Recensione libro: Slayer – A Sud del Paradiso

Di Stefano Ricetti - 13 Maggio 2014 - 0:10
Recensione libro: Slayer – A Sud del Paradiso

A SUD DEL PARADISO
CANZONI, TESTI E MUSICA DEGLI
SLAYER

di Stefano Cerati

256 pagine
Tsunami Edizioni
http://www.tsunamiedizioni.com/

 

Le prime pagine di A Sud del Paradiso contengono una fra le più lucide analisi che mi sia capitato di leggere riguardo quell’uragano musicale chiamato Slayer, che qui di seguito riporto pari pari. 

Nel 1970 era la band di Tony Iommi ad essere il punto di riferimento della musica più dura sulla terra, con l’album omonimo e Paranoid, così come poi lo sono diventati nella seconda metà degli anni’70 i Judas Priest. Questi, con l’uso della doppia chitarra avevano ulteriormente ispessito il suono heavy metal ed avevano posto anche degli standard per quanto riguarda l’immagine, grazie a vestiti fatti di borchie, spuntoni, pelle e cuoio in abbondanza. I Venom ad inizio anni ’80  fanno ancora un passo in avanti con un cantato che è un rantolo infernale e con tematiche che giocano con Satana in modo pazzesco e quasi caricaturale. Ed infine, a metà anni ’80, gli Slayer spingono ancora di più sull’acceleratore esasperando le caratteristiche di tutti i gruppi che li hanno preceduti. Sono cupi come i Black Sabbath, hanno la pienezza e la pesantezza dei riff dei Judas Priest e la violenza lirica e vocale dei Venom, ma in più suonano alla velocità della luce mischiando l’heavy metal con l’hardcore. Loro sono il limite ultimo del metal inteso come musica. Sono la band spartiacque tra ciò che è ancora musica strutturata cori armonie e melodie, pur perverse e sgraziate che siano, e tutto ciò che è venuto dopo. Sì, perché gli Slayer compongono ancora canzoni con strofe e ritornelli e li cantano. I movimenti estremi successivi, il death, il black ed il grind, non sarebbero in realtà mai esistiti senza il contributo degli Slayer. Ma quei sottogeneri musicali sono ormai nemici della melodia, la disintegrano, la polverizzano o la distorcono per creare qualcosa che è oltre alla musica, oltre all’heavy metal. Per quanto riguarda l’heavy, per così dire, “tradizionale”, non ci può essere niente di più estremo degli Slayer”.

In poche righe l’autore fotografa in maniera estremamente realistica la collocazione del combo californiano all’interno dell’epopea dell’acciaio fatto musica. Sono parole che sgorgano da un connubio di conoscenza e venerazione per la band, dal momento che Cerati s’è sparato gli Slayer live ben trentun volte in ventisei anni e li ha intervistati di persona in svariate occasioni. Uno che quindi possiede la titolarità per poter redigere un libro di più di 250 pagine incentrato sulle canzoni e i testi della band autrice, fra le altre cose, di qual capolavoro assoluto dell’estremo che  unanimemente viene riconosciuto fra i solchi di Reign in Blood, del 1986. L’HM non ammette finzione, i libercoli usciti in passato con moniker altisonanti in copertina per poi scoprire, in realtà, dopo poche pagine che “sotto il vestito non c’era niente” hanno fatto la fine che meritavano, screditandone gli autori e le case editrici.

Cerati parla di vissuto vero e può permettersi certe dissertazioni, sì personali e quindi opinabilissime ma raccolte di prima mano. La differenza fra le truffe e i libri tutto lacrime, sangue, sonno perso e mazzo tanto per realizzarli sta tutta qua.

Il volume si sviluppa su di una disamina che definire horror-occultista pare davvero riduttivo, lunga 256 pagine, suddivise, tranne che per quelli finali, in capitoli che si rifanno ai vari album degli Slayer. Le foto, tutte in bianco e nero, riguardano solamente le copertine dei dischi; niente fronzoli, quindi, estremamente in linea con il robusto e diretto messaggio musicale del combo Usa, da sempre. Gli album vengono presentati da Cerati come se si trattasse di una recensione a tutto tondo, mentre i pezzi vengono vivisezionati – mai come in questo caso il verbo utilizzato è strettamente correlato con il soggetto principale – e tradotti dall’inglese all’italiano riga per riga, poi ampiamente commentati dallo stesso autore tanto che, per chi  volesse approfondire una certa tipologia di frasario yankee tipico della musica dura over the top, troverebbe davvero di che sbizzarrirsi.

A Sud del Paradiso si chiude con una pagina dedicata alla scomparsa del chitarrista Jeff Hanneman, classe 1964, avvenuta in zona Cesarini proprio nei giorni nei quali si stavano avviando le operazioni di chiusura del libro. L’autore si congeda con una frase che suona come un epitaffio: “… so già che senza Jeff, ma anche senza Dave Lombardo – storico batterista fuoriuscito dalla band non proprio in maniera amichevole all’inizio dell’anno scorso, ndr -, non saranno i soliti Slayer”. 

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti