Heavy

Intervista Shining Blade (Jimmy Troccoli)

Di Stefano Ricetti - 8 Settembre 2014 - 11:45
Intervista Shining Blade (Jimmy Troccoli)

Cronaca della chiacchierata con Jimmy Troccoli, chitarrista degli storici Shining Blade, che dopo l’uscita di Touch the Night del 2012 tornano a ritagliarsi un posto d’onore fra le schiere degli appassionati dell’HM italiano grazie a due “nuovi” ellepì che rappresentano, a tutti gli effetti, la Loro storia artistica.

Buona lettura,

Steven Rich

 

 

Jimmy, prima di tutto, ti va di tratteggiare a grandi linee la storia degli Shining Blade?

Ma certo. La band nasce nei primi anni 80 dalle ceneri una precedente formazione di stampo blues, nella quale erano presenti Michele Ranieri alla batteria, Fabio Pignataro alla chitarra, Francesco D’Elia al basso, oltre ad una cantante. Era un gruppo davvero forte, conosciuto nella scena locale, che io avevo anche seguito ad alcuni concerti.  Accadde poi che, alla fine, entrai in quella formazione davvero per caso, perché loro erano alla ricerca di un altro chitarrista per rendere il sound più pieno e compatto. Un mio amico chitarrista ne venne a conoscenza e decise di provarci, chiedendomi di accompagnarlo in quella occasione  a casa di Fabio Pignataro, che si stava occupando della selezione. Beh, Fabio chiese anche a me di suonare…

Avevo 15 anni e non potevo credere che il gruppo più in gamba della scena mi avesse selezionato, ero entusiasta e mi dedicai ancor di più allo studio della chitarra di quanto già non facessi. La sonorità delle due chitarre aveva nel frattempo reso la band più cattiva ed in questo, io che provenivo da gusti musicali differenti dal genere fino ad allora suonato da loro (già a 12 anni ascoltavo Kiss, Led Zeppelin, Deep Purple, Ufo, Black Sabbath…), ho certamente contribuito un bel po’, appoggiato anche dal batterista Michele Ranieri che la pensava come me. Ecco non ci volle molto a far prendere una direzione decisamente più hard rock alla band, per cui la cantante dovette lasciare il gruppo e fu sostituita, dopo non poche difficoltà e diverse audizioni, da Francesco D’Elia, che aveva ottime doti vocali. A quel punto era necessario trovare un bassista, poiché volevamo che ognuno fosse impegnato solo al suo strumento per potersi dedicare con più libertà anche alla scena durante le performance dal vivo. Fu così che provammo Francesco Colella, tramite conoscenze in comune, che era appena arrivato in città. Ci piacque subito e fu immediatamente dei nostri.

 

 

Di lì iniziò la primissima produzione di brani inediti, che venivano sviluppati e provati insieme sulla composizione originaria, che era o mia o di Fabio. Con i primi concerti ci guadagnammo la stima del pubblico locale ed iniziammo ad attirare l’interesse delle trasmissioni radiofoniche locali e degli addetti del settore. Ottenute recensioni positive su Rockerilla da Beppe Riva e sulle fanzine che giravano nell’ambiente underground, fummo convocati per il primo raduno heavy metal italiano a Certaldo (Firenze) e poi al secondo a Gazoldo degli Ippoliti (Mantova). Abbiamo suonato da Torino alla Sicilia, abbiamo registrato due demo tape, abbiamo avuto un importante eco giornalistico (ad esempio fummo citati anche su “Panorama”, notoriamente rivista di attualità e non di musica settoriale), fino ad entrare nelle classifiche di alcune FM Station degli USA. Quando arrivò il contratto discografico, dagli States, appunto, la band entrò in profonda crisi subito dopo aver registrato ed inviato oltreoceano un costoso master, “Touch the Night”. Il disco con quella etichetta non uscì mai… Dopo quasi 30 anni, invece, adesso abbiamo i vinili dei demo tape e “Touch the Night”, oltre al CD di quest’ultimo.

 

 

Racconta i presupposti che hanno portato alle recenti ristampe da parte della Under Fire Records

I presupposti sono stati quasi casuali, direi. Dopo anni, tanti anni di silenzio, ad un certo punto è rinato un interesse per la band e sono iniziate a piovere richieste di contatto e proposte di stampa della nostra musica. Fra quelle pervenuteci, la Under Fire ha dimostrato più determinazione – ed aggiungerei, pazienza – nella fase di preparazione del progetto. Che non è stato per nulla facile. Ha richiesto un lungo lavoro di coordinamento per rimettere insieme teste dopo 30 anni, recuperare materiale, riorganizzare tutto, discutere di diritti, etc… Ma alla fine, chi vuole qualcosa fortemente, la ottiene. Ed eccoci qui.

 

 

Come è nata l’idea di inserire poster, flyer e adesivi?

Devo precisare che nella realizzazione un grande contributo è stato dato da un produttore svizzero, Pierre Moix, appassionato del genere e per sua ammissione nostro fan, il quale ci ha tenuto a far realizzare un prodotto da collezione, inserendo pertanto una serie di gadget che arricchiscono la confezione dei vinili.

Il primo vinile, “Demo Years”, come riporta chiaramente il nome, contiene entrambi i demo tape, uno per facciata. Nella confezione sono riprodotte anche le copertine originali (che furono disegnate da Fabio), oltre ai gadget già citati, mentre le buste in carta proteggi vinili contengono varie immagini relative alle tappe discografiche del nostro curriculum (cover di compilation, etc…). Una bella carrellata storica insomma.

Il vinile di “Touch the Night” contiene gli stessi gadget, ma variano le illustrazioni sulle buste, con testi ed immagini. Inoltre, per motivi di resa sonora, gli undici brani del lavoro completo non sono stati compressi tutti in un unico vinile, ma è stato aggiunto un secondo disco da 7”.

Per entrambe le uscite è stata scelta una qualità di produzione al top, i vinili sono tutti da 180gr e sono stati stampati in tre colori differenti per ognuno. Bello, no?

 

 

A livello di suoni, cosa è stato fatto sui due demo e sullo stesso Touch the Night per queste uscite?

È stata realizzata una radicale opera di remastering a cura della Under Fire Records. Josè Louis Cano e i suoi sono stati davvero bravi: i brani hanno trent’anni!

A proposito di Touch the Night, sei rimasto soddisfatto dell’operazione legata all’uscita ufficiale del disco, nel 2012?   

Vi è stato molto interesse e questo è positivo. Vi sono state vendite, anche se non proporzionate all’interesse suscitato e, soprattutto, più all’Estero che in Italia. E questo è meno positivo! Ma si ricollega anche alle ragioni che hanno portato infine alla realizzazione del progetto con etichette straniere, come del resto era in parte avvenuto anche all’epoca. In ogni caso, confido nel tempo (non posso che riconoscere la veridicità di questa affermazione!) e nel supporto dei fan italiani…

 

 

La tua definizione dei Vostri due demo:

ON THE BATTLEFIELDS (1983) – Rock duro, chitarre taglienti, sound diretto, crudo e senza troppi fronzoli. Prima esperienza in studio, con i limiti che ciò impone.

ACE OF BLADES (1984) – Suono decisamente migliore, più maturo, esecuzioni più raffinate, anche se sound sempre duro e metallico.

 

 

Non penso sia un caso che sul disco ufficiale, Touch the Night, non abbiano trovato posto i pezzi tratti da On the Battlefields…  

Ciò rispecchia l’orientamento più vicino all’hard rock ed un po’ anche al glam che imperversava nella Los Angeles di quell’epoca, da sempre nostro punto di riferimento per la produzione artistica e musicale, incluse scelte di look e di scena. Lo si sente dai brani fino ad allora inediti, ma anche dagli arrangiamenti, evidentemente più articolati ed in alcuni casi quasi orchestrali, delle song già presenti in demo.

In che rapporto sei rimasto con gli ex Shining Blade? Cosa fanno adesso?

Ottimi. La magia che ha permesso la nascita degli Shining Blade è stata, oltre alla passione per la musica, la presenza di un profondo legame di amicizia, di quelli che ti portano subito a farsi un sacco di risate quando ci si incontra, cosa che però non avviene di frequente, poiché mentre gran parte di noi è rimasta a Bari, il bassista (Francesco Colella) si è da anni trasferito in Olanda ed è attivo in una rock band locale davvero forte. Tutti noi abbiamo, per strade diverse, continuato a suonare, chi in formazioni più soul-oriented, chi verso il jazz… Uno di noi è rimasto ancora vitale nel metal, quello vero! In proposito, suggerisco di andare a curiosare fra la line-up e la produzione di una band chiamata TWILIGHT GATE, che ho come il sentore farà presto parlare di sé…

 

 

Com’è la situazione, al momento, riguardo locali per suonare e seguito in Puglia?

Certamente migliorata rispetto al passato. Adesso, incredibile a dirsi, si organizzano anche raduni e metal fest di una certa rilevanza: proprio due settimane fa mi sono goduto, fra gli altri, Annihilator, Moonspell, Kreator, Decapitated, al Total Metal Festival di Bitonto (Bari). Davvero impensabile rispetto a prima.

 

 

Negli anni Ottanta, oltre a Voi, esistevano altre realtà HM meritevoli nella Vostra regione? 

Sulla nostra scia sono poi emersero anche altre realtà degne di nota, fra queste gli Hellbound e gli Oracle credo siano quelli che si siano distinti.

Quali, secondo te, i gruppi italiani che hanno lasciato più di altri il segno in quel periodo?

Ce ne sono stati tanti e temo di non riuscire a dare il giusto rilievo a tutti. Magari citerò quelli con cui abbiamo condiviso stage e contatti, come Death SS (con i quali mi sono ritrovato a suonare la stessa sera a gennaio di quest’anno, anche se i componenti erano tutti diversi rispetto alla band della nostra era), Vanadium (anche con Pino Scotto ho condiviso il palco lo scorso anno dopo quasi trenta anni!), Strana Officina, Rollerball, Crying Steel, Vanexa, Steel Crown, Raff, Revenge, Stiff, ecc…

 

 

Spazio a disposizione in chiusura di intervista, Jimmy, grazie.

Grazie Steven, come al solito parlare con te è sempre gradevole e mi fornisce ogni volta l’occasione per esprimere tutto il mio plauso a chi incoraggia, promuove e diffonde il più possibile il metal in ogni sua iniziativa. Sappiamo bene che il nostro non è un genere musicale fra i più “agiati” e, ahimè, ricompensati in maniera adeguata. Ma non intendo aprire una discussione su questo punto, quello che mi preme invece evidenziare è la passione, la determinazione ed il “cuore” di chi, sia suonando, sia in altri modi, si dedica a diffondere il più possibile questa musica, in gran parte dei casi senza un ritorno apprezzabile, se non sul piano della gratificazione personale, della comunicazione e della condivisione con il pubblico e gli appassionati. Alla prossima.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti