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Kataklysm (Maurizio Iacono)

Di Daniele D'Adamo - 31 Ottobre 2013 - 18:12
Kataklysm (Maurizio Iacono)

Dopo tre anni di attesa giunge sugli scaffali dei negozi “Waiting For The End To Come”, undicesima fatica dei canadesi Kataklysm. Un album che suggella una carriera ultraventennale, costellata da difficoltà di ogni sorta ma, anche, da grandi soddisfazioni. Come quella, appunto, di essere riusciti a mantenere costante un livello qualitativo fra i migliori esistenti, portando il death metal in ogni angolo del Mondo e alle orecchie di tutti. Voce all’ugola di Maurizio Iacono, allora, stavolta per rispondere alle domande della nostra Tarja.

 

Ciao Maurizio, sono Tarja. Benvenuto su Truemetal.it. Com’è stata la tua giornata fino adesso?

È stata buona, grazie. In queste ultime due settimane rilascio interviste per il nostro nuovo album, così da abituarmi al ritmo di una o più al giorno, ahahah! E penso che per un musicista questa sia la parte più dura, ahahah!

Ahahah, ti capisco eccome! Ma ascolta, i Kataklysm hanno il soprannome di “Northern Kings Of Hyperblast”… mi vorresti spiegare meglio come mai?

Beh è un nome che ci hanno dato i nostri fan tanto tempo fa in Canada, quando abbiamo formato il gruppo. Sai, quando abbiamo iniziato, il death metal era diverso dal nostro stile. Gli altri gruppi, in quegli anni, suonavano più lentamente. Noi abbiamo portato il beat estremo, ed eravamo un gruppo molto caotico. Ci dicevano: «hey, il vostro blast beat è talmente veloce che è “hyperblast beat”!». Inoltre siamo canadesi, cioè del Nord. Quindi, è nato questo nomignolo che ci portiamo dietro tuttora.

Maurizio, prima di passare al vostro nuovo album mi piacerebbe parlare della tua voce. È fantastica. È così piena di energia e rabbia… È per qualcosa che mangi a colazione o è per via di come alleni la tua voce?

Ahahah, well, penso che mi ci sia voluto un po’ di tempo per svilupparla così com’è oggi. Sai, ho iniziato nel gruppo come bassista e facevo anche un po’ di backing vocals. Quando, nel 1998, ho fatto il cambio e ho cominciato a fare il vocalist, certamente ho dovuto trovare anche il mio stile personale. Sono una persona molto appassionata e amo ciò che faccio. Quando faccio un disco ci metto il cuore. Non potrei fare altrimenti. Così ho sviluppato il mio stile personale. Ci sono persone che copiano da altri cantanti, così la loro voce sembra uguale a tante altre, ma io ho sempre seguito la mia strada mentre sviluppavo la voce.

 

Oggi parliamo principalmente del vostro prossimo album, “Waiting For The End To Come”, che uscirà via Nuclear Blast Records tra due settimane (l’intervista è del 9 ottobre, ndr), e iniziamo dal titolo. Perché questa scelta?

C’erano due motivi per cui abbiamo scelto questo titolo. Prima di tutto, “Waiting For The End To Come” rappresenta forse ciò che tante persone stanno pensando in questi tempi. Viviamo in un Mondo assai instabile, adesso. Non c’è nemmeno un posto dove ci sia un po’ di sicurezza, ora. È un momento buio, e non sembra che migliori… pare anche che la mentalità delle persone stia cambiando rapidamente, sentendosi addosso la pressione che c’è attorno a tutte le cose. Non importa se si tratti di America, Canada, Italia, ma si sente l’insicurezza ovunque. E si sente nell’aria che ci sarà un grande cambiamento, nel futuro. L’altro motivo è più personale. Sai, dal momento in cui nasci cominci a morire… è un processo normale della vita. Alcune persone non capiscono che non siamo qui per sempre. Secondo me siamo qui perché stiamo aspettando che arrivi la fine, come dice il titolo, ma nello stesso tempo dobbiamo sperimentare la vita per usarla il modo più positivo possibile. Questi due, più o meno, sono i motivi che hanno portato alla scelta del titolo. L’album tratta molto di più della mortalità e dell’aspetto sociale della vita.

Quindi, è questo il vostro messaggio che comunicate con l’album: «vivi la tua vita il meglio che puoi»?

Esatto! Può sembrare un pensiero negativo, ma il messaggio che c’è dietro è invece molto positivo. Ed è molto importante, per me. Ho pensato a questo titolo ricordando mio nonno. All’inizio di quest’anno ho perso entrambi i miei nonni nel giro di tre settimane. Questo mi ha aiutato di crescere tanto. Lo sai come sono le famiglie italiane: molto legate tra loro. Così mio nonno, mentre mi parlava nei suoi ultimi istanti di vita, mi ha fatto capire che la sua vita era finita e che stava per morire. Accettandolo. Diceva che si è sacrificato tanto e che ha fatto tutto quello che avrebbe voluto fare. Poi, mi ha detto la frase: «aspetto solo che arrivi la fine…» ed ecco dove ho deciso il titolo del nuovo album. Devo dire che, con questo discorso, mio nonno mi ha colpito moltissimo, facendomi capire che qualsiasi cosa accada devo sempre continuare a fare ciò che desidero, nella vita.

Ho avuto le tracce solo ieri e ora, dopo un paio di sessioni di ascolto, posso dire che ha tutto ciò che mi sarei aspettato da un vostro album: hyperblast, riff e drumming forti e veloci, melodie epiche e distruzione generale… tu come lo descriveresti?

Lo descriverei un album molto completo. Mentre alcuni lavori passati sembrano di avere solo una cosa di troppo mancando di altre caratteristiche, in questo c’è tanto ma ben bilanciato. Ci sono tante melodie che ti trasportano in un’altra atmosfera, ma poi c’è sempre l’aggressività che ritorna. L’album contiene diverse emozioni, non si ferma a un solo sentimento. Ci sono dischi che in 40/45 minuti propongono lo stesso riff. Noi non siamo quel tipo di gruppo, siamo molto diversi, il feeling cambia in ogni canzone. Siamo consistenti, e credo questo sia il modo migliore di descrivere “Waiting For The End To Come”. Anche la produzione è stata fantastica. Zeuss ha fatto un lavoro ottimo con J-F, il nostro chitarrista. Il suono è molto sporco ma forte, e puoi sentire perfettamente ogni dettaglio.

A proposito, il batterista su quest’album non è Max Duhamel, ma Oli Beaudoin (Neuraxis, Ex Deo, Belphegor). Perché questa sostituzione?

Siamo stati amici con Max per tanto, tanto tempo. Siamo come una famiglia. Ma, da qualche anno, lui ha alcuni problemi personali, famigliari. E questi suoi problemi personali, come quello di bere alcolici pesantemente, piano piano cominciavano a creare problemi anche nella band. Abbiamo cercato di aiutarlo più che potevamo, ma poi abbiamo pensato che la vita on the road era troppo difficile per lui. Abbiamo deciso di dargli un po’ di tempo “off” dal gruppo, per potersi sistemare la vita per il meglio. Siamo sempre on the road in tutto il Mondo, e ciò potrebbe essere grave pericolo per lui. Così abbiamo pensato che la cosa giusta fosse dargli un anno “off” per guarire, anche perché era necessario fare quest’album adesso, poiché dal precedente erano passati quasi quattro anni. Era molto importante per noi uscire con un nuovo disco senza ulteriori ritardi. Avevamo la giusta energia per farlo, e invece Max non ce l’aveva. Il lavoro avrebbe sofferto parecchio se l’avessimo fatto con lui, e non potevamo assumerci questo rischio. L’unico batterista disponibile e libero era Oli, che è anche nostro amico. Lui è il batterista più bravo del Canada, se non di tutto il Mondo. Lui è incredibile dietro la batteria, molto versatile, e ha portato tanta vita nella band.

 

Cosa mi puoi raccontare sul songwriting?

È stata un’esperienza diversa dal solito, abbiamo deciso di farlo in un’altra “modalità” perché ora vivo a Chicago mentre il chitarrista abita a Dallas e gli altri risiedono in Canada. Non viviamo lontanissimi l’uno dall’altro, ma abbastanza distanti per non poterci incontrare facilmente. Sarebbe diventato difficile per noi stare assieme per tre mesi a scrivere canzoni. Ci siamo pertanto presi più tempo, circa sette/otto mesi, e abbiamo usato la tecnologia informatica (modem, skype, computer, ecc.), mandandoci file a gogò facendo così le basi delle song ognuno nel suo studio. Per noi è stato più facile impostare il songwriting in questo modo. Per fortuna oggi internet dà questa possibilità. Abbiamo raccolto le idee velocemente e poi quindi ci siamo presi il giusto tempo per mettere tutto assieme. Alla fine abbiamo fatto in modo “old school”, trovandoci tutti insieme in Canada e affittando una capanna nei boschi a Nord, finendo di preparare l’album.

Parlando dei temi delle canzoni, oltre a ciò che mi hai raccontato prima, da dove prendi l’ispirazione?

Cerco sempre di far legare la gente con noi, e a volte uso la musica come fosse il loro terapeuta. Parlo con le persone, che mi ascoltano e possono capire ciò che penso. Mi sento fortunato per avere questo strumento, quest’arma, cioè il microfono; che posso accendere con un gesto per esprimere i miei sentimenti. Come dicevo prima, “Waiting For The End To Come” racconta parecchio di ciò che è successo ai miei nonni, e mi ha fatto pensare tanto. Nella vita tentiamo di ottenere tutto il possibile. Poi, però, alla fine, si deve lasciare questo Mondo senza nulla. Siamo tutti uguali, di fronte alla morte. Per me “Waiting For The End To Come” serve molto a capire e ad accettare la morte, che non dimentica mai nessuno. Non è un concetto negativo. Quello che conta è come vivi la tua vita sulla Terra e quindi il ricordo e l’esperienza che lasci a quelli che rimangono ancora qui. È una catena infinita, ed è una cosa cui mi sono davvero concentrato per scrivere i testi. L’album tratta però anche di politica. E tu che vivi in Italia ne sai sicuramente qualcosa, di quest’argomento, ahahah! Qualche manciata di persone riesce a controllare e influenzare la vita di milioni di altre persone solo per il proprio profitto. E questo mi fa davvero schifo!

Qual è o quali sono le tue song favorite di “Waiting For The End To Come”? E perché?

Mmm…, mi piace parecchio la prima song, “Fire”. Penso sia una canzone molto importante perché dice tutto nel titolo: «fuoco!». Che era ciò che avevo dentro di me da quando ero ragazzino: il desiderio, lo stimolo e la determinazione per andare sempre avanti per le cose che ho sempre voluto fare. E finché avrò questo fuoco che mi brucia dentro, so che sarò ok. Quindi per me è una canzone molto personale: non mollare mai il fuoco che c’è dentro di te! Ed ecco perché è la mia canzone preferita. Poi mi piace tanto anche l’ultima, “Elevate”. Per me è una fantastica canzone, piena di melodie che catturano facilmente.

Sono d’accordo. A me piacciono tanto anche “Like Animals”, “Elite” e “Kill The Elite”.

Oh yes, “Like Animals” sarà sicuramente una hit, dal vivo…

 

 

Il vostro nuovo album è stato missato e masterizzato da Zeuss. Com’è stato lavorare con lui? Qualche episodio da “dietro le quinte” da raccontare?

Abbiamo scelto Zeuss per vari motivi. Abbiamo voluto lavorare con una persona nuova per quest’album. Come ti dicevo, questi è come un nuovo inizio per noi, così abbiamo voluto collaborare con una persona “fresca”, che avesse un altro approccio al lavoro (Zeuss ha peraltro fatto un buon lavoro con gruppi come Hatebreed e Suffocation). Per noi lui era la persona giusta per il disco perché sa lavorare su tutti gli aspetti che tocchiamo: uno è molto groove & heavy, un altro è molto melodico e poi abbiamo anche il lato estremo. Non siamo un gruppo facile da missare. Così, avendo lui, siamo riusciti a bilanciare il tutto, dando un enorme impatto al suono dell’album. L’unica cosa diciamo… “strana” da raccontare è che lui è abituato a missare basandosi tanto sui bassi. A noi invece a noi piace il mix un po’ più “high”, nel senso che si senta più chiaramente il tutto. Quindi in studio c’è stata un po’ di “battaglia” ma alla fine abbiamo trovato il compromesso ed è uscito il “giusto album”, ahahah!

E invece il lavoro in studio com’è andato? Quanto tempo avete trascorso lì dentro?

Ci sono voluti più o meno sette mesi per mettere tutto assieme, con giorni “on and off” poiché non potevamo stare tutto il tempo in uno studio. Mettendo i giorni in fila, alla fine si è trattato di un mese circa. Prima J-F ha registrato tutte le tracce di chitarra in Texas, mentre il resto lo abbiamo registrato in Canada.

“Waiting For The End To Come” sarà disponibile su CD, in digitale, in digipack, LP in vinile e su cassetta. Tu hai detto che avete deciso di metterlo su anche su cassetta per motivi nostalgici. Quelli sì che erano bei tempi ...

Le cassette per me hanno un significato quasi di ribellione: c’è gente che non vuole comprare i CD perché contengono sostanze e quindi lo scaricano on-line. Così ho detto: «hey guarda, lanciamo l’album su cassetta, così nessuno può ascoltarlo!», ahahah… alla fine l’abbiamo fatto praticamente per le mie ragioni personali. Quando ero piccolo compravo tante cassette, quindi sì, anche per motivi nostalgici, però anche per ribellarsi. E vedendo che si vende anche bene, possiamo intuire che gente vuole comprare qualsiasi cosa che “sa” di diverso più che per l’aspetto musicale in sé.

 

 

Parlando di artwork, quello delle versioni deluxe digipak ed LP è stato creato da Eliran Kantor; mentre quella iniziale per le cassette e standard jewel case è stata creata da Peter Sallai. Cosa puoi raccontarmi di più?

L’artwork per le cassette e lo standard jewel case è piuttosto tradizionale. Abbiamo voluto dare due diverse visioni all’album poiché, come ti dicevo prima, ci sono due diversi approcci. Ma anche perché è il primo album, dopo vent’anni, che abbia due artwork.Volevamo quindi dare all’artwork tradizionale qualcosa che parlasse dell’Umanità e dell’innocenza, che sono due punti fondamentali. Il secondo artwork è un dipinto in bianco e nero disegnato da Eliran, ed è completamente opposto all’altro come significato. Due significati opposti che rappresentano la stessa cosa, presa da lati diversi. Ho voluto dare qualcosa di speciale per i nostri fan… ci piace a viziarli, ahahah, così siamo venuti fuori con quest’idea.

Ahahah sì fate bene a viziare i vostri fan! Maurizio, ascoltando “Waiting For The End To Come”, qualcosa mi dice che sul palco queste canzoni saranno dei veri “killers”. Quindi parliamo un po’ dei vostri prossimi tour. Nel mese di novembre sarete negli Stati Uniti con i Sepultura e gli Unearth, a dicembre in Australia e in Giappone, e solo di recente avete annunciato il tour europeo a gennaio e febbraio con Krisiun e Fleshgod Apocalypse. Quali sono le vostre aspettative?

È da un po’ che non facciamo un tour negli Stati Uniti, ma è ancora passato più tempo dal nostro ultimo tour europeo, tranne alcuni club-show l’anno scorso. Quindi non vedo l’ora di ritornare in Europa, e stavolta sarà ancora più interessante perché con noi ci saranno i nostri amici Krisiun e i Fleshgod Apocalypse. E credo che con “Waiting For The End To Come”, che è così forte, il tour spaccherà davvero! Poi andremo in Giappone e per me è ancora più emozionante perché non ci sono ancora mai stato. Quando ero più giovane, mi dicevo che se un giorno fossi andato a suonare in Giappone, sarebbe stato il segnale che ce l’avrei fatta! E quindi per me è una cosa molto speciale! Poi ci sarà l’Australia, che è sempre fantastica, e sarà la nostra seconda volta, là. E prossimamente partiremo con i Sepultura, che sono i nostri cari amici. Quindi sì, non vediamo l’ora di partire!

Vivendo in Italia ovviamente sono interessata ai vostri show qui. Purtroppo questa volta solo ce n’è solo uno: il 29 gennaio a Brunico. Tu, come italiano, vivi gli show in Italia con qualche sensazione speciale?

Ma certo che sì! L’Italia è come un’altra casa per me. E ho davvero tanti parenti lì da voi. L’Italia è un bellissimo Paese, ricco di cultura, ed io l’amo! Per il metal potrebbe essere meglio: ci sono i locali fantastici, e locali un po’ meno, ahahah, più si va al Sud, peggio è. Purtroppo questo tour europeo è molto lungo per cui non avevamo scelta in merito al fermarci in Italia per più date. A Brunico, praticamente, l’Italia la sfioriamo solo, essendo una città molto al Nord, quasi in Austria. Forse, però, riusciremo a tornare e suonare a Milano e a Roma, come abbiamo fatto l’ultima volta.

 

 

Quali sono i tuoi migliori e peggiori ricordi dell’Italia?

Ricordo uno show a Bologna, credo… era un bellissimo concerto perché i fan quella sera erano fantastici ma non erano in tanti, forse un centinaio. Il catering era però stra-super-buono, quindi abbiamo mangiato da dio, anche se poi non c’era tanta gente e il locale era pure enorme. Preferisco 100 persone in un piccolo locale, così l’atmosfera è più intima. Non mi piacciono i grandi locali. Gli altri show di quel tour, tuttavia, furono davvero belli. L’Italia è così, con “ups and downs”, non è conosciuta come forte mercato di metal. Ma abbiamo tanti fan e credo proprio che lo show di Brunico sarà un successo.

Vorrei chiederti di un episodio recente, in cui hai commentato che all’Hellfest sarà usato il nome “Death” per il 2014. Hai affermato che si tratta di una farsa e un abominio…

Chuck (Schuldiner) era un mio buon amico. So tante storie, da “dietro le quinte”, e so che c’è tanta avidità. So anche che Chuck non approverebbe quello che è successo. Il modo con cui questa storia è stata presentata ha mancato completamente di rispetto verso Chuck. Dicono che i soldi andranno in beneficienza, ma non si sa davvero dove andranno a finire. Se si fa qualcosa per beneficienza, si dovrebbe essere capaci di promuoverlo come si deve e usare i giusti nomi. Quando ero in Europa ho visto nei luoghi degli annunci che si usava il nome “Death” e non il nome del gruppo-tribute. Certo, la gente sa che i Death non ci sono più, ma per il rispetto per quelli che non sono più tra noi questo modo di fare non è giusto. È stato anche usato il logo, che di non è di proprietà della famiglia di Chuck ma di alcuni avvocati. Per me, quindi, Hellfest l’ha rubato, e secondo me la gente non dovrebbe supportare questa cosa. Se fosse successo solo per un concerto con tutti gli ex-membri vivi del gruppo, allora sarebbe stato ok. Ma se si fanno dei tour ovunque raccogliendo soldi, chi sa e chi controlla veramente cosa succede? Questo ovviamente è la mia opinione. Sentivo che dovevo dire qualcosa, e sono contento che l’abbia fatto, così almeno la gente sa cosa succede…

Grazie Maurizio per la tua risposta. Siamo all’ultima domanda. La parola è tua, come vorresti concludere questa chiacchierata, forse con un growl o qualcos’altro?

Ahahah, forse un growl… no, perché dovrei prima aprire la voce per ciò. Vorrei dire a tutti quelli che leggeranno questa intervista che siamo un gruppo umile, siamo qui per i nostri fan e continueremo a fare musica per loro. Speriamo di vederli ai nostri show e di bere una birra insieme.

Grazie davvero, Maurizio. Spero che queste settimane che precedono l’uscita di “Waiting For The End To Come” siano piacevoli nonostante tutte queste interviste, ahahah… e magari vuoi dire qualcosa in italiano, so go ahead…

«Forza Italia, e non mollare mai!».

Intervista a cura di Tarja Virmakari