Avantgarde

Tamás Kátai (Thy Catafalque)

Di Tiziano Marasco - 28 Novembre 2016 - 13:00
Tamás Kátai (Thy Catafalque)

Truemetal incontra oggi una voce fuori dal coro, uno dei personaggi più particolari del metal europeo. Tamás Kátai, mastermind dei Thy Catafalque.

Sziasztok Tamás, grazie per il tuo tempo e benvenuto su TrueMetal.it. come prima cosa, mi trovo a notare che i tuoi Thy Catafalque ci abbiano abituato a lunghe attese tra un album e l’altro. Il nuovo “Meta” invece arriva appena un anno dopo “Sgúrr”. Cosa è successo? Stai vivendo un periodo di iper-creatività?

Ciao e grazie per il vostro interesse. È vero, “Sgúrr” è stato rilasciato nel mese di ottobre 2015, ma è anche uscito 11 mesi dopo che lo avevo effettivamente finito e presentato alla label, così ho avuto tutto il tempo per registrare altra musica. Quando “Sgúrr” è uscito avevo già finito oltre metà del nuovo album. Ma comunque, ammettiamolo, il 2016 è stato un anno abbastanza produttivo per me, con tre nuovi album full-length,  “Meta”, “Neolunar” (uscito a nome Neolunar) e “Slower structures” che è uscito a mio nome. Tutti questi lavori erano stati scritti tra il 2014 e il 2016. E parlando di “Meta”, alcune parti sono state registrate ancora nel 2010 durante le sessioni “Rengeteg” ma non sono finite in quell’album. Non a causa della loro scarsa qualità ma per il fatto che il record sarebbe stato troppo lungo.

In Meta ho sentito, oltre alla parte elettronica e alla sperimentazione, un ritorno alla vecchia scuola del black metal. Come è successo?

Sì? Su “Sgúrr” per esempio c’è “Jura”, che è praticamente black metal vecchia scuola. Abbiamo iniziato come una band black metal e mi sa che questo genere sarà sempre parte del suono in certa misura. “Meta” è probabilmente più diretto ed accessibile, più tradizionalmente metallico di “Sgurr”. Di sicuro non è ancora accessibile a tutte le persone che ascoltano metal, però.

Ho notato che alcune melodie e riff ricompaiono nel corso dell’album. Possiamo considerarlo come un concept album?

No, non è pensato come concept album. C’è un’idea di base sul significato dell’album, ma non lo ritengo un concept. Mi piace giocare con i motivi ogni volta che posso. Prendere un riff o una linea vocale e metterlo in un ambiente musicale completamente diverso. Questo processo rivela nuovi livelli, nuovi significati e può dare origine a situazioni eccitanti.

Come al solito, le composizioni di “Meta” sono molto strutturate e complesse, quindi vorrei sapere come funziona il processo compositivo e di registrazione.

Tutto dipende da quale obiettivo specifico mi pongo con ogni singola canzone. Di solito ho una o due canzoni lunghe per ogni album, nel caso di “Meta” c’è “Malmok Járnak” che dura più di 20 minuti. Quella canzone è come una pittura medievale, con un sacco di piccoli dettagli che visti da lontano vanno a costruire un’immagine forte. E, sì, alcune melodie sono usate in contesti diversi. Poi ci sono canzoni semplici, dove vi è un solo riff principale che non si interrompe lungo tutta la traccia. Come in “Vonatút Az Éjszakában”, che tra l’altro significa “Viaggio in treno nella notte”. Questo pezzo ha una sola melodia, un solo ritmo, tutte le parti sono intercambiabili. Si tratta di un viaggio in treno, avevo bisogno di monotonia musicale per raggiungere l’atmosfera adeguata ai testi. Il processo di registrazione è semplice. Faccio tutto a casa, non appena ritengo che tutto nell’album sia in ordine. Non esistendo un vero e proprio gruppo Thy Catafalque, non ci sono prove, né concerti, non devo preoccuparmi eccessivamente di imparare le canzoni. È solo un fatto di riproduzione e registrazione. Dopo la registrazione, molto probabilmente non suonerò il brano di nuovo. Questo perché io non sono un interprete.

Di cosa parlano i testi del nuovo album, e di quali argomenti si parla generalmente negli album dei Thy Catafalque?

Meta è un termine proveniente dal greco, e significa attraverso o oltre qualcosa. L’idea è che le particelle atomiche del nostro corpo vivano ancora dopo la nostra morte in forme nuove, nel suolo, in un albero, nell’erba e poi cambiano di nuovo luogo, passando a far parte di foglie, animali, vermi, uccelli e così via. L’esistenza nel cerchio della vita. Io di solito scrivo di argomenti simili – la natura della materia e dello spirito, la dualità dello spazio e del tempo.

La copertina di Meta è un’icona, nella mia recensione ho suggerito una interpretazione (il cervo e la volpe simboleggiano il mix di metal e elettronica). Ci puoi spiegare il cambiamento d’artwork, in confronto alle immagini astratte di “Sgúrr” e “Rengeteg” e il suo significato?

Veramente? E quale è il metal? Il cervo o la volpe? In ogni caso non ci ho mai pensato. L’opera d’arte è davvero un’icona. Si basa sull’iconografia cristiana ortodossa bizantina, più precisamente sulle icone classiche di San Costantino e Sant’Elena, ma con le teste sostituite da teste degli animali. Rappresenta la sacralità di ogni vita. Altri motivi, comunque, hanno il loro peso nell’artwork: gli uccelli che dormono in terra, il mulino, le montagne, il cielo blu. Questi elementi vengono dai testi. Ho avuto questa idea dell’icona ortodossa fin dall’inizio, dal momento che la parola Meta è greca e sono sempre stato interessato dalla pittura iconica. Gli artwork precedenti erano ovviamente diversi, ma se guardi bene, tutti sono radicalmente diversi uno dall’altro, ho sempre un modello da seguire. L’aspetto visivo è molto importante, mi concentro sull’artwork e ci spendo del tempo a immaginarlo, ogni volta, e questa volta mi è venuta in mente un’icona con gli animali. In ogni caso, questa è una vera e propria icona dipinta a mano, in realtà misura 36×36 cm ed è stata dipinta da un’artista bulgara, Agnessa Kessiakova. Abbiamo lavorato insieme. Ho il dipinto originale a casa, è una bellezza.

Venendo alla storia del gruppo, credo che “Rengeteg” sia stato un punto di svolta nello stile della band, ci puoi descrivere brevemente l’evoluzione sonora dei Thy Catafalque attraverso i diversi album?

Per me il punto di svolta è stato il terzo album, “Tűnő Idő Tárlat”, del 2004. I primi due dischi erano, diciamo, interessanti, ma non sapevamo dove stavamo andando, quello che volevamo esprimere e come esprimerlo. Il terzo album è stato il grande passo in termini di creatività. Quello fu il momento in cui abbiamo finalmente trovato il nostro suono e il cammino della nostra band. “Róka Hasa Radio” fu un altro grande passo avanti, con Attila (Bákos, voce storica della band ancora oggi ndr.) alla voce, mentre noi avevamo aggiunto molti nuovi elementi. Lo ritengo un album molto coraggioso che rappresenta un mondo emozionante, carico di ricordi d’infanzia e di vari elementi legati all’Ungheria. “Rengeteg” è stato il primo album pubblicato da Season of Mist, probabilmente il lavoro più accessibile e di facile ascolto che abbiamo mai registrato. Penso che questo sia il nostro album più popolare. Poi è arrivato “Sgúrr”, freddo e sperimentale, infine “Meta”, che è, secondo me, una sintesi degli altri album.

Hai vissuto in Scozia negli ultimi anni, ci puoi dire il motivo per cui hai deciso di emigrare?

Vivo a Edimburgo dal 2008. Mi piace la Scozia, ora sono ho anche la doppia cittadinanza ungherese-britannica. Mi sono trasferito con la mia ragazza per trovare lavoro e vivere insieme. Ma la mia casa sarà sempre a Makó, in Ungheria (vicino a Seghedino, città del gulash, e ai confini con Romania e Serbia, ndr). Faccio visita alla mia famiglia diverse occasioni all’anno. Lo stato economico e morale dell’Ungheria fa ancora cagare, però, soprattutto le regioni lontane da Budapest. Fare una vita equilibrata lì, adesso, è davvero una battaglia.

Collabori con un sacco di cantanti e artisti ungheresi nei tuoi album. Come li scegli? La tua condizione di espatriato influenza la cooperazione?

Di solito sono vecchi amici, persone che conosco da molti anni. Idealmente dovrei essere presente alle registrazioni ma sembra andar bene anche in questo modo. Io  mando loro la musica, i testi e le linee vocali e loro fanno la loro parte, modificando le melodie se gli passa la testa che sia possibile adattarle maggiormente alla loro voce. Solo Orsolya (Fogarasi, voce femminile su “Malmok járnak”, ndr) ha registrato la sua parte a casa mia dato che al tempo viveva qui, a Edimburgo.

Quest’anno hai pubblicato un album solista e uno a nome Neolunar, e nel corso degli anni hai dato vita a diversi progetti. Hai qualcosa in pentola in questo momento?

Al momento non ho assolutamente nulla di nuovo. Non ho idea di quello che accadrà in futuro. Potrebbe essere un album solista, dei Neolunar o dei Catafalque. O qualcos’altro. O niente.

I Thy Catafalque non sono una live-band, ma hai mai considerato di fare un tour?

No. Mai avuto questo desiderio.