Hard Rock

Intervista Guns N’ Roses (1987 – II)

Di Stefano Ricetti - 8 Agosto 2013 - 0:10
Intervista Guns N’ Roses (1987 – II)

Intervista ai Guns N’ Roses da parte di Fabio Testa tratta dal numero 20 della rivista H/M del 1987, Appetite for Destruction era.

Buona lettura.

Steven Rich

 

guns n roses logo

 

U.S. STREET METAL

Stanno emergendo dalla giungla dei club di Los Angeles come la più eccitante street metal band degli ultimi mesi: H/M li ha raggiunti per cercare di conoscerli meglio. Esclusivo.

LA SEGUENTE È UN’INTERVISTA CON W. AXL ROSE, CANTANTE E CO-FONDATORE DEL GRUPPO (IL SUO EX-PARTNER, GUNS, SE NE È ANDATO PER FORMARE I L.A. GUNS), CON SLASH, CHITARRISTA SOLISTA, E CON DUFF MCKAGAN, BASSISTA.

 

 

LOS  ANGELESIl loro primo LP doveva ancora uscire, eppure già da mesi negli ambienti rock di Los Angeles non si faceva che parlare d’altro. Ultimamente la voce si era sparsa anche in Europa e in Giappone, così ora mezzo mondo ha le orecchie puntate su di loro. «Loro» sono uno delle migliaia di gruppi che, trasferitisi a Los Angeles con nulla più di una buona dose di speranza e di determinazione, sono riusciti ad issarsi con le unghie e con i denti fuori dalle sabbie mobili dell’anonimato e della disperazione.

Esagerazione? Per nulla. La storia di questo quintetto è stampata sui loro volti segnati e sulle loro espressioni vissute. Forse con gli anni e con la tranquillità di sapere che ormai sono usciti dal tunnel dell’incognito (ce la faremo/non ce la faremo?), si rilasseranno un po’. O forse no. Forse le esperienze passate hanno già forgiato indelebilmente il loro carattere. Certo è che quando li incontrai la prima volta, nel dicembre dell’86, sembravano degli atleti esausti giunti finalmente al traguardo. Un traguardo illusorio, d’altronde, perché altro non era che l’inizio della loro carriera professionale. Non potevano venir meno alle aspettative di un debutto folgorante. Dunque… un respiro, un boccone e via, in studio ad incidere.

Di fame questi ragazzi ne hanno fatta, e tanta. Di privazioni ne hanno subite, e molte. Non è leggenda, è verità. Seguendo le loro avventure si potrebbe girare il più stereotipato, e tuttavia il più reale, dei film sulla vita delle bands di Hollywood che lottano per affermarsi. Una lotta, se non all’ultimo coltello, certamente all’ultimo contenitore di fagioli in scatola. Ma attenzione, qui non si sta parlando della Hollywood mondana (quella di collina ), tutta facciata e lustrini. Qui si parla della Hollywood-In-Piano, del cuore di Hollywood, dove le strade appartengono ai barboni e ai loschi figuri.

Tutti i componenti del gruppo hanno una personalità carismatica. Soprattutto il cantante è “ammaliante”, come una “bella tenebrosa” dal passato oscuro, e della quale non si può mai sapere tutto. Il suo modo di cantare, la sua passione, la sua carica erotica ricordano una Janis Joplin in versione maschile. Loro non suonano né metal, né glam, né hard, né corporate, né american roots rock. Il loro è un ritorno alle radici del rock’n’roll influenzato dal rhythm and blues, e rimesso a nuovo con una carrozzeria degli anni ‘80. Loro sono i Rolling Stones 20 anni dopo; gli Aerosmith 10 anni dopo; i Guns N’ Roses oggi.

 

 

 

— La prima volta che sentii il vostro nome, fu attraverso un A&R (cioè una specie di talent scout) della Capitol. Questo mi incuriosì, perché se una casa discografica concorrenziale alla vostra suggeriva di “tenervi d’occhio”, voleva dire che dovevate essere proprio bravi!

ROSE: Già un anno fa eravamo sulla bocca di tutti i dirigenti discografici californiani, perché, oltre ad essere uno dei gruppi più popolari della “Los Angeles club scene”, quando decidemmo che era arrivato il momento di trovare un contratto, contattammo tutte le etichette possibili ed immaginabili, dalla più piccola alla più grande, nel breve spazio di poche settimane.

SLASH: Invitammo un sacco di dirigenti ad una nostra particolare serata, dicendo che avremmo firmato dietro le quinte per chi avesse portato il miglior contratto. Poi però andò a finire che firmammo per la Geffen due giorni prima della nostra esibizione, perché loro offrivano ciò che chiedevamo, e pensammo che comunque nessuno ci avrebbe potuto dare di più.

DUFF: Pensa che avevamo invitato 200 dirigenti circa. Alcuni erano venuti dall’Inghilterra; molti da New York. Prima ancora di cominciare a suonare annunciammo di essere artisti della Geffen. Immaginati un po’ la sorpresa generale!

— Ma perché non aspettaste?

ROSE: Perché improvvisamente ci misero sotto il naso un assegno dalla cifra da capogiro, insieme con un’offerta, a cui non si poteva dire di no. Era tutto ciò che avremmo mai potuto chiedere ad una casa discografica, ed era già un anticipo altissimo da restituire.

SLASH: E poi colui che ci offrì il contratto fu Tom Zutaut, che in precedenza aveva ingaggiato i Dokken e i Motley Crue, e che ora è impegnato con i Tesla. Insomma, sapevamo di esser in buone mani.

— Portaste avanti le trattative da soli?

SLASH: Inizialmente portammo avanti il discorso completamente in prima persona.

ROSE: Poi passammo la palla al nostro avvocato, col quale abbiamo però discusso insieme i punti salienti, come l’ammontare dell’anticipo e delle spese di registrazione.

 

 

— A proposito, quanto è costato registrare l’album?

DUFF: Circa 150.000 dollari (180 milioni di lire). Pensa che questo era esattamente il budget inizialmente stabilito, ed è rarissimo che un gruppo riesca a rimanerci dentro. Noi ci siamo riusciti, ed è un motivo di soddisfazione in più e una prova di professionalità.

— Come state vivendo questo momento di debutto?

ROSE: Veramente avevamo già pubblicato un E.P. attraverso la Warner Bros.

SLASH: Sì, però ora la sensazione è molto più intensa ed emozionante. Non c’è più tempo per fare marcia indietro.

— Durante l’incisione del disco avete mai provato una certa apprensione, ben sapendo che difficilmente viene offerta una seconda occasione a chi sbaglia la prima volta?

SLASH: Direi di no, anche se sapevamo che era il momento della verità.

ROSE: Avevamo lavorato molto duro sulle canzoni che stavamo incidendo, e quindi eravamo sicuri di noi stessi. Sapevamo di avere delle buone munizioni per questo momento della verità.

DUFF: Che paura? Non vedevamo l’ora di finire per presentarci al grande pubblico.

— I debuttanti, si dice, hanno tutta la vita per preparare il primo disco, e solo pochi mesi per preparare quello dopo. Per questo a volte il secondo LP è una delusione. Voi come farete?

DUFF: Per fortuna siamo molto prolifici, per cui abbiamo ancora una trentina di pezzi che non abbiamo incluso in questo primo disco.

ROSE: Sì, ci sono un sacco di canzoni che abbiamo già programmato di usare per il nostro terzo LP! Vogliamo sviluppare una certa progressione di stile, e già sappiamo come farlo. In questo senso abbiamo delle idee molto chiare.

— Tutti i vostri testi, o quasi, rappresentano scene di vita della Hollywood “bassa”, ispirati da esperienze personali. Ce n’è uno in particolare al quale vi sentite più legati?

SLASH: Quello più intenso è forse “Welcome to the Jungle”, che è un po’ il nostro inno, e che parla della vita per le strade di Hollywood. Oppure “Out Ta Get Me”, che parla dei problemi con la polizia.

ROSE: Per me, invece, è “Paradise City”, un titolo ironico, ispirato dalle innumerevoli notti che ho passato dormendo in un camioncino di un amico parcheggiato in strada, perché non avevo un posto dove andare a dormire.

 

 

HOLLYWOOD STREET BAND

 

— Nessuno di voi è originario di Los Angeles. Come vi siete incontrati?

SLASH: Veniamo tutti da posti diversi. Io sono nato in Inghilterra, Duff viene da Seattle (Oregon), gli altri da Cleveland, dall’Indiana… La nostra storia è molto complicata, perché anche se ci conosciamo un po’ tutti da vari anni, e abbiamo suonato insieme in varie combinazioni, i Guns N’ Roses sono nati veramente solo 3 anni fa.

— Dopo esservi trasferiti a Los Angeles, vi siete sistemati a Hollywood. Vi sentite essenzialmente un gruppo di Hollywood?

ROSE: Non conosco una Hollywood Street Band che sia più autentica di noi. Noi abbiamo camminato di notte per le strade di Hollywood un’infinità di volte. Da West Hollywood (che è un comune separato ed indipendente, di classe medio alta) a Downtown Hollywood (cioè Hollywood-centro, la parte più malfamata). È in questi due luoghi che pulsa la scena musicale.

DUFF: Io ero disposto a trasferirmi a New York, ma succede molto di più qui; si trova più ispirazione, con tutti i gruppi che ci sono!

— Che lavori avevate a quel tempo? Come siete sopravvissuti?

SLASH: Lavori?

ROSE: Per me era difficile venire assunto, per via dei tatuaggi e dei capelli lunghi (i tatuaggi sulle braccia sono uno dei comuni denominatori tra i componenti del gruppo). I negozi di punk rock erano gli unici che potevano accettare di prendere gente come me, ma erano sempre al completo riguardo a personale. Per un po’ lavorai da Tower Video (una catena di affitto di cassette video), ma ero sempre guardato storto. Sai, i manager sanno che se un ragazzo è in un complesso, deve dedicare tutto il suo tempo ed energia al gruppo per poter suonare nei club.

DUFF: L’unica soluzione per uscire da quella mansarda era quella di trovare un contratto discografico. Sapevamo di non avere alternative.

— Ultimamente da parte delle case discografiche c’è stata una specie di corsa all’ingaggio di gruppi basati a Los Angeles. So che alcuni vostri amici si sono “accasati” all’Elektra.

DUFF: Sì, sono i Jetboy e i Faster Pussycat. Ci conosciamo da anni e abbiamo suonato spesso insieme. Siamo molto contenti per loro.

– E di altri gruppi, chi suggerite di tenere d’occhio?

ROSE: I Jane’s Addiction e gli L.A. Guns. Sono lì lì per firmare anche loro.

— Mi sembra che voi abbiate portato una ventata d’aria nuova sulla scena musicale di Los Angeles. Prima di voi si sentiva solo glam e metal.

SLASH: Credo che alla “scena” mancasse il puro e semplice rock’n’roll istintivo e basilare. I ragazzi sanno che non stiamo scherzando, che non li stiamo prendendo in giro.

— Quindi questo è il tipo di musica che è sempre stato dentro di voi. Non è che avete “scelto” questa strada invece che un’altra.

ROSE: Esattamente! Ed è anche per questo che abbiamo incontrato così tante difficoltà negli altri gruppi in cui suonavamo prima di incontrarci. Nessuno faceva ciò che volevamo fare noi.

DUFF: Ma appena ci siamo conosciuti, abbiamo capito che eravamo tutti d’accordo sulla direzione che volevamo intraprendere.

— Vivete lo vostra vita all’insegna del leggendario motto “sex & drugs & rock and roll”?

SLASH: Diciamo che siamo uno dei gruppi che l’ha reintrodotto. Effettivamente per un paio di anni dopo che i Motley Crue firmarono il loro contratto, la scena diventò un po’ un mortorio. Noi l’abbiamo fatta riaccendere più forte di prima!

— E’ venuto il momento di parlare delle vostre influenze musicali.

ROSE: La gamma è vastissima. Nell’ultimo mese, ad esempio, ho comprato almeno 100 nastri. Io ascolto di tutto: da George Michael ai Metallica; dall’opera russa alla musica country.

DUFF: Alice Cooper, i Led Zeppelin… i Beatles, anche se non sembrerebbe.

— Ma scusate, e i Rolling Stones, che io pensavo fossero la vostra influenza principale?

SLASH: Oh, bè, quella è talmente ovvia che non c’è neanche bisogno di menzionarla. Il fatto che dopo 25 anni siano ancora lì tra i più forti, dimostra quanto siano validi. Senza di loro nessuno di noi sarebbe qui oggi.

 

Fabio Testa

 

Articolo a cura di Stefano “Steven Rich” Ricetti