Vario

Live Report: Hellfest 2017 16-18/06/2017

Di Davide Sciaky - 13 Agosto 2017 - 12:30
Live Report: Hellfest 2017 16-18/06/2017

Hellfest giunge quest’anno alla sua dodicesima edizione sulla scia di un enorme successo che si perpetua anno dopo anno.
Per quest’edizione, addirittura, l’organizzazione del festival francese ha annunciato il sold-out ad ottobre, prima ancora che fosse stato svelato un singolo gruppo!
Il motivo però è evidente, il festival di Clisson ha dimostrato anno dopo anno di essere capace di accogliere le più svariate band, dalle più popolari ed onnipresenti a quelle più underground e difficili da vedere, andando a proporre lineup capaci di accontentare davvero chiunque.
Se a questo si aggiunge un’ottima organizzazione capace di gestire le decine di migliaia di persone presenti evitando problemi, tanti banchetti che vendono musica, magliette e quant’altro, cibo di ogni tipo a volontà, bagni sempre puliti la ricetta è perfetta per avere 3 giorni da sogno per qualunque metallaro.
I ben sei palchi dell’Hellfest sono posizionati ad una piccola distanza l’uno dall’altro, permettendo così spostamenti facili concerto dopo concerto, e i suoni sono gestiti con abilità permettendo un’ottima qualità audio di tutti gli show.

L’unico “problema” che si può riscontrare nel festival è, per assurdo, l’eccessiva offerta di band e l’obbligo, quindi, di dover scegliere tra gruppi imperdibili che suonano in contemporanea: ci si ritroverà quindi a dover scegliere tra Aerosmith e Wardruna/Opeth, tra Hawkwind e Coroner, tra Behemoth e Baroness e via dicendo.

Report a cura di Davide Sciaky

Myrath

Il nostro primo giorno inizia al secondo Main Stage con i Myrath, gruppo Progressive tunisino, che negli ultimi anni sta mietendo consensi con la loro solida proposta a tinte orientaleggianti.
La band si fa strada sul palco passando attraverso la scenografia, una sorta di portone che sembra uscito dalle Mille e Una Notte, accompagnati da una ballerina che danza per tutta la durata dello show.
La danza della ragazza attira subito gli sguardi di tutti i presenti ma, come inizia la musica, l’attenzione torna subito sui musicisti.
La breve esibizione si concentra sui pezzi dell’ultimo album, Legacy, che convince velocemente il pubblico affamato di musica; in breve l’abilissimo cantante Zaher Zorgati spinge chi si trova sotto al palco a saltare, ad applaudire a tempo e a cantare.
L’esibizione è potente ed in particolare il già nominato Zorgati dimostra di essere un frontman capace e dalla grande potenza vocale (non per nulla è stato chiamato a cantare sull’ultimo album degli Ayreon).
Non possiamo che dirci soddisfatti da questo inizio di festival.

Animals As Leaders

Dopo una pausa ci spostiamo sul primo Main Stage dove stanno per iniziare i tecnicissimi Animals As Leaders.
L’esibizione dei tre americani è un trionfo di tecnica, in particolare Abasi si lancia in spericolate acrobazie sulla chitarra facendole sembrare un gioco da ragazzi.
Il pubblico osserva in silenzio, non è musica su cui ci si può aspettare un pogo scatenato, ma applaudendo entusiasta alla fine dei pezzi.
La scaletta si concentra sull’ultimo album da cui sono suonati quattro pezzi, ma pesca a piene mani anche da quello precedente, The Joy of Motion, da cui sono suonati tre pezzi; il concerto è aperto poi da “Tempting Time” e chiuso da “CAFO”, entrambe dell’album di debutto e, se mancano pezzi dal secondo album della band è sicuramente solo per mancanza di tempo.
Sulla faccia dei musicisti, al loro primo show a Clisson, è dipinta una grande soddisfazione e gioia per essere presenti, e i fan sotto al palco apprezzano chiaramente la performance.

 

Avatar

Gli Avatar sono, per chi scrive, sicuramente una delle sorprese più gradite del festival.
Arrivando davanti al primo Main Stage a digiuno degli svedesi troviamo una band carica, carichissima, capace di coinvolgere rapidamente tutti i presenti con la loro musica potente e schizofrenica.
Il cantante, Johannes Eckerström, arriva sul palco con abito di scena, bastone e un trucco a metà tra il Corvo e Joker e comincia da subito ad esibire un’espressione folle, occhi spalancati e lingua di fuori, mentre salta su e giù incitando la folla.
Il concerto si apre con “Hail the Apocalypse” e già dal primo “All flash is equal when burnt” il pubblico è conquistato; la band è compattissima e i costumi uguali per tutti, tranne che per il cantante, aggiungono un bel effetto visivo.
La setlist è un equo mix di pezzi provenienti dai tre album pubblicati dalla band sapientemente alternati; dopo l’opener, quindi, si continua con la più vecchia “Paint Me Red” e più si torna all’ultimo album con “New Land”.
Eckerström alterna un valido growl e una voce pulita che danno un tono schizzato alle canzoni; questo si nota più che mai su “Smells Like a Freakshow” che chiude il concerto tra le acclamazioni del pubblico.

Devin Townsend Project

Devin Townsend non ha bisogno di presentazioni, ed infatti già da prima dell’inizio del concerto si raduna un grossa folla sotto al primo Main Stage.
La sterminata discografia del Devin non può che essere appena sfiorata nel breve tempo a disposizione della band: ovviamente viene dato uno spazio maggiore al nuovo album, Trascendence, con i pezzi “Failure”, “Higher” e “Stormbending”, mentre le altre 5 canzoni suonate sono estratte tutte da album diversi.
Si succedono infatti classici come l’epica “Deadhead”, una “March of the Poozers” che ci catapulta nel mondo di Ziltoid e “Kingdom” che esaltano il pubblico anche grazie all’incredibile voce del canadese.
La band si esibisce come sempre in una prova eccellente e Townsend si lascia andare a molte battute che divertono il pubblico, qualcosa di familiare a chi l’ha già visto; insomma, l’unico difetto del concerto è che è durato troppo poco.

 

Behemoth

Il concerto dei Behemoth si apre con la coreografia a cui ci hanno abituato i polacchi negli ultimi anni, familiare a chi li ha già visti ma non per questo meno esaltante.
All’inizio del concerto Inferno si posiziona dietro le pelli, Orion e Seth ai lati della batteria ed entra poi Nergal reggendo due torce in fiamme, si posiziona al centro del palco dando le spalle al pubblico, stende le braccia lateralmente una torcia per mano e, quando arriva il momento, le lascia cadere e colpisce la chitarra dando inizio a “Blow Your Trumpets Gabriel”.
In questo concerto i polacchi regalano al pubblico un esecuzione completa dello stupendo ultimo disco, The Satanist, e quindi seguono in ordine “Furor Divinus”, “Messe Noire” ed il resto dell’album.
La prestazione è solidissima, Nergal quando non canta continua a muoversi da un’estremità all’altra del palco ad incitare il pubblico, gli altri musicisti anche si scambiano di posizione frequentemente dando un buon dinamismo all’esecuzione.
Il pubblico risponde con entusiasmo sia cantando che muovendosi quanto ci si aspetterebbe ad un concerto del genere.
Dopo “O Father O Satan O Sun!”, come da tradizione suonata da una band che sul finale indossa le maschere disegnate per l’esecuzione, i Behemoth continuano con due classici, “Ov Fire and the Void” e “Chant for Eschaton 2000” che concludono degnamente una grande performance.

Deep Purple

Quando i Deep Purple salgono sul palco è un’enorme folla quella che li aspetta; non c’è da stupirsene, dopotutto gli inglesi sono uno dei gruppi più importanti ed influenti del Rock, e il nome del tour “The Long Goodbye” ha convinto molti che questa sarà l’ultima occasione di vedere la band.
Il concerto si apre con la nuova “Time for Bedlam” che riscalda sufficientemente il pubblico, ma è con i due seguenti classici “Fireball” e “Bloodsucker” che il clima si fa davvero caldo.
Il concerto prosegue con una buona alternanza di pezzi vecchi e nuovi, non viene dimenticato neanche il penultimo album (come invece succede per molte band storiche che, dopo il tour promozionale, abbandonano rapidamente i pezzi nuovi per suonare solo i classici insieme alle canzoni dell’ultimo album) rappresentato da “Uncommon Man” e “Hell to Pay”.
Proprio dopo quest’ultima canzone Don Airey si lancia in un gustoso assolo di tastiera, molto piacevole, ma non sarebbe stato meglio sostituirlo con una canzone vera in più?
Mentre ci poniamo questa domanda l’assolo finisce e la band spazza via ogni perplessità con una sequela di classici suonati con grande eleganza, “Perfect Strangers” viene seguita da “Space Truckin’” e, come prevedibile, all’arrivo di “Smoke on the Water” abbiamo la più grande esplosione di entusiasmo dal pubblico.
Dopo una breve ritirata dietro le quinte, poi, la band ritorna e conclude il concerto con “Hush” e “Black Night” con le quali gli inglesi si portano a casa il pubblico.
Il primo headliner di questo Hellfest ci ha decisamente convinto, i Deep Purple sono leggende non per caso, e l’unico peccato è che l’assolo di tastiera avrebbe potuto venir sostituito da una canzone vera e propria (anche se forse questo momento era necessario per far riposare l’ugola di Ian Gillan).

Alestorm

La nostra prima giornata di festival si conclude nel palco Temple con i pirati Alestorm.
I britannici (ormai di scozzese è rimasto solo il frontman Christopher Bowes) si sono conquistati anno dopo anno la fama di una band imperdibile dal vivo e questo è evidente dalla folla radunatasi sotto al palco che rende difficile anche solo avvicinarsi al Temple.
La band parte con “Keelhauled” e continua con la nuova “Alestorm”; già dall’inizio il pubblico dimostra di essere completamente in mano agli Alestorm che, con indubbia abilità, ammaestrano i fan facendoli saltare e cantare.
E’ però dalla terza canzone, “Shipwrecked”, che ci riporta sui vecchi album che il pubblico dà il meglio di sé e, nell’arco dei successivi minuti si vedono una quantità esagerata di persone fare crowdsurfing.
Con il classico “Nancy the Tavern Wench” il pubblico si sgola, probabilmente molti perdono la voce già qui, ma anche con le successive “Mexico” e “Fucked with and Anchor” vediamo un’ottima partecipazione.
Proprio quest’ultima, esilarante, canzone è introdotta da Bowes  che, parole sue, vuole insegnare al pubblico ad imprecare ed, infatti, porta la folla ad urlare a tempo un’alternanza di “Fuck”, “Cunt” e “Wank” prima di iniziare il brano.
Sempre sullo stesso tono il concerto prosegue tra canzoni più o meno recenti che, nessuna esclusa, provocano sempre rumorosi sing-along del pubblico; con “Wenches & Mead”, classico tratto dal primo album, concludiamo la divertentissima performance e la prima giornata di festival.