Metalcore

Intervista Destrage (Ralph Salati)

Di Davide Sciaky - 24 Maggio 2019 - 10:26
Intervista Destrage (Ralph Salati)

Una delle band più folli ed interessanti uscita dagli ultimi anni dall’Italia, i Destrage pubblicano oggi il loro quinto album, “The Chosen One“.
Ne abbiamo parlato con Ralph Salati, uno dei due chitarristi della band.

Intervista a cura di Davide Sciaky

Ciao Ralph, come va?

Tutto bene, te?

 

Bene, grazie. Cominciamo subito parlando del vostro nuovo album, “The Chosen One”. Il disco esce fra tre giorni e stanno cominciando già ad uscire le prime recensioni che si aggiungono alle opinioni raccolte con il primo singolo. Non so se stai già seguendo la cosa ma siete soddisfatti da questi primi feedback che state ricevendo?

Molto!
Le recensioni ce le condividiamo tra di noi sul nostro gruppo, come tutti abbiamo un nostro gruppo Whatsapp che viene utilizzato per qualunque tipo di comunicazione, quindi ci passiamo quello che troviamo, ed effettivamente siamo molto sorpresi dalle recensioni.
Abbiamo creduto molto nel disco, quindi è bello essere sorpresi perché ci abbiamo investito molto, è una cosa che sicuramente appaga; poi bisognerà vedere il responso del pubblico.

 

Quando avete cominciato a lavorare a questo nuovo album e quanto ci avete messo per completarlo?

Le primissime idee hanno iniziato a venir fuori intorno al ritorno dal tour con i Periphery in Europa, quindi parlo dell’estate del 2017.
In effetti poi il lavoro concreto è stato fatto, siamo partiti in modo ufficiale nel settembre del 2017: io ho preso uno studietto, qui a Milano, ed è stato utile perché è stato poi il punto d’incontro tra noi tutti e da quel momento abbiamo fatto una schedule degli incontri, ci siamo visti intorno alle 3, 4, 5 volte a settimana, quindi in modo piuttosto ferrato, ed è stata la prima volta che abbiamo lavorato così.
Ci siamo proprio dedicati ed immersi nel disco, è stata la prima volta che abbiamo lavorato in modo così dettagliato e schedulato perché di solito comunque era un po’ più, “Ok, quando puoi, ci vediamo lì, ci vediamo da quell’altra parte”, invece stavolta avevamo un posto preciso e delle date precise in cui vederci, è stato un po’ come un lavoro da band avviata.

 

Quanto ci è voluto per tutto il lavoro?

Allora, circa…9 mesi? Più o meno un parto, 9-10 mesi, circa la gestazione di un umano.
Effettivamente nel settembre successivo eravamo in studio a registrare, a fine agosto o inizio settembre siamo partiti con le batterie in studio, e anche la registrazione è stata molto compatta: nel giro di un mese abbiamo fatto il tracking ed il mix, le parti elettroniche le abbiamo completate in un momento secondario, per cui in un mese abbiamo fatto quello…10-11 mesi tutto il lavoro, quindi.

 

Con sole 8 canzoni e 37 minuti di musica questo è il vostro disco più breve. Come mai questa scelta?

Per diversi motivi: chiaramente quando abbiamo iniziato non pensavamo al numero di canzoni da proporre, MA avevamo un po’ l’idea di avere un disco molto, molto compatto, diretto e di scegliere solo quello che ci convinceva realmente.
Senza fronzoli e di andare ad auto-limare le nostre proposte, a dire “Ok, questa cosa è DAVVERO necessaria in questo brano?”, “Questo brano è davvero figo da finire nel disco?”.
Siamo stati molto i censori di noi stessi ed è stato un bel succo concentrato delle nostre idee.
Io credo che fosse la direzione giusta, fare pochi brani e dare tutto il possibile su quei pezzi.
Spero che paghi e, sai cosa anche, ti posso dire che noi siamo stati sempre sui 10 brani, a parte “A Means to No End” che ne aveva 13 ed è stato un disco un po’ particolare in cui ci siamo lasciati portare un po’ dall’onda della scrittura, un disco tra l’altro che a me piace molto, c’è tanto anche delle mie idee, però sento sempre un certo caos nel gestire una mole di lavoro così importante in poco tempo, facendo altri lavori, perché bisogna dire che purtroppo noi non viviamo di Destrage, quindi questo è un onero in più, gestire una mole di lavoro così importante non è facile.
Invece, potersi concentrare su meno materiale e farlo al 100% è una cosa che mi ha dato anche una certa serenità a lavorare al disco e più focus su quello che stai facendo.
Questo lo trovo una cosa nuova e positiva nella nostra musica e, ti ripeto, spero il risultato sia altrettanto buono.

 

Dall’etichetta non avete ricevuto nessuna pressione per avere più musica?

No, no.
Non so se hai notato ma si sta andando molto nella direzione quasi EP.
Se ricordi i Protest the Hero se ne sono usciti con l’ultimo disco di 6 brani che è praticamente un EP. e con l’avvento di Spotify, col fatto di comprare le singole canzoni od il digitale si è un po’ scorporato il concetto di disco.
Fare un disco lungo che poi viene apprezzato solo per i singoli, o a cui comunque non viene dato il giusto spazio, alla fine tutto sommato è meglio condensarlo nel più breve numero di tracce e minuti possibili.
Poi chiaramente sta sempre al tipo di lavoro che stai facendo, non è esattamente un concept da 20 brani alla Dream Theater quindi può aver senso affrontarlo in modo diverso.
Però, guarda, a me vengono in mente i concept degli anni ’70 come “Animals” piuttosto che “Wish You Were Here” dei Pink Floyd che alla fine erano dischi lunghi perché i brani erano lunghi, ma alla fine erano cinque brani, quindi non è neanche una cosa così nuova.

 

Sì, effettivamente ne parlavo proprio recentemente con Plini che mi diceva che a lui non interessa fare album, quando ha delle canzoni nuove lui le registra e le butta su Bandcamp ed è contento così.

Sono d’accordissimo, tra l’altro Plini a me piace tantissimo e sto lavorando anch’io ad un disco solista da circa due anni, due anni e mezzo, finalmente sto iniziando a chiuderlo e a breve spero di registrarlo, e come direzione mi sto muovendo molto sull’onda di Plini, a me piace molto come si sta muovendo.
Io ascolto un disco strumentale di quattro pezzi e sono contento, se devo ascoltare un disco di Steve Vai di 12, 13, 15 brani non arrivo a metà, quindi tutto sommato la trovo anche una scelta azzeccata.

 

Ogni vostro nuovo album vede una certa evoluzione, anche se ormai il sound Destrage, per così dire, è piuttosto definito e si capisce subito ascoltando una vostra canzone che si tratta di voi. Si può dire che avete trovato la vostra dimensione ed il vostro marchio distintivo definitivo, o c’è ancora spazio per un lato dei Destrage che non conosciamo?

E’ difficile da dirlo senza vedere del materiale concreto.
Io credo che il sound dei Destrage negli ultimi tre dischi, ma anche negli ultimi quattro dischi, dal secondo in poi, credo si sia andato a delineare.
Inoltre quest’ultimo disco secondo me torna un po’ alle origini, torna nella direzione accennata in King, e poi continuata nell’evoluzione che ha avuto in Kidding, per cui penso che questo sia un disco molto Destrage, non so se potevamo dare di più o fare dell’altro.
Certo, si può sempre dare una sfaccettatura diversa nella musica che vai a scrivere nell’arrangiamento, in alcuni dettagli, però posso dirti che è il disco con il sound migliore in assoluto, infatti abbiamo lavorato con Josh Wilbur che era un sogno per noi, per cui il sound è fighissimo.
Le idee sono quelle che hai in quel momento, il disco è una fotografia di quel momento, quindi uno può anche pensare che sarebbe stato bello avere la produzione di Josh Wilbur su Kidding, però Kidding è la fotografia di quello specifico momento che stavamo vivendo.
Credo che la combinazione di sound, idee, arrangiamenti e produzione sia abbastanza definibile come Destrage, nel complesso questo potrebbe essere il disco “più Destrage”.
Avevamo valutato anche di darci un self-titled con questo disco, poi abbiamo optato per altro però.
Credo che questo sia il sound più nostro che abbiamo mai avuto, effettivamente, però non te lo posso dire con estrema certezza.

 

Un paio di mesi fa ve ne siete usciti con la folle idea di lasciare al pubblico la scelta del titolo dell’album: tre titoli, addirittura tre trailer e una votazione.
Il tutto s’è rivelato poi uno scherzo e avete scelto voi un quarto titolo per conto vostro…come vi è venuta questa idea?

L’idea l’ha avuta Paolo, eravamo in tour in America con i Protest.
Ne abbiamo parlato con l’etichetta e all’inizio dicevano, “Sì dai, non c’è male”, ma non hanno dato molta importanza a questa proposta.
Poi ha preso piede e Matteo ha messo a disposizione tutti i suoi strumenti per la produzione video, e secondo me ha fatto un lavoro meraviglioso per quanto riguarda i trailer.
Ci è sembrato divertente sfruttare il titolo del disco per promuoverlo in questo modo.
E’ una cosa che secondo me, per quello che siamo come band, è stato più un omaggio ai fan, a chi già ci seguiva; non credo che abbia aperto porte nuove, però ci tenevamo a farlo, è una cosa nel nostro stile come avevamo fatto con Kidding, l’annuncio con una serie di fotografie in cui rappresentavamo degli atleti.
E’ una cosa molto Destrage in modo molto cinematografico perché Matteo comunque c’ha messo un certo impegno nella realizzazione dei contenuti video.
Spero sia stata apprezzata, qualcuno magari l’ha trovata anche irriverente e fastidiosa, spero però che si sia capita l’intenzione goliardica.

 

Beh, generalmente mi sembra sia stata apprezzata, mi pare che tutti si siano fatti una risata.

Bene, meglio così [ride].

 

Come hai detto i trailer sono di qualità piuttosto alta, si vede che non è un lavoro improvvisato in poco tempo. Quanto ci avete messo a realizzare il tutto?

Non moltissimo in realtà, ci siamo un po’ divisi i compiti per trovare le location, gli attori, le comparse.
Io credo che il tutto sia stato realizzato nell’arco di un mese, cinque settimane forse, anche perché siamo arrivati un po’ agli sgoccioli per prepararli e abbiamo dovuto un po’ correre, però neanche moltissimo con la professionalità di Matteo come videomaker.
Ci fidavamo ciecamente, ci siamo aiutati a vicenda…effettivamente in questi casi ci trasformiamo in una piccola casa di produzione a tutti gli effetti.
Quindi, sì, nell’arco di cinque settimane abbiamo montato i video; l’idea era di molti mesi prima, però poi l’abbiamo realizzata in poco tempo.

Piccola curiosità: nel trailer di “2756143”…

Un numero immemorizzabile [ride].

Infatti me lo sono scritto, se no chi se lo ricorda.

Immaginavo [ride].

… e nel trailer dite che questo è il numero di note sull’album: ora, io immagino che non le abbiate contate davvero…

No! [ride]

…c’è un altro significato dietro a questo numero?

No, è completamente a caso.
Abbiamo ipotizzato potesse essere quello il numero di note, poi se tu guardi il trailer vedi che ci sono già tra le considerazioni che gli attori fanno dicono, “Sì, ma come le conti? Quando ripeti una nota sola in una ritmica…”, tipo ‘Bleed’ dei Meshuggah, quello come lo conti, sono più note o una nota sola? O negli accordi, quando faccio un accordo vale tre note, vale quattro note o è una sola?
Quindi ci sono da fare varie considerazioni che, ovviamente, ti lasciano intuire che è un numero incalcolabile [ride].
Però è divertente come punto di vista, è stata un’idea di Matteo quella del conteggio delle note.
Parte un po’ dal discorso che chi fa musica un po’ più tecnica ha quell’idea che…”troppe note”, quell’idea un po’ Mozartiana di Amadeus delle “troppe note”, il fatto di averne tantissime, poi in realtà non credo siano quantificabili.

 

Sempre parlando di video, a marzo avete pubblicato quello della title-track. Innanzitutto, come avete fatto a convincere David Draiman dei Disturbed a partecipare?

[Ride] No dai, non è lui, dici che ci assomiglia così tanto?

Un po’ sì, dai.

Infatti ho visto i commenti, molti dicevano, “Ma come mai è dimagrito così tanto?”…sarebbe stato bellissimo avere lui veramente.
No, è un ragazzo di Milano che abbiamo conosciuto tramite un collaboratore di Matteo, un ragazzo che lavora con la sua casa di produzione, The Jack Stupid, e ci ha detto, “Io ho un amico che è perfetto per questo ruolo perché è rasato a pelle, un po’ cyberpunk, usa sempre lenti a contatto colorate, ha un cane”, che tra l’altro abbiamo utilizzato nelle riprese in studio, quindi ci sembrava perfetto per il personaggio.
Effettivamente ha una somiglianza con Draiman, però il fatto che fosse così alieno come look, come immagine, era perfetto in quell’ottica, poi c’è un po’ questo trait d’union dello straniero inteso come qualunque cosa sia sconosciuta a noi, quindi il fatto abbia sembianze aliene lo rendeva perfetto per il video ed il testo.

 

Avete in programma di pubblicare altri video?

Sì, uscirà…guarda, dovrebbe uscire insieme al disco.
Siamo un po’ alle strette perché è stato complicato chiudere, stanno facendo un lavoro di animazione, quindi speriamo esca insieme al disco.
Potrebbe avere un piccolo ritardo, di pochi giorni, però in teoria è programmata l’uscita di disco e videoclip nuovo di uno dei brani, ti posso dire anche qual è, è ‘Hey Stranger!”.

 

La copertina di “The Chosen One” ha uno stile nettamente diverso da quella degli album precedenti. Chi l’ha realizzata?

L’ha realizzata Tafuri, Marco Tafuri che è il nostro amico tatuatore che ha realizzato anche la copertina di Kidding.
Devo dire che nella scelta di colori si avvicina in quella direzione, diverso sicuramente è il resto.
E’ stata particolare la scelta della copertina, in realtà eravamo partiti da un’altra idea: era stata proposta, sì, non male, ma nella realizzazione era venuta un po’ tiepidina e ci sembrava qualcosa di un po’ trito e ritrito, c’erano elementi che avevamo già visto in tante altre pubblicazioni, non solo nel genere, allora all’improvviso lui ci propone una seconda opzione ed è stato un po’ un pugno nello stomaco.
All’inizio sembra un po’ strana, quasi un po’ bruttina, poi ci ha convinto sempre più, qualcuno era ancora contrario, ne abbiamo discusso a lungo, poi alla fine ci siamo detti che è perfetta.
Guardandola sul merch la trovo perfetta, è una sensazione di pancia difficile da definire.
Poi bello quell’urlo, lo vedo un po’ come un urlo disperato che può essere declinato in diverse situazione e diversi messaggi, poi non vuole dare nessun messaggio quella copertina, questo posso dirtelo [ride] però sembrava perfetta per la musica che conteneva.

 

Le nuove canzoni sono, come al solito, complicatissime, quanto è impegnativo portare in un contesto live? Avete già deciso quanti nuovi pezzi suonerete prossimamente?

Ecco, stiamo affrontando esattamente questo aspetto in questo periodo, oltre all’uscita del videoclip.
Dunque, ci sono brani più impegnativi e brani meno impegnativi, non necessariamente legandoli alla durata, però ci sono alcuni brani che sono piuttosto difficili anche solo perché hanno delle complicazioni a livello sonoro, a livello di scelta timbrica, ad esempio un brano, tra l’altro scritto da me e Fede, ‘About That’, è un brano abbastanza ostico da portare dal vivo, sia per la resa timbrica che per la velocità delle parti, non tanto come velocità assoluta quanto per il fatto che quel tipo di riff suonato con un single coil, ricreare i passaggi tra le varie sezioni è qualcosa di un po’ complicato da portare dal vivo e ci sta dando un po’ di filo da torcere.
E’ una sfida, speriamo che per la prima data il 21 giugno sia pronto e perfetto.
Poi di solito alla prima data i pezzi non sono mai come vorresti, ci vuole un po’ di rodaggio, dopo un po’ di date cominciano a girare come dovrebbero.
Sì, sono effettivamente complessi, alcuni più complessi anche di alcuni precedenti, però il livello è rimasto piuttosto sostenuto, anche a livello di velocità i beat sono abbastanza sostenuti.
Spero rendano bene, me lo auguro, è una delle cose che mi preoccupano di più: io sono poi quello che cura di più la parte tecnica del suono, io e Fede, per cui sono sempre molto in ansia prima di portare le cose dal vivo e sperando siano convincenti.

 

Per il momento avete annunciato una manciata di date in Italia, avete già in programma un tour, magari anche fuori dall’Italia, più consistente?

No, non in programma, stiamo valutando delle offerte che stanno arrivando dalle booking estere con cui lavoriamo.
Non c’è nulla di concreto, è inutile che ti racconti, “Eh sì, abbiamo tre tour in ballo”, [ride] ci piacerebbe molto poterlo dire però non c’è moltissimo.
Speriamo arrivi qualche offerta interessante, soprattutto dall’estero; è probabile, quasi sicuro, che faremo un’altra tranche di date indoor in autunno in Italia.
Ci auguriamo che contestualmente a quelle date ci sia anche l’opzione di estendere un tour europeo, probabilmente arriverà anche il Giappone, Giappone e Stati Uniti, però nulla di definito al momento.

 

Questa era la mia ultima domanda, grazie per la tua disponibilità e ti lascio questo spazio se vuoi lasciare un messaggio finale ai nostri lettori.

In realtà il messaggio più importante è, dateci una chance e ascoltate questo disco, siamo curiosi di sentire i vostri feedback.
Il lavoro dietro a questo disco è stato impegnativo, ci abbiamo lavorato piuttosto a tempo pieno.
Ovviamente tutte le band credono molto alla propria musica, come tutti noi ci crediamo moltissimo e speriamo possa piacere.
Spero apprezzeranno anche il video e spero di vederli ai concerti, alle date in giro per l’Italia, Europa, ecco, spero di poter incontrare presto tutti gli interessati.