Heavy

Negacy (Andrea Giribaldi)

Di Marco Donè - 9 Gennaio 2016 - 13:00
Negacy (Andrea Giribaldi)

Abbiamo da poco recensito “Flames Of Black Fire”, debutto sulla lunga distanza per gli italiani Negacy. Il disco si è rivelato uno dei lavori più interessanti del 2015, e il quintetto sardo, uno dei gruppi migliori usciti dal territorio nazionale in questi ultimi anni. E’ stato quindi naturale contattare Andrea Giribaldi – chitarrista della band  – per saperne qualcosa in più.
 

Le sorprese non sono mancate…

 

Intervista a cura di Marco Donè

 

Ciao, Andrea. Sono Marco, benvenuto su TrueMetal.it. Come va?

 

Ciao Marco, qui Andrea, grazie per l’intervista, Qui va tutto bene, siamo particolarmente immersi tra lavoro e band ultimamente. Penso ci saranno news a breve, speriamo prima possibile.

 

L’anno appena passato è stato molto importante per voi. E’ uscito il vostro disco di debutto intitolato “Flames Of Black Fire”. Prima di parlare dell’album, però, inizierei col farti una domanda sul vostro nome. Avete iniziato come Red Warlock e, dopo un’evoluzione stilistica, avete optato per Negacy. Che significato ha per voi e qual è stato il percorso che vi ha portato alla scelta di tale moniker?

 

Abbiamo iniziato nel 2005 sotto il nome Red Warlock, ma poi ci siamo accorti che non rispecchiava appieno quello che volevamo comunicare, così abbiamo deciso di optare per qualcosa di più personale, diretto e che calzasse meglio con le nostre tematiche e stile. Negacy è una contrazione delle parole “Negation” (Negazione) e “Legacy” (Eredità), un’eredità negata insomma, un’umanità che più si va avanti più sparisce, concetto che molto spesso è alla base di molte nostre tematiche.

 

 

Come già sottolineato in sede di recensione, nella vostra proposta i testi rivestono un ruolo importante. Ti va di parlarcene?

 

I testi sono qualcosa che va di pari passo con la musica, la musica accompagna il loro significato e viceversa, è molto importante che siano compatibili e coerenti l’un l’altro. Prestiamo molta attenzione al significato, alla struttura e alla bellezza estetica dei testi, se un testo non è efficace al 100% allora anche la musica ne risente. Solitamente è Marco (Piu, cantante) che si occupa delle tematiche e delle liriche, lui scrive quello che sente dentro ispirandosi alla musica che facciamo, raramente è successo il contrario.

 

Nei vostri testi, ho notato un filo conduttore, una tematica di fondo. Può esser corretto considerare “Flames Of Black Fire” come una sorta di concept album?

 

I testi sono tutti incentrati sull’uomo e sui suoi difetti e sentimenti, se noti questo è presente in ogni singolo brano, tuttavia non definirei l’album come un concept, non c’è un ordine cronologico preciso di avvenimenti nella tracklist o un criterio con cui i brani sono stati disposti a seconda del significato. Abbiamo scelto l’ordine dei brani principalmente in base al tipo di struttura musicale in modo da far sì che il disco risultasse scorrevole.

 

Flames Of Black Fire” colpisce già a partire dalla copertina, anche se, guardandola, ci si aspetterebbe un album power oriented. La vostra proposta, invece, va in un’altra direzione. E’ stata una scelta voluta? E com’è nata l’idea della copertina e chi si è occupato della sua realizzazione?

 

Inizialmente il disco era stato messo su internet in streaming gratuito e la copertina era differente, molto scura, introspettiva ma, col senno di poi, non esattamente “bella”. Questa volta abbiamo optato per qualcosa che fosse bello da vedere, che avesse un buon impatto visivo e che fosse inerente a ciò che esprimiamo. Il disegno è stato realizzato da Stanis Decker, bravissimo artista che ha fatto un ottimo lavoro, che purtroppo abbiamo reso secondo me troppo scuro in fase di stampa.

 

 

La vostra proposta è molto articolata. Ti va di raccontarci quali sono le vostre influenze e come funziona il processo di songwriting?

 

Le nostre influenze sono varie, ti direi che alla base ci sono i classici del Metal, come Iron Maiden, Black Sabbath, Metallica e tutti gli altri che puoi immaginare. Lo scopo che i Negacy (sin dall’epoca dei Red Warlock) han sempre voluto fare è Heavy Metal puro con influenze più moderne, ma sempre Heavy Metal. Il songwriting solitamente parte da un singolo riff, che viene poi sviluppato gradualmente creando nuovi elementi sino a trovare la giusta formula. A volte questo richiede poco, a volte addirittura mesi, ma finché non siamo soddisfatti al 100% non smettiamo di lavorarci.

 

Ascoltando il disco, una delle prime componenti in grado di attirare l’attenzione dell’ascoltatore, è sicuramente una perizia tecnica invidiabile. Quanto tempo dedicate all’esercizio e allo studio del vostro strumento?

 

Ti ringrazio. Per quanto mi riguarda è un periodo in cui non dedico molto tempo allo strumento, un po’ per mancanza di tempo, un po’ per mancanza di stimoli. Tutti noi abbiamo dedicato molto tempo allo studio quando eravamo più giovani, e questo ci consente di rimetterci tecnicamente “in forma” entro breve in caso di live o registrazioni.

 

Un’altra componente caratterizzante di “Flames Of Black Fire” è una produzione estremamente curata e potente. Quanto è stato importante, per voi, poter lavorare nei tuoi Red Warlock Studio?

 

Ti ringrazio di nuovo. Mi sono sempre occupato della produzione dei Negacy per vari motivi. In primo luogo perché lo so fare, perché mi piace, e poi perché siamo estremamente pignoli per quanto riguarda il suono e i dettagli di ogni brano. Produrre un album in uno studio che possa dare la stessa qualità sarebbe estremamente dispendioso e insensato.

 

Siete originari della Sardegna. Se non erro, ora vi siete trasferiti. Qual è stato il percorso che vi ha portato a tale decisione?

 

In Italia non c’è futuro, in Sardegna pure peggio. Il motivo principale per cui ci siamo spostati è perché tutti noi eravamo in una brutta situazione lavorativa, alcuni senza lavoro, altri con un lavoro precario o con un datore di lavoro che non li pagava. Io sono stato il primo a muovermi, poi anche Marco e Gianni (Corazza, chitarra) si sono spostati, mentre Claudio (Secchi, batteria) e Tony (Rassu, basso) sono rimasti in Sardegna.
Oltre a questo abbiamo pensato che anche la nostra musica ne avrebbe giovato, e infatti stiamo già vedendo le differenze.

 

Domanda che forse può farti fare un sorriso, ma quali sono le differenze tra la realtà inglese e quella italiana?

 

La differenza è una sola: qui in UK le cose funzionano molto meglio. Se hai problemi con le tasse o con qualunque altra cosa basta una telefonata o addirittura una mail e il problema è risolto in pochi giorni, e a lavoro ti pagano in orario. Questa è l’esperienza che abbiamo avuto noi. Per quanto riguarda la musica, qui c’è un numero di musicisti e di possibilità infinito, se sei capace di guardarti intorno nel modo giusto puoi trovare quello che cerchi, e oltretutto sei in un punto nevralgico per muoverti agevolmente per suonare in molti posti in Europa e oltre.

 

La Sardegna ha sempre esportato ottime band. Mi vengono in mente, ad esempio, gli Holy Martyr o i defunti Verbo Nero. Come sono i vostri legami con le altre metal band sarde? Vi è collaborazione tra di voi?

 

Onestamente siamo sempre stati per conto nostro, non ci è mai interessato instaurare rapporti con altre band, semplicemente perché non ci interessa e non ne vedevamo il motivo. Questo non vuol dire che non supportiamo e apprezziamo chi lo merita. Conosciamo personalmente un sacco di musicisti della zona e quando ci si ritrova, si chiacchiera e si va d’accordo, ma collaborare dal punto di vista musicale è una cosa diversa, è come un lavoro, che va separato dall’amicizia e dai rapporti personali.

 

 

E adesso, quali i progetti futuri in casa Negacy?

 

Stiamo lavorando al prossimo album, 10 tracce inedite. Ti posso anticipare che i nuovi pezzi saranno più melodici dei precedenti e allo stesso tempo avranno più impeto rispetto a quelli di “Flames of Black Fire”. La batteria è già stata registrata da Raphael Saini (ex-Iced Earth, ex-One Machine, Cripple Bastards, etc.) che ha fatto uno straordinario lavoro di batteria e si è rivelata una grande persona. Al momento stiamo iniziando le registrazioni delle chitarre, per poi proseguire con basso (con il nuovo bassista Adrian Serrano), voce e infine mixaggio e mastering. Penso che riusciremo a dare una preview verso Aprile-Maggio.
Oltre a questo ci saranno news per quanto riguarda il fronte live molto presto.

 

Ma, aspetta, mi stai dando un’autentica news. Ci sono cambi di lineup? Ti va di raccontarci cos’è successo?

Beh, come dicevo, lo spostamento in Inghilterra ha un po’ decimato la line-up. Solo Io, Gianni Corazza (chitarra) e Marco Piu (voce) siamo venuti a vivere qui. Tony Rassu (basso) e Claudio Sechi (batteria), sono ancora in Italia.
Abbiamo trovato già il nuovo bassista, Adrian Serrano, un ragazzo spagnolo che ha dimostrato di essere una grande persona in perfetta sintonia con noi, oltre che un ottimo bassista.
Per quanto riguarda il batterista siamo molto esigenti, quindi siamo ancora alla ricerca di quello giusto.

 

Siamo giunti alla fine, Andrea, ringraziandoti per la disponibilità, lascio a te le ultime parole.

 

Ti ringrazio moltissimo per l’intervista a nome di tutta la band, faremo il possibile per tornare sulle vostre pagine molto presto.
Ciao.

 

Marco Donè