Black

Blaze of Sorrow (Peter e N.)

Di Francesco Gabaglio - 19 Ottobre 2015 - 1:00
Blaze of Sorrow (Peter e N.)

I mantovani Blaze Of Sorrow si stanno affermando, in questi anni, come una delle realtà più interessanti del black metal atmosferico italiano. Un sound malinconico e liriche profonde in italiano sono gli ingredienti fondanti della loro proposta. In occasione del loro concerto a Zurigo il 26 settembre scorso abbiamo avuto l’occasione di intervistare Peter e N., i due membri della band. Ci hanno parlato del loro prossimo album, delle figure che lo abitano e dell’importanza della natura per lo spirito umano. Buona lettura!

 

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Benvenuti su TrueMetal e grazie per la vostra disponibilità! innanzitutto vi chiederei di presentarvi: chi siete, qual è la vostra storia e che tipo di musica proponete?

N: Per quanto riguarda la nostra storia, c’è da dire che siamo diventati un gruppo vero e proprio solo qualche anno fa, dato che inizialmente i Blaze Of Sorrow erano un progetto solista di Peter. Il nostro terzo disco, Echi, è uscito nel 2012 per la Sun And Moon Records; prossimamente uscirà invece, ancora per la Sun And Moon, il nostro quarto album, intitolato Eremita Del Fuoco.
La musica che proponiamo e abbiamo proposto fino ad ora segue più o meno una stessa linea di base, evolvendosi però di disco in disco. Quando ci mettiamo a comporre non sappiamo come sarà l’album successivo: non sappiamo se seguirà quello precedente o se sarà completamente diverso. Per ora più o meno abbiamo seguito un filo conduttore; poi si vedrà. L’idea è sempre quella di vedere cosa ci viene in mente sul momento e proporlo, che sia in linea con tutto il resto o che non lo sia. Non facciamo troppi programmi prima di comporre, l’importante è che quello che facciamo sia farina del nostro sacco sul momento.

 

Avete accennato al fatto che i Blaze of Sorrow sono nati come one-man band. Peter, che cosa ti ha spinto a rendere il tuo progetto una band vera e propria?

Peter: Principalmente il fatto che la batteria non è mai stato uno strumento che mi si addiceva più di tanto. Ad un certo punto ho realizzato che, se volevo ottenere un certo cambiamento per quanto riguardava le ritmiche e la qualità stessa della musica, avevo bisogno di un vero batterista e non di uno improvvisato.

 

Avete delle band di riferimento, alle quali vi ispirate, o che in qualche modo influiscono sulla vostra proposta?

P: Personalmente, per quanto riguarda il black metal, ho sempre ascoltato quello della prima scena norvegese; poi tutt’altri generi musicali, che vanno dalla musica classica alla musica folk passando per altri generi. Quando compongo non mi ispiro a nessuno, faccio quello che mi viene naturale e se poi assomiglia a qualcun altro… così è.

 

Il vostro genere potrebbe essere definito black metal atmosferico. Nella vostra musica c’è quindi una componente più dolce, che è quella relativa alle chitarre acustiche e all’atmosfera, e un’altra invece più dura, che è naturalmente quella black. Come convivono questi due aspetti? Sono due sensazioni che voi mirate a trasmettere come in conflitto o come convergenti nella stessa direzione?

P: Secondo me è tutto legato. È un’evoluzione stessa che c’è nella canzone e nei vari pezzi. Non è niente di opposto o forzoso; semplicemente, dato che la nostra è musica abbastanza malinconica, il fatto di poter cambiare da una parte pulita ad una parte distorta e aggiungerci qualche strumento che vada al di fuori dei soliti canoni rende molto drammatico il discorso.

 

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Un’altra delle vostre particolarità è il fatto che cantate in italiano. Perché questa scelta? E come la vivete rispetto al contatto con la gente? Da un lato l’italiano può essere un vantaggio per farsi conoscere in Italia, ma può essere uno svantaggio per quanto riguarda l’estero.

P: L’italiano è stato scelto perché è la mia lingua madre, e di conseguenza è il miglior mezzo per potermi esprimere senza dover filtrare quello che ho in testa attraverso una lingua non mia. La ritengo una lingua molto articolata che si presta bene al cantato in scream o comunque ad un cantato distorto. Per quanto riguarda il rapporto che possiamo avere col pubblico, in Italia la cosa è ovviamente molto più semplice. Ma anche per l’estero non vedo grosse difficoltà, anche perché ho notato che abbiamo un buon seguito anche in altre nazioni. Va anche detto che ci sono parecchi altri gruppi che cantano ad esempio in francese, in tedesco, in norvegese, eccetera: il risultato è una cosa molto più personale.

 

Avviciniamoci ai vostri testi: nei vostri album emerge in modo abbastanza evidente la presenza costante della natura. In particolare, mi è sembrato di vederci sia una volontà di perdersi nella natura, sia la volontà di superare sé stessi attraverso di essa. In generale, che ruolo ha la natura nei vostri testi?

P: Per quanto mi riguarda è sempre stata la cosa fondamentale della vita stessa, nel senso che l’unico modo che ho (o che secondo me si ha) per ritrovare sé stessi è quello di frequentare luoghi desolati e circondarsi della natura, lasciandosi trasportare da quello che ti circonda, che può essere la montagna, la foresta eccetera: è una cosa molto varia, come la natura stessa di per sé. Quindi questo fondersi con la natura è, secondo me, parte integrante della pace interiore che uno può andare a cercare qui e là, e anche del ritrovare i propri limiti e conoscerli per poterli successivamente anche superare.

 

Passiamo ora al nuovo album, Eremita Del Fuoco: avete già una data di pubblicazione?

P: No [ride]. Dovrebbe uscire a breve; dipende tutto dalla casa discografica, dai tempi di stampa e da altri fattori. Non abbiamo ancora una data precisa, ma dovrebbe uscire a fine ottobre.

 

L’album Eremita Del Fuoco (clicca per ascoltare)

 

Vi chiederei ora di fare un prospetto generale del nuovo album. Cosa ci possiamo aspettare? Cosa ci sarà di diverso o di nuovo rispetto ai precedenti, e che cosa invece ritroveremo?

N: Direi che il nuovo disco è molto diverso dal precedente. La prima cosa ad essere cambiata sono i suoni, perché li abbiamo maneggiati diversamente: c’è dietro un’idea diversa, sono registrati meglio, con più tempo e con più calma e quindi è anche più curato l’ambito estetico del suono del disco. Per quanto riguarda invece il lato tecnico dei singoli pezzi credo che l’album sia molto diverso per il modo in cui è stato concepito e per l’andamento del disco stesso dalla prima all’ultima traccia. Echi era molto diretto ma allo stesso tempo anche un po’ più lungo e quindi anche più introspettivo, da un certo punto di vista. Questo album invece mi sembra (per lo meno dal punto di vista di un musicista, cioè di chi lo ha suonato e registrato), più diretto. Poi ovviamente sono pezzi completamente diversi, registrati diversamente, con arrangiamenti di tutt’altra natura, e anche strumenti diversi: lo sentirete. Sono quindi due dischi molto diversi, ma secondo me anche complementari.

 

Parlavate dei suoni: come già con Echi, anche questa volta per il missaggio vi siete rivolti ad un nome importante della scena italiana, che tra gli altri ha lavorato con Forgotten Tomb, Janvs e Adramelch: Daniele Mandelli. Come si è svolta la vostra collaborazione e quanto ha influito Daniele Mandelli nel processo di creazione dell’album? Quanto potere decisionale ha avuto, anche rispetto ad Echi?

P: Da un punto di vista di suoni è cambiato il modo di registrare e anche la strumentazione utilizzata in studio per fare mix e mastering. Invece per quanto riguarda l’influenza che ha Daniele Mandelli ovviamente ci appoggiamo alla sua esperienza, dato che comunque sono molti anni che collabora con noi. Noi lo indirizziamo, poi lui ci aiuta anche in base alla propria esperienza.

N: Con questo disco Daniele ha avuto un po’ meno influenza rispetto al precedente. Stavolta avevamo già idee inerenti ad un certo tipo di sonorità, e quindi siamo entrati in studio con un’idea abbastanza chiara di quello che doveva uscire, dicendogli «Deve suonare così». Non quindi proponendogli un’idea e poi lavorandoci insieme, come invece abbiamo fatto precedentemente. Questa volta siamo andati più direttamente al sodo. Anche perché, come per Echi, abbiamo curato noi le registrazioni, quindi abbiamo avuto il tempo per gestircela in maniera più libera possibile, e siamo andati in studio solo a rendere definitivo il suono complessivo del disco. Ci siamo affidati come sempre alla sua esperienza ma stavolta, prima ancora, ci siamo affidati alle nostre idee: volevamo che fosse così, e lui è stato il tramite che l’ha fatto suonare in un certo modo.

 

Come si svolge solitamente il vostro processo di composizione dei pezzi? Come è stato per Eremita Del Fuoco?

P: Spesso e volentieri scrivo io qualche riff, qualche bozza, e poi insieme decidiamo ritmiche, tempi eccetera. Diciamo che in generale creo vari tasselli singolarmente che poi assembliamo insieme. È un processo che abbiamo ormai da più di tre anni.

 

La copertina del nuovo album ha uno stile simile a quello della versione vinile di Echi e a quella dell’EP Fulgida Reminiscenza. Personalmente mi piacciono molto e credo che rispecchino bene la vostra musica. Chi è l’artista? Come è nata la vostra collaborazione?

P: L’artista è Victor, cantante dei Vowels, gruppo italiano di Vicenza come noi sotto Sun And Moon. Lo conosco da anni. Il suo stile effettivamente rispecchia l’idea che avevamo riguardo all’artwork, e credo che abbia fatto un ottimo lavoro per tutte e tre le uscite: è per questo che abbiamo deciso anche questa volta di affidare il lavoro a lui.

 

 

L’album Echi (clicca per ascoltare)

 

 

Avviciniamoci maggiormente ai contenuti lirici dell’album. Partiamo dal titolo: chi è l’eremita del fuoco?

P: Diciamo che, per quanto riguarda il 99% dei testi che scrivo, uso molte metafore e rimango sempre molto vago perché mi piace che il tutto possa avere una libera interpretazione, un’interpretazione personale. Motivo per cui una risposta a questa domanda non c’è. Il concetto dell’album, che può collegare un po’ tutte le canzoni, è quello dell’abbandonare il tutto per concentrarsi su ciò che è realmente essenziale. Di qui la figura dell’eremita, che non ha nulla per sé e vive di sé.

 

Ascoltando il promo che mi avete inviato e leggendo i testi del nuovo album ho notato che vi compaiono varie figure: oltre all’eremita del fuoco incontriamo la madre nella canzone omonima, il titano in Il passo del titano e il gheppio in L’ascesa. Ho notato che derivano tutte dalla natura o in qualche modo ne incarnano vari aspetti. Queste figure fanno in qualche modo sistema tra loro? Hanno un significato o una funzione simile?

P: Diciamo che, da un punto di vista di entità, le figure citate nel disco hanno la funzione del trasporto: sono cioè figure che fungono da mediatori. Sono rappresentazioni della natura, prese ognuna in un modo diverso. Fanno parte di ambienti differenti e possono rappresentare determinate simbologie, che sono differenti tra di loro ma che hanno in comune il fatto che fungono da mediatori tra l’essere umano e ciò che umano non è.

 

Torniamo a questioni un po’ più leggere: parliamo dei vostri piani dopo la pubblicazione dell’album. Avete in programma un tour promozionale? Avete delle tracce rimaste nel cassetto vi piacerebbe pubblicare in futuro?

P: Di tracce inedite non ce ne sono; per quanto riguarda invece il tour, l’obiettivo è quello di suonare il più possibile. Suoneremo ad un festival in Bulgaria ad ottobre, e in Austria a gennaio. Troveremo sicuramente qualche data anche in Italia; poi l’obiettivo è quello di pianificare, magari per la seconda metà del 2016, altri concerti in Italia e all’estero.

 

Ottimo! Questa era la mia ultima domanda, vi ringrazio per la vostra disponibilità! Come da tradizione, per concludere avete uno spazio libero per dire quello che volete ai lettori, fare osservazioni, lanciare un proclama o mandare i saluti a casa.

N: Le osservazioni migliori sono le cose che dice Alberto [chitarrista live, n.d.r.] ai nostri concerti, non c’è altro! [ride]

P: Grazie a TM per l’intervista e grazie ai lettori per il tempo concessoci!

 

Francesco “Gabba” Gabaglio

 

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