Live Report – Testament a Gualtieri (RE)

Di Giacomo Cerutti - 24 Marzo 2013 - 10:04
Live Report – Testament a Gualtieri (RE)

LIVE REPORT – TESTAMENT + DEW-SCENTED + BLEED FROM WITHIN
Tempo Rock – Gualtieri (RE) 17/03/2013

Report a cura di Giacomo Cerutti

 

Stasera ci troviamo al Tempo Rock di Gualtieri che ha l’onore di ospitare, una delle più grandi band thrash metal della Bay Area, stiamo parlando dei formidabili TESTAMENT, fondati a Berkeley nel 1983 dal chitarrista Eric Peterson, inizialmente con il nome di Legacy. La loro carriera è stata ostacolata da molteplici cambi di line up, il declino del genere thrash negli anni ’90 e soprattutto dalla lotta contro il tumore di Chuck Billy; ma senza arrendersi hanno scritto pagine del testamento del thrash Bay Area di cui l’ultima “Dark Roots of Earth” pubblicata l’anno scorso.
È una giornata fredda, ma i fan irriducibili sono arrivati già in mattinata e la loro costanza è stata premiata dall’incontro con la band relativamente presto, inoltre il buon Chuck ha spontaneamente regalato ad alcuni di loro del merchandise ufficiale.

 

Gli opener della serata sono i BLEED FROM WITHIN, nati nel 2005 a Glasgow con all’attivo un paio di EP e tre full-length, hanno suonato con i The Black Dahlia Murder, I Killed The Prom Queen e Suffocation. Forti della terza fatica, “Uprising”, pubblicato quest’anno, entrano in scena sulle note dell’omonima title track, dimostrandosi estremamente grintosi. Propongono una combinazione di death metal melodico e metalcore, dato soprattutto dai riff di Craig ‘Goonzi’ Gowans e Martyn Evans molto solidi e ben strutturati, miscelati con soli che attribuiscono melodia e velocità. Davie Provan fa da amalgama tra melodia e pesantezza con dure linee di basso, mentre Ali Richardson, motore della band tormenta piatti e pelli. Senza dubbio la figura di spicco è il vocalist Scott Kennedy: le sue urla sguaiate tengono fede al metalcore più diretto, inoltre, grazie alla sua interazione, si rivela un ottimo frontman. Scavalcando più volte la transenna che delimita lo stage, pone il microfono al pubblico incitando i consueti cori “Hey, hey, hey,…” arrivando addirittura a saltare in mezzo alla folla. Nonostante i suoi sforzi il pubblico non è molto entusiasta, le spintonate sono limitate e i cinque scozzesi ricevono giusto un tiepido applauso alla fine di ogni brano. Sicuramente inserire una band di questo genere che richiama un audience specifico, non è molto pertinente in un concerto thrash, ma anche se non hanno ottenuto un buon riscontro, resta il fatto che durante la performance hanno dato il massimo e per questo sono degni di nota.

Setlist:

Uprising
Last of Our Kind
The Novelist
Oblivion
Legacy
It Lives In Me

 

Con l’arrivo sul palco dei DEW-SCENTED la situazione si appesantisce. In attività dal ’92 hanno suonato con band del calibro di Cannibal Corpse, Cryptopsy, Grave, Kreator, Destruction, Nile e preso parte a festival quali “The No Mercy festival” e “X-Mass Festival”. In questo tour promuovono il nono album “Icarus” pubblicato l’anno scorso. Aprendo con “Sword Of Obey” offrono subito un assaggio del loro death/thrash metal: dalle chitarre di Rory Hansen e Marvin Vriesde fuoriescono ritmiche velocissime ed assoli furenti, Koen Herfst viaggia sul doppio pedale come un forsennato mentre pesta piatti e pelli a ritmi frenetici, le mani di Joost van der Graaf slittano sul basso consolidando il sound ed infine Leif Jensen si impone con un growl spietato. Da subito la folla si risveglia dal torpore iniziando a pogare, tanto che in transenna si comincia a sentire una consistente pressione. Inoltre i primi scalmanati cominciano a farsi trasportare sulla folla, mentre la band esegue un pezzo dopo l’altro in continuo headbanging. Avevo già visto i Dew-Scented di supporto ai Nile e devo confessare che non me li ricordavo così aggressivi, davvero una performance di forte impatto, mirata a far scatenare la platea, traguardo raggiunto con facilità dai cinque tedeschi che si ritirano coperti di applausi.

Setlist:

Sword Of Obey
Turn At Ash
Soul Poison
Cities of the Dead
That’s Why I Despise You
Storm Within
Never To Return
Thrown to the Lions
New Foud Pain
Acts of Rage

 

Chuck Billy – Vocals
Eric Peterson – Guitar
Alex Skolnick – Guitar
Greg Christian – Bass
Gene Hoglan – Drums

Dopo il cambio palco l’attesa sembra infinita ma siamo giunti al momento tanto atteso, nella platea ormai strapiena la tensione sale e si sentono i primi cori d’incitamento per i veri protagonisti della serata. I fan delle prime file urlano nel vedere le sagome dei componenti uscire dai camerini e finalmente parte l’intro, le luci si abbassano e i TESTAMENT prendono posizione. Al saluto di Chuck Billy dalla folla si alza un boato e, senza indugi, attaccano con la prima canzone, “Rise Up”. Si scatena il delirio, quelle che prima erano spintonate diventano degli spostamenti di massa, la pressione nelle prime file aumenta di parecchie atmosfere. Questo è quello che succede quando ci si scontra con un tale muro di suono… In primo piano Eric Peterson e Alex Skolnick, torturano le sei corde con riff possenti e soli terrificanti, che vengono cementati da Greg Christian al basso. Dall’alto lo statuario Gene Hoglan pesta sulle pelli con una potenza disumana facendo tremare le grancasse, dimostrandosi molto più di un ottimo sostituto di Paul Bostaph (costretto a lasciare la band nel 2011 a causa di un grave infortunio). Infine il colossale frontman Chuck Billy, in perfetta forma, ha una voce a dir poco bestiale, passa dal timbro pulito al growl con gran facilità e le sue urla profondamente gutturali entrano nelle viscere. Del nuovo album “Dark Roots of Earth” eseguono solo quattro pezzi tra cui “Native Blood”, per poi lasciare spazio ai classici tipo “Burnt Offerings”, “Practice What You Preach”, e “D.N.R. (Do Not Resuscitate)”. Ogni canzone è un pugno nello stomaco, ma l’apice si raggiunge con “Into the Pit” e “Over the Wall”, vere e proprie bombe atomiche durante le quali, nelle prime file sembra di stare sotto una pressa. Si perde il conto delle persone trasportate dal crowd surfing, mentre la security corre senza sosta come durante una staffetta. Chuck è anche molto coinvolgente: incita a battere le mani a tempo e non perde occasione per lanciare qualche plettro. Durante “Three Days in Darkness” varca la soglia del palco, imponendosi alla prima fila con tutta la sua stazza, per far cantare il ritornello. Sicuramente il pubblico, oltre che dalle labbra di Chuck, pende dalle corde di Alex, che trascorre la maggior parte del concerto nella sua posa classica mitragliandoli di assoli. Infine, con “The Formation of Damnation” terminano un concerto distruttivo eseguito alla perfezione. Ho avuto occasione di vederli nei festival, ma assolutamente non c’è paragone nel vederli headliner in un ambiente più “familiare”. Sembrano quasi raddoppiare la propria potenza distruttiva. I Testament sono una garanzia, non c’è che dire. Sangue, sudore, ossa che scricchiolano sulla transenna, questo è quello che c’è scritto sul “Testamento” e la sua volontà è stata rispettata. Peccato solo per l’audio che non è stato dei migliori dato che le chitarre fischiavano sovente e il più delle volte finivano per sovrastare la voce, ma questo è l’unico rammarico in una serata davvero all’altezza delle aspettative.

Setlist:

Intro
Rise Up
More Than Meets the Eye
Burnt Offerings
Native Blood
True American Hate
Dark Roots of Earth
Into the Pit
Practice What You Preach
Riding the Snake
Eyes of Wrath
Over the Wall
The Haunting
The New Order
D.N.R. (Do Not Resuscitate)
Three Days in Darkness
The Formation of Damnation