Heavy

Intervista Running Wild (Axel Morgan – 1993)

Di Stefano Ricetti - 15 Aprile 2015 - 12:30
Intervista Running Wild (Axel Morgan – 1993)

Intervista ai Running Wild nella persona del chitarrista Axel Morgan realizzata da Nicola Guglielmi e uscita all’interno della rivista H/M numero 143 del marzo 1993.

Il periodo è quello dettato dalla crisi nera dell’HM tradizionale per via delle nuove tendenze musicali imperanti provenienti prevalentemente dagli Usa: leggasi alla voce Grunge.

La formazione annovera il mastermind Rock ‘N’ Rolf (voce e chitarra), Stefan Schwarzmann alla batteria, Thomas “Bodo” Smuszynski al basso e, appunto, Morgan all’altra ascia.

Curiosamente Axel palesa una coesione d’intenti all’interno del combo di Amburgo a prova di bomba, peccato che solo l’anno dopo, ossia nel 1994 (quello dell’Ep Privateer e del formidabile album Black Hand Inn) né lui né il batterista Stefan Schwarzmann faranno già più parte dei Pirati tedeschi… ma questa è decisamente un’altra storia.

Buona lettura.

Steven Rich

 

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I Running Wild rappresentano da parecchio tempo ormai una delle istituzioni fondamentali nell’ambito del panorama metallico europeo. Figlio della New Wave of British Heavy Metal, il combo tedesco muove i suoi primi passi in campo musicale durante i primi anni dello scorso decennio, ossia ai tempi in cui la scena germanica dava vita a una vera e propria invasione di speed/power band che avrebbero scritto pagine importanti dello storia del metal. Nomi? Tra i tanti i Kreator, gli Helloween, i Rage, i Deathrow, i Grave Digger. Ma la lista è ben più lunga. La maggior parte di questi gruppi sono svaniti nel nulla, altri sono scaduti di qualità. Pochi sono sopravvissuti nel tempo, ed i Running Wild sono uno di essi. Adesso siamo nel ’93 e molte cose sono cambiate nel mondo del metallo, siamo nell’era dell’evoluzione (evoluzione?!), e pare che non siano rimasti in molti a dare spazio ed ascolto a band che hanno avuto come colpa (colpa?!) quella di essere coerenti e di credere in quello che fanno a tal punto da rimanere insensibili verso tutto ciò che accade, musicalmente parlando, intorno a loro.

E’ vero, i Running Wild forse sono rimasti un attimino troppo ancorati ai propri antichi schemi, ma cambiare per il gusto di cambiare, o meglio, per il gusto di piacere, non gioca di certo a favore di chi non ha avuto il coraggio né la determinazione di andare fino in fondo. In un’epoca in cui si vuole spacciare per innovazione la musica di gruppi come i Soundgarden, ossia un incrocio di sonorità sabbathiane e zeppeliniane accompagnate da un ottimo singing e niente più, purtroppo succede che band come i Running Wild sono destinate a rimanere nell’ombra. Eppure Pile of Skulls, l’ultima fatica del quartetto dei pirati, è un gran bel disco. Power metal al suo meglio, come non se ne sentiva più da tempo ormai. Undici brani di metallo puro che entrano nel sangue e scorrono nelle vene di chi questa musica la porta dentro, e non addosso. Perdonatemi questo piccolo sfogo, ma penso che il rammarico che provo nel vedere i Running Wild arrancare per arrivare alla pubblicazione di ogni loro nuovo aIbum, mentre oltremanica gente come gli Ugly Kid Joe si è assicurato un reddito elevato per il resto dei propri giorni, sia lo stesso che provano molti altri come me, ossia voi lettori. Ma adesso bando alle ciance e passiamo la parola ci chi ci può illuminare in modo migliore, sullo stato di salute dei nostri beneamati pirati dell’underground, ossia Axel Morgan, chitarrista della band.

 

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Allora Axel, parlami un po’ dei “nuovi” Running Wild.

– (Axel) Beh, fondamentalmente non è cambiato molto per noi. Una cosa è certa: il feeling raggiunto all’interno del gruppo è davvero ottimale. Siamo entrati in sala di registrazione sapendo esattamente quello che volevamo, e penso che mai avevamo lavorato così bene ed in piena armonia. Stefan (batteria) e Thomas (basso) sono davvero molto preparati tecnicamente, e questo ci dò molta più libertà e tranquillità, e ci permette di poter fare praticamente quello che ci pare in studio. Riguardo al nuovo album, penso che le nuove song siano un po’ più pesanti rispetto ai nostri ultimi album. Il sound, però, è sempre quello dei Running Wild…

I testi, apparentemente ispirati dalla pura immaginazione, celano più d’un messaggio riferito alla nostra realtà. Correggimi se sbaglio.

– No, infatti è proprio così. Sin dal primo album, i testi scritti da me e Rolf hanno sempre tratto ispirazione dalla vita quotidiana, quella di tutti i giorni, ed i problemi dei nostri tempi. I nostri argomenti preferiti sono la Chiesa, il governo e l’esercito, ossia tre fonti distinte di potere che hanno un’incredibile influenza sulle vite di tutti noi. Ma i nostri testi trattano anche altri argomenti. In “Black Wings of Death”, ad esempio, prendiamo spunto dal problema dell’Aids, una vera e propria epidemia. Nel brano “Pile of SkuIls”, invece, si analizza il problema della corruzione e malcostume generale del nostro governo attuale. Falsità e cospirazione sono i principi di vita seguiti da queste persone, ed a rimetterci siamo soltanto noi, i cittadini. Comunque, tengo a precisare che il nostro modo di porgere le cose non dev’essere visto come un insegnamento per l’ascoltatore. Noi esponiamo semplicemente dei punti di vista assolutamente personali sperando che siano condivisi da chi ci ascolta, ma niente di più. Inoltre, a noi piace molto riferirci ad avvenimenti storici del passato. In fondo io credo nella ciclicità degli eventi, nel senso che tutto ciò che accade è destinato a ripetersi nel tempo. La storia rappresenta quindi un ciclo di fatti che si ripetono puntualmente ad intervalli più o meno lunghi. Per cui si può trattare argomenti del passato e prendere spunto da fatti storici per descrivere orche la realtà dei nostri giorni. Ovviamente, risulta molto più interessante ed affascinante ricorrere alla storia passata per trasmettere determinati messaggi, un metodo per catturare l’attenzione dell’ascoltatore. Anche il brano “Sinister Eyes” è molto interessante perché racconta di alcuni visitatori dello spazio che approdano sulla terra. Questa canzone è stata scritta da Rolf, per cui non sono in grado di commentare in modo preciso il testo, ma ti assicuro che il tema trattato è davvero affascinante.

 

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Quali sono i messaggi che trasmettete all’ascoltatore tramite i vostri testi?

– Beh, prendi ad esempio il singolo del nostro album precedente, “Hanged, Drawn and Quartered”. II testo si rifà ad avvenimenti storici, ma il concetto della song e riferito a quello che sta accadendo oggi come oggi in paesi come la ex JugosIavia. Il concetto è che la storia è da sempre la stessa, gli avvenimenti sono destinati a ripetersi, e I’uomo non è in grado di migliorare se stesso, di prendere spunto dagli errori del passato per cercare di migliorare la propria esistenza. Analizzare la storia dei nostri giorni, in realtà, è come sfogliare un vecchissimo libro. L’unico che potrebbe fare la differenza sarebbe l’uomo stesso, ma mancano le intenzioni, manca la buona volontà.

Rolf, ancora una volta, è il produttore dell’album. Avete mai pensato di affidarvi ad un produttore di professione?

– Vedi, fondamentalmente Rolf preferisce curare la produzione in prima persona in quanto, essendo un membro della band, lui sa esattamente quali sono i risuItati desiderati, sa già a priori che tipo di produzione serve aII’aIbum. Noi sappiamo esattamente il tipo di produzione che serve ai Running Wild, per cui siamo, secondo me, gli unici in grado di ottenere un lavoro che adempia in modo convincente alle nostre esigenze. Inoltre, i Running Wild, sono una band tedesca, per cui hanno bisogno di una produzione tipicamente tedesca. E inutile rivolgersi ci produttori americani oppure inglesi per un gruppo come il nostro. Noi non vogliamo avere un sound americano, o comunque un sound che non rispecchi le nostre caratteristiche.

Per cui, perché pagare qualcuno per svolgere un lavoro che noi stessi siamo in grado di compiere, peraltro con risultati migliori? Non avrebbe senso! Per Rolf produrre l’album richiede un impegno davvero difficile ed estenuante, perché lui deve stare in studio per tutto lo durata delle registrazioni, ma alla fine i risultati premiano sempre il sacrificio, ed il prodotto finale è sempre quello desiderato.

 

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Mi ricordo che, quando i Running Wild esordirono con l’album “Gates To Purgatory”, la scena tedesca era forse la più attiva e prolifica in Europa. Ma, col passare dei tempo, molti dei vostri colleghi, fatta qualche eccezione, come i Kreator ad esempio, si sono persi per strada. Cosa hanno avuto i Running Wild in più rispetto a tutte queste altre band?

– Secondo me l’importante è non guardare mai al mercato americano. Capisco che la tentazione di un successo maggiore che può offrire il mercato a stelle e strisce è davvero tremenda; tuttavia, bisogna sempre rimanere realisti, con i piedi per terra, insomma. Noi abbiamo preferito rimanere nel campo di nostra competenza, dedicandoci solo ed esclusivamente a quello che sappiamo meglio fare, senza farci distrarre da false ed inutili illusioni. Questo ci ha portato a rimanere piuttosto coerenti musicalmente. In fondo, sono il primo ad ammettere che non c’è questa grandissima differenza stilistica tra “Pile of Skulls” ed i nostri lavori precedenti, ma d’altronde non potrebbe che essere così. Non si può cambiare improvvisamente stile musicale in nome di un ipotetico e poco probabile successo.

Effettivamente, un brano come “Whirlwind”, presente su “Pile of Skulls”, non avrebbe affatto sfigurato magari addirittura su “Gates to Purgatory”, che risale a dieci anni fa…

– Vedi, l’unica differenza tra adesso ed allora è che siamo un po’ più vecchi e più saggi, e che tutto ciò che ruota intorno alla band è diventato più serio, più professionale e più impegnativo. Per il resto, noi siamo sempre le stesse persone e continuiamo a suonare la musica che piace o noi, e non quella che piace al mercato. Il nostro interesse primario non è quello di guadagnare i miliardi, ed è per questo, ad esempio, che i nostri live shows ci costano un sacco di soldi. L’importante è che i nostri fan credano in noi. Non dico che il resto è irrilevante, però in fondo noi siamo contenti così. Molte band tedesche sono cadute nella tentazione del mercato americano. Hanno speso un sacco di soldi per finanziare tour negli States con l’unico risultato di perdere i loro fan tedeschi ed europei in generale. Adesso non hanno più niente. Ed è un peccato perché io sono del parete che la maggior parte di quelle band erano ottime. Questo è successo agli Accept, ad esempio. Udo lasciò gli Accept dichiarando di voler fare un metal più duro, ma poi non fece altro che vendersi al mercato americano ed oggi è ritornato con gli Accept! Il fatto è che i fan non sono impassibili, non rimangono insensibili a queste cose, hanno un cervello e lo usano. Non si compreranno mai un album solo perché ti chiami Udo.

 

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In fondo, ci sono così tante band americane negli States di già che sarebbe davvero utopistico pensare di poter avere un grande successo venendo dall’Europa…

– Questo e verissimo. E’ un dato di fatto che gli americani sono prevenuti nei nostri confronti. A chi andrebbe di ascoltare un gruppo tedesco negli Stati Uniti?! Noi dobbiamo guardare innanzitutto al mercato locale, e poi a quello generale. E’ chiaro che se ci viene offerta l’opportunità di fare un tour negli States non ci tiriamo indietro, ma sicuramente lo faremmo nel momento più opportuno. Non andiamo di certo dove non siamo desiderati, nel senso dove non abbiamo una base di fan che viene ai nostri show. Non si possono buttare soldi ed energie in quel modo. Non avrebbe senso…

La vostra testardaggine e coerenza alla fine vi ha premiato. Ma dev’essere stata dura…

– Ammetto che ci sono stati dei momenti davvero difficili. Sai, molti giornali e fanzine musicali non sembrano essere più interessati a vecchie band, come quelle della New Wave of British Heavy  Metal, ad esempio. Quando guardo MTV vedo un sacco di video di gruppi che vengono spacciati per metal ma che nello realtà delle cose hanno ben poco a che fare con In nostra musica. Ormai i gruppi che si possono considerare davvero heavy metal si contano sulla punta delle dita, purtroppo…

 

Nicola Guglielmi

 

Articolo a cura di Stefano “Steven Rich” Ricetti