecessori; sebbene veda un radicale rallentamento della velocità del metronomo, non perde la sua incisività. La struttura generale della canzone segue un’alternanza tra fraseggi più melodici e altri più aggressivi, in un’interessante dicotomia che, sicuramente, riesce a caratterizzarla in maniera più sostanziale rispetto a quanto sentito fino a questo momento.
My personal hero apre con un giro armonico che mi ha ineluttabilmente portato alla mente i faroesi Týr. Il crescendo iniziale trova un maestoso sfogo nella parte mediana, in un continuo sincopato, piuttosto epico in verità, che erutta rapidamente in un botta e risposta tra la chitarra e gli altri strumenti che, di certo, non mancherà di galvanizzare gli ascoltatori in sede live.

I fan di vecchia data non si stupiranno scoprendo che Lilibeth apre un trittico di pezzi piuttosto peculiari nella struttura generale del CD. La quinta traccia, infatti, è una ballata che si allontana completamente dal power metal di qualunque stampo e si colloca, piuttosto, in mezzo ai brani hair metal che sono stati la spina dorsale della colonna sonora agli anni ’80. Un nome su tutti riuscirà a schiarire eventuali menti ottenebrate dal dubbio: Jon Bon Jovi; il piacere che trarrete ascoltando questo pezzo è sicuramente soggettivo ma, almeno per quanto riguarda l’esecuzione, non c’è nulla da eccepire, a parte un lieve stiracchiamento nella sezione terminale, che tende a ripetersi un po’ troppo.
Dopo questo tuffo nel passato, l’ascolto in sala prosegue con quella che, probabilmente, è la canzone più peculiare dell’intera produzione: A new beginning. Il brano, incredibilmente sinfonico, si apre con una bella introduzione di chitarra e si sviluppa inanellando fraseggi pompanti e frequenti cambi di ritmo. Alcune delle armonie suonano un po’ strane, soprattutto se accostate alle altre udite fino a questo momento. I sei erano forse impazziti durante la registrazione o si sono messi in testa di sperimentare nuove sonorità? A tutto c’è una spiegazione: il pezzo era stato scritto per essere parte di una collaborazione di peso, quella con il chitarrista dei Queen, Brian May. Purtroppo, il contributo dell’artista è saltato e ci rimane solo la curiosità di sapere come sarebbe stato questo strano incontro musicale. Sebbene porti dentro di sé le tracce di quello che sarebbe dovuto essere, il pezzo, resta gradevole anche nel suo nuovo arrangiamento.

Ci avviamo verso il termine del disco quando irrompe la massiccia Kephren, sicuramente la canzone più arrabbiata dell’intero CD. La sezione ritmica picchia pesante per buona parte della sua durata, mentre le chitarre si profondono in arpeggi ammalianti. Un bello stacco da quanto sentito fino a questo momento, un altro modo per spezzare il ritmo ed evitare che i pezzi si ammucchino uno dopo l’altro senza costrutto. Evidentemente, i Kaledon hanno deciso che il disco si debba chiudere in crescendo, e decidono di affiancare al precedente un altro brano piuttosto ispirato: Screams in the wind; l’aria cambia, le atmosfere si fanno più cupe e malevole, le note si rarefanno nella parte iniziale, lasciandoci quasi disorientati dalla brusca decelerazione. A mano a mano, il ritmo cresce nuovamente, ma senza esagerare, sviluppando uno dei brani più sentiti a livello emotivo dell’intero pacchetto.
Fuochi d’artificio finali con A dark prison, la traccia in cui Palazzi si è fatto da parte e ha lasciato il microfono a uno dei nomi più importanti del panorama metal italiano: Fabio Lione. Probabilmente per valorizzare l’ospite, la band romana crea una canzone che ricorda fin troppo lo stile dei Rhapsody: mentre i minuti scorrono, si va creando una canzone ad alta gradazione sinfonica, con molte melodie e frequenti cambi di registro. Un esperimento piacevolissimo che però, almeno a parere di chi scrive, risulta un po’ decontestualizzato. I fan di Palazzi non disperino! Il cantante, infatti, ha registrato anche versione del brano con le sue linee vocali che, probabilmente, sarà inclusa nell’edizione giapponese del disco. Inoltre, l’imminente video della traccia vedrà una commistione delle due ugole, un vero e proprio duetto che, di certo, sarà interessante da ascoltare.

 

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Come sempre, un solo ascolto non può essere sufficiente per giudicare il valore di un album. La prima impressione che ha fatto questo “Altor: the King’s blacksmith”, però, è sicuramente positiva. Ci sono alcuni tratti che non mi hanno convinto, come l’eccessivo sbilanciamento dell’audio verso le tonalità più alte, ma il quadro complessivo è più che soddisfacente. Gli appassionati possono evidenziare sul calendario il 23 aprile, data in cui dovrebbero poter avere tra le mani l’edizione fisica del disco. Nel frattempo, sappiate che ci sono ben due video in cantiere: oltre a quello già citato con Lione, la band sta preparando anche una ripresa in studio di Childhood. E non finisce qui! Come ciliegina sulla torta, segnaliamo anche l’imminente arrivo di un documentario; gli amanti dei Kaledon e del power metal, insomma, possono aspettarsi grandi cose da questo 2013.

Tracce:
01.    Innocence
02.    Childhood
03.    Between the hammer and the anvil
04.    My personal hero
05.    Lilibeth
06.    A new beginning
07.    Kephren
08.    Screams in the wind
09.    A dark prison

Formazione:
Alex Mele: Chitarra
Marco Palazzi: Voce
Tommy Nemesio. Chitarra
Daniele Fuligni: Tastiere
Paolo Lezziroli: Basso
Luca Marini: Batteria (solo su disco)
Massimiliano Sartori: Batteria