Folk - Viking

Intervista Kanseil (tutta la band)

Di Elisa Tonini - 25 Maggio 2018 - 8:00
Intervista Kanseil (tutta la band)

A distanza di tre anni dal validissimo full-lenght “Doin Earde” i Kanseil sono tornati con “Fulìsche”, il loro secondo album. TrueMetal.it ha intervistato per voi il gruppo e si è fatta raccontare cosa si cela dietro le loro canzoni. Ecco cosa ci hanno rivelato i disponibilissimi ed entusiasti sette di Fregona, tra storia, musica, cultura, leggende del Cansiglio e non solo.

Buona lettura…

 
Ciao Kanseil, benvenuti su TrueMetal.it ! Come state?
 
Alla grande! Siamo carichissimi per il nuovo album che sta per uscire.
Partiamo dall’inizio. Raccontateci come e quando vi siete formati.
 
In origine eravamo un gruppo di amici appassionati al Folk Metal e alle nostre montagne, ci piaceva conoscere e condividere le storie e le leggende dei nostri luoghi, o semplicemente imparare il “come si faceva una volta” delle più disparate attività. Col tempo, chi prima e chi dopo, ci si è avvicinati tutti allo studio di strumenti musicali, e nel momento in cui ci si rese conto di avere una formazione al completo nel 2010 la scelta di formare il gruppo è stata naturale. Dopo alcuni piccoli aggiustamenti si è arrivati alla formazione attuale, che ha debuttato nel 2013 con il demo “Tzimbar Bint”.
Chi vi ha ispirato ad inserire il veneto ed il cimbro nei testi? È stato un altro gruppo a darvi l’input? Tra i gruppi più noti che cantano in veneto, spaziando tra i generi, mi vengono in mente I Belumat, i Catharral Noise ed i Los Massadores…
 
I testi in cimbro si sostanziano in parti già composte o piccole frasi scritte da noi con l’obbiettivo di mantenere viva e far conoscere questa minoranza linguistica locale ormai praticamente estinta. Per quanto riguarda il veneto invece l’intenzione fin da subito è stata quella di staccarsi dalla musica goliardica, che comunque apprezziamo, alla quale si è spesso abituati a pensare quando si parla di dialetto. Abbiamo voluto invece proporre un uso alternativo del veneto nella musica, dove di solito si usa l’italiano o l’inglese, andando a studiare la musicalità delle parole esattamente come si fa componendo in italiano, anche cercando vecchi termini ed espressioni da far rivivere. Nel folk metal le band cantano orgogliosamente nella loro lingua, e noi non ci vergogniamo di parlare veneto. Tra le influenze di chi lo fa nel nostro genere possiamo fare l’esempio dei Folkstone, o degli ormai sciolti Ad Plenitatem Lunae. Per quanto riguarda la composizione in dialetto sicuramente dobbiamo citare chi in Veneto ci ha preceduto, come Alberto D’Amico o Andrea Zanzotto.
Con le vostre canzoni fate conoscere certi aspetti storici e culturali che anche ai veneti (me compresa) possono sfuggire. Inoltre, inserendo il veneto, il cimbro e il friulano contribuite a dare lustro ad idiomi spesso poco considerati. Che pensieri avete riguardo all’uso di questi idiomi? Vi sentite un po’ ambasciatori della cultura locale?
 
Siamo convinti che le lingue e la cultura ad esse associate, siano patrimoni da conservare, ed utilizzarli nella musica moderna è il nostro modo di mantenerle in vita. La lingua ed il suo utilizzo deve evolversi con la società, altrimenti cadrebbe naturalmente in disuso. Sicuramente ci sentiamo un po’ ambasciatori, dal momento che a parlare di certe tematiche e storie siamo rimasti in pochi nella nostra generazione. Ci teniamo a precisare che facciamo ciò non perché siamo convinti che la nostra lingua/storia/cultura sia migliore di quelle degli altri, ma perché è la nostra e come noi abbiamo goduto di essa e ci ha ispirato vorremmo trovare un modo perché anche altri dopo di noi abbiano modo di conoscerla.
 
Il vostro primo album è stato ben accolto dalla critica. Personalmente lo trovo un gran disco. “Fulìsche” ha un sound più maturo ed una produzione migliore. Come funziona il songwriting? C’è inoltre qualche differenza di scrittura dei brani tra il precedente disco e quello attuale?
 
Ogni pezzo non è il lavoro di un solo musicista. Spesso un brano parte da un giro di chitarra o di cornamusa, intorno al quale viene poi costruita tutta la canzone, dove ogni musicista mette del suo. Successivamente il testo nasce dall’idea di approfondire una certa tematica, tipicamente si svolge una ricerca sull’argomento e dopo un po’ di aggiustamenti a più mani per adattarlo al meglio alla musica viene ultimato. A volte invece il testo viene scritto indipendentemente, e viene scritta una musica appositamente per esso. Rispetto a “Doin Earde” siamo cambiati molto nel modo in cui ci approcciamo alla scrittura di un brano, a come lo studiamo e lo rielaboriamo. In quest’album sperimentiamo diverse tonalità, strumenti e stili, cercando di togliere il superfluo e valorizzare il suono e la melodia. 
Fulìsche significa “faville”, e la similitudine di esse con la breve memoria dell’uomo è veramente molto profonda e poetica. Il titolo del nuovo disco pare trarre origine dal celebre rogo Panevin, nonchè dalla vostra omonima canzone presente in “Doin Earde”. C’è per caso un qualche collegamento tra i due album?
 
La tematica del fuoco è ricorrente, sicuramente anche il Panevin, il rogo che porta via l’anno passato dove ci si trova a cantare e festeggiare rappresenta questa idea, come può essere anche il “larìn” di casa attorno al quale ci si siede ad ascoltare le storie. Questa volta però il fuoco non è solo un elemento di gioia, ma anche un qualcosa che consuma e distrugge bruciando lentamente, dove le storie non sono solo quelle dei grandi, ma anche quelle degli ultimi, che vengono diluite nella storia.
 
“Fulìsche” è introdotto da “Ah, Canseja!”, pezzo recitato da un uomo anziano. Chi è?
 
“Ah, Canseja!” è una poesia di Pier Franco Uliana, e a recitarla è l’autore stesso. Egli è un poeta e studioso locale di Fregona che compone in lingua veneta, che ha gentilmente collaborato per questo Intro, entusiasta del fatto che ci siano giovani appassionati a questo tipo di composizione. Il brano è tratto dal libro “Il Bosco e i Varchi”, vincitore del premio Pascoli nel 2015.
 
Kanseil, il vostro moniker è un nome antico che indica il Pian Cansiglio. Qual è la sottigliezza che lo differenzia da Canseja?
 
Kanseil è quello che probabilmente era l’antico nome dell’altopiano in epoca preromana di origine paleoveneta o celtica, che è diventata la radice etimologica dei toponimi più recenti.  In particolare il Cansiglio ha sempre avuto due nomi che si sono conservati ed evoluti entrambi in parallelo proprio grazie alla loro similitudine: quello “colto” che deriva da Campus Concilium, ovvero demaniale, di origine alto medievale, e quello popolare:  Cansei deriva appunto probabilmente da Kanseil, che stava ad indicare la mancanza d’acqua. Canseja è un toponimo che si legge in una carta di catasto forestale veneziana del 1638, ed è l’unica volta in cui al Cansiglio è stato dato un nome femminile.
 
Il pezzo “Vallòrch” si riferisce all’omonimo villaggio cimbro nel Pian Cansiglio. Immediatamente tale nome conduce anche alla band Vallorch e credo che la voce femminile presente nel vostro brano sia Sara Tacchetto, la loro cantante. Nel brano poi c’è il suono dell’hurdy gurdy e ciò fa pensare alla presenza di Paolo Pesce, altro componente della band. Confermate?
 
Certo confermiamo. Il brano è ambientato in prossimità dell’omonimo villaggio, in particolare nel “Bus de la Lum” e racconta la storia di un amore impossibile tra uno scrittore e un’anguana. Abbiamo voluto coinvolgere i nostri amici Vallorch con cui in questi anni abbiamo condiviso il palco innumerevoli volte e che, come noi, hanno a cuore le storie della nostra foresta.
 
“Densilòc” è un termine tipico dell’Alpago e significa “in nessun luogo”. Che cosa vi ha ispirato a comporre questa canzone?
 
Il brano nasce come un elogio alla natura più selvaggia ed incontaminata, una visione dell’uomo spogliato di tutte le falsità e le futilità del mondo moderno, che è capace di immergersi in essa con un’ autenticità e un’ ingenuità ormai perdute da tempo. Come attraverso delle immagini, abbiamo scritto le parole, cercando di immedesimarci il più possibile col personaggio, per staccare un po’ dall’iter che solitamente prevede la stesura di un nostro brano, in quanto anche noi facciamo parte di queste faville che vanno a disperdersi.
 
L’artwork ha un’espressività veramente potente. Le faville paiono trascinare con sé storie di persone, animali, presenze spirituali e la stessa terra. Da chi è stato realizzato?
 
È stato realizzato da Manuel Scapinello, un giovane artista friulano che da anni ci segue e ci sostiene, che ha saputo cogliere al meglio il concetto dietro al nome dell’album.
 
Nel vostro canale YouTube c’è la cover di “Migla Migla, Rasa Rasa” degli Skyforger, che suppongo siano una delle vostre influenze principali. In “Fulìsche” c’è un maggior uso di passaggi acustici, e ciò mi ricorda certe cose degli Agalloch. Quali sono i vostri gruppi preferiti e le vostre influenze musicali?
 
Oltre ai classici del folk metal ci siamo fatti influenzare sicuramente da progetti avantgarde, e post-metal come ad esempio gli Alcest, infatti rispetto a Doin Earte sperimentiamo di più l’alternanza tra scale maggiori e minori ed i passaggi tra elettrico ed acustico. Ovviamente c’è influenza anche dei classici dell’heavy metal quando si tratta di ritmiche e assoli. Per i brani acustici le influenze arrivano probabilmente dal neo-folk acustico tedesco, ma anche progetti come Sangre de Muerdago, forse aiutati dall’assonanza che c’è tra spagnolo e lingua veneta. Nemmeno le parti degli strumenti tradizionali sono esenti da influenze, in quest’album seguono di pari passo le evoluzioni delle parti elettriche, staccandosi dallo stile strettamente medievale andando ad esplorare altri stili come ad esempio i bourrée francesi.
Quali sono i vostri piani per il futuro?
 
Noi abbiamo intenzione di continuare con la nostra attività, comporre raffinando il nostro stile e proponendo storie e tematiche delle nostre terre che sono difficili da esaurire. Sicuramente continueremo a sperimentare cose nuove, come abbiamo sempre fatto, e a seguire il più possibile una delle nostre passioni che ci regala sempre grandissime soddisfazione: l’attività live.
 
Siamo arrivati alla fine dell’intervista. Grazie per averci concesso questa opportunità. In questo spazio potete salutare i lettori come preferite…
 
Grazie a voi per l’interessante chiacchierata, sperando di soddisfare le aspettative a la fiducia che ci è stata data dagli affezionatissimi fan che ringraziamo di cuore, non vediamo l’ora di farvi sentire i nuovi pezzi sul palco!
 
Elisa “SoulMysteries”Tonini