Prog Rock

Intervista P.F.M. (Franco Mussida)

Di Stefano Ricetti - 23 Settembre 2005 - 9:32
Intervista P.F.M. (Franco Mussida)

Tante volte nella vita capita di imbattersi assolutamente in modo casuale in persone che mai si immaginerebbe di incontrare. E’ esattamente quello che è accaduto a me durante la vacanza che ho effettuato su un’isola italiana. Ho avuto la fortuna e l’onore di scambiare quattro chiacchiere con Franco Mussida, storico axeman della Premiata Forneria Marconi, grandissima band di progressive rock italiano spesso molto più conosciuta fuori dai patri confini che non all’interno dello stivale. Ovviamente non mi sono lasciato sfuggire l’occasione di porre qualche domanda al disponibilissimo Franco, vero signore sia sul palco come nella vita.

Buona lettura.

Steven Rich      

 

Quali sono state le tue influenze musicali? Quando hai deciso di diventare un chitarrista rock?

Iniziamo subito con una bella domanda Steven… Vedrò di essere essenziale.
La mia è stata una crescita inizialmente molto marcata in chiave classica, quindi proprio il classico è sempre stato una delle mia muse ispiratrici. Dal punto di vista rock, inizialmente hanno avuto influenza su di me le band rock & roll e Pop della fine degli anni ’50 Shadows in testa,  poi ovviamente The Beatles, Rolling Stones ma anche se non soprattutto i Byrds per i loro modi di accompagnare arpeggiando con le 12 corde elettriche, un gruppo che ho amato alla follia. Riguardo la seconda parte della tua domanda, prima di rispondere, devo precisare il mio percorso musicale, che dividerei in tre tronconi, in tre tappe. La mia prima fase come chitarrista la definirei istintiva: iniziai circa all’età di nove anni rubando la chitarra di mio papà custodita in un armadio quando lui usciva di casa, iniziai così a prendere confidenza con lo strumento. In quel periodo nacquero le prime, fantastiche e inebrianti sensazioni legate al fatto di esplorare territori emozionali nuovi cavalcando la magia e le piacevoli sensazioni delle note che fuoriuscivano pizzicando lo corde.

Lo definirei un lasso di tempo di scoperta, di puro godimento nel suonare, il tutto fatto senza che mi ponessi troppe domande… Durò molto, ben oltre la nascita della PFM, fino all’album Chocolate Kings del 1976. La seconda tappa riguarda gli anni appena precedenti il compimento dei trent’anni: momenti nei quali soffrii di una crisi di creatività, ti confesso che pensai anche di smettere… La superai rimettendomi a studiare e ricercando nuovi stimoli come l’esperienza di concorrere a costruire nel 1984 una Scuola che è oggi una pietra miliare nel nostro paese: il CPM, Centro Professione Musica.   La terza e ultima fase, è quella che si protrae ancora oggi,  per rispondere appunto alla tua domanda – è stata della scelta definitiva, di una maggiore consapevolezza e maturazione del mio ruolo di musicista e di chitarrista, cosa che mi ha permesso anche di provare a realizzare progetti musicali fuori norma come ad esempio la Sinfonia Popolare per 1000 chitarre che abbiamo già rappresentato quattro volte. Proprio per la quantità di musica che ho scritto mi considero però più un compositore che un chitarrista, anche se è tramite  la chitarra che ho mantenuto l’entusiasmo e la voglia di scoprire gli infiniti sentieri che ancora la musica ci lascia inesplorati.

 

 

Nella mia recensione di Sacrifice dei Black Widow ho citato il fatto che la Pfm suonò con la band inglese durante il loro tour italiano. Visto il carattere rivoluzionario e oltraggioso della proposta del gruppo di Clive Jones, hai qualche aneddoto da raccontare a riguardo?

So di deluderti un po’, visto che i Black Widow erano molto vicini al concetto di heavy metal ante litteram, ma non ricordo aneddoti particolari. Suonammo insieme in un paio di occasioni, probabilmente quella che rimembro meglio risale al concerto presso il teatro Lirico di Milano: erano una band molto compatta, dal suono sorprendentemente potente e nuovo, con un uso decisivo dei power chord. In quelle occasioni fecero dei concerti molto puliti da un punto di vista scenico, anche se poi la componente scenica ed esoterica della musica so che ha preso il sopravvento. Ho sentito che il loro spettacolo poteva addirittura simulare dei finti sacrifici umani, ma come ti dicevo in occasione del tour italiano queste rappresentazioni sul palco non ebbero luogo: se posso definirli con un solo aggettivo direi compatti, questa era la loro peculiarità.

Riguardo il potere mediatico della musica, sono da sempre un convinto divulgatore di messaggi positivi legati a essa. La mia esperienza a supporto di strutture che operano all’interno di carceri e di comunità di recupero ha rafforzato ancora di più in me questa convinzione. Il potere della musica è straordinario: varca e travalica i confini legati a stati, ideologie e idiomi. Proprio per questa sua caratterizzazione universale i messaggi che si devono trasmettere dovrebbero sempre essere legati a elementi puliti, cosa che spesso viene disattesa.

 

Se non vado errato durante la vostra prima tournee negli Usa piano piano scalaste il bill… Hai qualcosa da raccontare a riguardo?

Ricordi bene: partimmo come opening act, praticamente i primi a suonare nella scaletta, poi, con il passare del tempo assurgemmo a supporter. Diventammo relativamente presto headliner: ricordo le performance al Central Park di New York,  le date a Los Angeles e molte altre che adesso non cito per non essere prolisso… Condividemmo il palco con gente come Beach Boys, Poco, Santana e Dave Mason (Traffic, Fletwood Mac): grandi ricordi, indubbiamente!

 

Franco Mussida

 

Mai con i Led Zeppelin?

No, purtroppo non se ne concretizzò mai l’occasione.

Nel mondo HM vengono definite progressive metal band come Dream Theater, Artension, Ten, Shadow Gallery, Symphony X e molti altri. Cosa ne pensi?

Penso che il  virtuosismo e un elemento molto forte e sempre presente, specie in band come Dream Theater: le composizioni sono molto potenti  negli arrangiamenti e nelle orchestrazioni, la melodia pura  passa quindi inevitabilmente in secondo piano. La loro proposta è interessante, la definizione di progressive abbinata a metal probabilmente è calzante anche se io non sono un esperto in materia, e dedicandomi alla composizione evito di studiare i CD dei colleghi musicisti.

Da chitarrista, cosa pensi dei guitar hero che gravitano nell’universo hard’n’heavy come Steve Vai, Yngwie Malmsteen e Joe Satriani?

Sono personaggi molto diversi uno dall’altro. Satriani lo vedo molto a suo agio in ambito melodico, Malmsteen viceversa in ambiente più ritmico, Vai lo vedo più funambolo, ha preso lo scettro di quel tipo di chitarrismo da Van Halen e somma forse le doti degli altri due. A me piace molto quando si suona con la chitarra in modo polifonico, ovvero quando dalle sei corde fuoriesce musica che assomiglia a quella  che si può suonare, per esempio, anche con un pianoforte.

Impressioni di Settembre la ritengo da sempre una delle più belle canzoni mai uscite in lingua madre. L’hai scritta tu. Svela qualche retroscena.

Una canzone dovrebbe sempre avere due titoli diversi: quello stabilito dal musicista e quello del paroliere. Fu l’ultimo brano che scrissi nella mia stanza – dalla quale quasi non vedevo il cielo – quando decisi di staccarmi da casa e dai miei genitori. Il cancello che divideva l’edificio popolare nel quale fino ad allora vivevo e il resto del mondo rappresentava in qualche modo il “salto” nel modo esterno. Impressioni di Settembre narra appunto di questo e ricordo ancora nitidamente quando varcai quel cancello per l’ultima volta, con l’assoluta consapevolezza di farlo. Un fortissimo desiderio di libertà e di indipendenza mi animava, concetti che penso siano stati egregiamente rappresentati all’interno del brano.

Black Sabbath, Deep Purple, Uriah Heep e Led Zeppelin…

Allora Steven, le considerazioni su queste band variano di volta in volta in base al musicista tuo interlocutore. Per un chitarrista, come nel mio caso, i Deep Purple hanno rappresentato il gruppo che mi ha coinvolto di più. Mi colpì fin dal principio la precisione nello stile chitarristico di Ritchie Blackmore pur suonando sporco e distorto. L’ho sempre visto come la versione rock di Hank Marvin degli Shadows, altro grande interprete che mi ha influenzato parecchio. Probabilmente se la stessa domanda l’avessi posta a Franz Di Cioccio avrebbe sviluppato l’argomento Led Zeppelin per via del drumming terremotante di Bonzo Bonham, così come altri artisti attratti da suoni oscuri e cupi probabilmente avrebbero citato Black Sabbath e Uriah Heep.

Su TrueMetal, che rimane un portale monotematico legato all’heavy metal, la Pfm è da sempre considerata con assoluto rispetto da parte dei nostri lettori e da noi stessi in redazione. Cosa ne pensi?

Innanzitutto è davvero curioso e sorprendente essere considerati e soprattutto godere del rispetto da parte di un pubblico dedito all’heavy metal, non penso sia cosa allargata a molti gruppi , specie se suonano una musica diversa, che, per quanto ci riguarda solo a tratti ha venature Hard. Forse noi Pfm abbiamo fatto storia un po’ a parte rispetto ad altre realtà. Proveniamo dalla strada…..dalle cantine…. non abbiamo mai fatto un vero disco di grandissimo successo, con milioni di copie vendute intendo,  le apparizioni in televisione le abbiamo sempre centellinate, il nostro approccio con il pubblico è proporci live, ovvero avere un contatto con i kid attraverso i concerti più che con i dischi.

Siamo sempre stati lontani dalle posizioni alte delle classifiche: se un disco “tirava” più di un altro, il successivo non lo ripeteva come progetto artistico, non lo seguiva a ruota ma anzi cercavamo il cambiamento… Il nostro modo di fare musica, di arrangiare le composizioni, fondamentalmente richiamava sempre gli stilemi legati al modo sinfonico di concepire le parti strumentali. Anche nelle composizioni raramente abbiamo cercato di fare una “canzone” nel senso stretto del termine,  per agganciare un pubblico più vasto. Tutto questo insieme di cose penso ci abbia preservato dal business fine a se stesso, mantenendo un nostra dignità e sincerità artistica di fondo, caratteristiche delle quali l’appassionato di heavy metal è assetato.

 

 

Fender e Gibson…

Sono due modi diversi di intendere lo strumento chitarra. La Fender è sinonimo di pulizia del suono, è molto precisa nella costruzione del sound, è l’ideale per proporre note rare che vanno ascoltate una a una. Viceversa la Gibson si muove egregiamente nei suoni distorti, ha l’attitudine del violino e il suo sound lo definirei molto pastoso.

Pfm: piani futuri

Prima di Natale, probabilmente già a novembre, uscirà il nuovo disco. Ti posso anticipare che conterrà a tratti dei passi molto efficaci e potenti che potrebbero interessare anche a una audience tipicamente metallara. Abbiamo poi scritto la colonna sonora di un’opera teatrale intitolata Dracula in Love. Sarà rappresentata a marzo 2006, è di David Zard e la regia è affidata all’argentino Alfredo Arias.

Ok Franco, grazie della disponibilità.

Grazie a te, ci si vede on the road!

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti