Report: Paul Di Anno – Carignano (TO)

Di Keledan - 8 Luglio 2002 - 12:28
Report: Paul Di Anno – Carignano (TO)

Report di Vincenzo Santoleri.
Circa Paul Di’ Anno si è detto e scritto molto; l’era Maiden, l’allontanamento, i presunti eccessi, la carriera solista. Scoprirne la presenza a Carignano (15′ da casa mia!!!) con i Killers ha generato in me la curiosità di vedere di persona colui che è considerato uno dei più grandi “losers” del metal e di ascoltare dal vivo i classici degli “Iron” proposti dalla voce originaria.

Carignano (TO)
16 giugno ’02

PAUL DI ANNO AND KILLERS
SPECIAL GUEST: Brocken Arrow, Pro-creation, Anthenora, Mesmerize,

Da buon fanatico mi presento alle 18:00 presso l’area concerto, un campo da calcio dismesso con palco a lato; ad accogliermi le note di “Wratchild”, infatti i Killers stanno facendo il soundcheck. La sensazione è quella di un vero e proprio Maiden-day con tanto di collezionisti intenti a reperire materiale di ogni genere, compresi eccezionali video rarità che saranno proiettati in serata.
La mia attenzione si focalizza su un tipo “grassottello” con cappellino all’americana intento a bighellonare per il prato con andatura caracollante; perplesso, interrogo un paio di ragazzi circa l’identità del soggetto in questione e scopro trattarsi proprio del leggendario Di’ Anno… La Rete è stracolma di descrizioni e fotografie testimonianti la sua trasformazione, tuttavia vedere di persona gli effetti della metamorfosi suscita un certo effetto.
Chiamato per la prova-voce, sale sul palco, urla un gorgheggiante “one-two” e se ne va fra le risate dei roadies; spende ancora qualche minuto con alcuni fans per poi dileguarsi fino a tarda sera.
Verso le 20:00 i Brocken Arrow aprono le danze. Alla chitarra riconosco Nick B.B. Savio dei White Skull (a meno che non si tratti di un sosia…) e subito mi illumino! La sua Gibson romba che è un piacere e le cover proposte (“Perry Mason” e “Headless Cross”) sono davvero incisive; peccato per la brevità della prestazione (solo quattro pezzi).
Irrompono a ruota i Pro-Creation che, nonostante si diano un gran da fare, proprio non si intonano con l’ambiente, dal momento che propongono un “new metal” decisamente controcorrente per l’occasione.

E’ la volta degli Anthenora che omaggiano Harris & co. con una serie fantastica di cover; una band rodata e capace, in grado di coinvolgere il pubblico con simpatia. A voler essere pignoli si potrebbero ravvisare imperfezioni negli assoli e si potrebbe anche dire che “The Trooper”, suonata un tono più bassa, non rende come l’originale, ma queste cose lasciamole ai precisini di turno e noi pensiamo a goderci l’evento! Altro complimento lo merita il bassista che suona anche con i Brocken Arrow e che insieme al già citato Savio si dimostra una vera bestia da palco.

Bravi anche i Mesmerize con un onesto Heavy power sostenuto da un vocalist di scuola Kiske, Kotipelto. Il look non è dei più tradizionali, infatti, ad eccezione della chitarra solista, sembrano i classici “quattro bravi ragazzi”; naturalmente è la musica che conta, ma forse un pizzico in più di “oltraggiosità” non guasterebbe all’immagine del gruppo.
Intorno alle 23:00 ricompare Di Anno che, con cicca fumante e occhio pallato, raggiunge il backstage a bordo di un modesto pulmino (grande!!). Tocca ai Killers!! Con la semplicità e l’umiltà dei veri professionisti, prima sistemano la strumentazione e, dopo il classico problema con la batteria, prendono possesso del palco. Nessuna presentazione o effetto particolare per Paul Di Anno che li segue con aria quasi timida e impacciata. Davanti ai miei occhi vedo ben poco del ragazzo che diede l’input al fenomeno “Iron Maiden”: testa calva, corpo glabro, contornato di tatuaggi, pochi i denti rimasti, indossa una maglietta nera testimoniante il passaggio a San Paolo in Brasile e un paio di pantaloni marroni larghissimi (modello no-global), almeno 30-40 kg in più rispetto a 20 anni fa; direi che il paragone con “Mastro Lindo”, avanzato da alcuni, calza a pennello. Unico elemento invariato è l’espressione da ragazzino monello!

Il concerto si basa naturalmente sugli storici brani di “Iron Maiden” e “Killers” ad eccezione di “Marshall lokjaw” e poco altro. Dunque l’apertura è affidata a “Prowler”, seguono “Sanctuary”, “Wratchild”, “Phantom”, “Murders” e così via, secondo un copione ormai consolidato e noto ai più. La sorpresa della serata, per stessa ammissione di “Paolino” (nomignolo affibbiatogli affettuosamente dal pubblico presente) è “Strange world” che pare sia assente dalla scaletta live da tempo; la song si dimostra eccezionale, non tanto per l’esecuzione in sé, quanto piuttosto per il turbinio di emozioni e ricordi che smuove, al punto che lo stesso Di Anno appare visibilmente commosso. “Iron Maiden” non viene eseguita e questo non me lo spiego; essendo la giornata una celebrazione della “Vergine di Ferro”, questa mancanza è davvero paradossale.
Il comportamento del singer è ambiguo: cerca da una parte di coinvolgere un pubblico che, oltre ad essere scarso numericamente, risulta anche piuttosto tiepido, ma dall’altra non perde occasione per denigrare la propria attività che, a suo dire, detesta; afferma addirittura di voler finire il tour al più presto perché “stufo di cantare questa merda”(sue parole). Gli scatch a cui dà vita sono simpatici, pur rasentando a volte il tragicomico. C’è tempo per dare bonariamente del “motherfucker” al batterista (Pete Newdecl) e al bassista (Darayus Kaye); con quest’ultimo la scena più comica, quando Paul, stanco di averlo costantemente al suo fianco, gli chiede con quella faccia stralunata:” What fuckin’ are you doing??”. Molti gli scambi di battute anche coi fans, tuttavia, circa a metà dello show, il “monello” comincia a dare segni di insofferenza e noia che lo portano all’abbandono della scena insieme alla band; a giudicare dall’agitazione nel backstage non intende rientrare.
Finalmente, spronato dai compagni e su invocazione del pubblico, continua ma dopo un paio di pezzi la sceneggiata si ripete; onde evitare l’imbarazzo di una conclusione poco elegante la sezione ritmica attacca “Running free” e Paul, visibilmente stizzito, scaglia un asciugamano verso il povero drummer, palesando così il suo disappunto e “benedicendo” a dovere gli altri musicisti; naturalmente è l’epilogo e con questo pezzo l’esibizione si conclude senza troppe celebrazioni finali. Realtà? Finzione? Non l’ho capito! Non sono in grado di dire con certezza se un tale atteggiamento sia studiato a tavolino o se invece questo teatrino dell’amarcord rifletta veramente lo stato d’animo di un artista in perenne conflitto con il suo ormai lontano passato ed un presente che non lo ha mai ripagato a pieno.
La prestazione vocale nel complesso non mi è sembrata malvagia, considerando gli anni, i famosi stravizi e l’estensione vocale certo inferiore al suo successore negli “Iron”. La padronanza del palco è ancora notevole, la ferocia nel brandire l’asta del microfono denota ancora una discreta grinta, l’uso occasionale di timbriche quasi death mostrano la volontà di confrontarsi con il nuovo panorama metal (tra l’altro la timbrica è simile a quella di Blaze Bayley). Purtroppo Di’ Anno deve fare i conti con una condizione psicofisica che non gli permette di reggere uno spettacolo oltre l’ora.

Qualche parola a parte per i Killers. Sia l’esperto Cliff Evans che il più giovane Marcus Thurston (chitarre) tengono il palco con disinvoltura. Darayus Kaye (basso) sembra sputato fuori da un film tipo “Rock star”: veloci e misurate plettrate, nessun virtuosismo esagerato, chioma al vento e backing vocals aggressive. Pete Newdecl (batteria) è essenziale, preciso (vedere la sua esperienza di session-man) e simpatico, il che non guasta mai. Una formazione con grandi meriti: saper dare una interpretazione personale di brani classici, anche grazie al suono più caldo delle Gibson rispetto alle maideniane Fender; entrare in scena, attaccare il jack allo strumento e suonare senza la supponenza tipica di tanti virtuosi; sobbarcarsi il rischio di gestire e assecondare un front man che, sebbene carismatico, dà l’idea di una mina vagante pronta ad esplodere da un momento all’altro con chissà quale follia.
Il motivo per cui questi signori girino il mondo seguendo una stella cometa spentasi 20 anni fa anziché cercare più cospicui ingaggi altrove, rimane un mistero per il sottoscritto; se moltiplico i 13 € spesi per quel centinaio di persone presenti, ne deduco che probabilmente questi ragazzi si sono esibiti gratis o quasi; che siano il residuo di una generazione di romantici più fedeli alla passione che al denaro?
Un po’ malinconicamente raggiungo l’uscita, salgo sul mio Pandino, attacco la mia vecchissima radio e sulle note di “Strange World” mi avvio verso casa, pensando a quello che poteva essere e non è stato.

Non ditemi che sono stato l’unico…

Report di Vincenzo Santoleri.