Recensione: A Bit Of What You Fancy

Di Alessandro Zaccarini - 27 Gennaio 2005 - 0:00
A Bit Of What You Fancy
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Anno: 1990
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83

In piena metà anni ’80 la sorella maggiore di un tale Spike Gray, futuro singer e leader carismatico della band, lavorava nel locale di un certo chitarrista Guy Bailey. Qui, tra una birra e un whiskey (passione mai nascosta), i due posero le basi per quella che pochi anni dopo sarebbe diventata una delle band più anacronistiche, piacevoli e divertenti della scena inglese… i The Quireboys. Le prime creature della formazione britannica furono una coppia di singoli datati 1987 dal titolo Mayfair e There She Goes Again. Le esperienze discografiche si bloccarono a questi due primi episodi targati Survival Records, ma nonostante ciò la band continuava a destare notevole interesse, soprattutto nella zona londinese, tanto da arrivare persino ad aprire per i Guns’n’Roses allo storico Hammersmith Odeon.
Il 1989 è l’anno magico: il gruppo viene messo sotto contratto dalla EMI e vola a Los Angeles per registrare il primo album da studio, questo.

A Bit Of What You Fancy si apre con la splendida 7 O’Clock: classicissmo della band, prima pubblicazione per la EMI, singolo apripista dell’album e rito conclusivo degli show del sestetto inglese. Un pezzo con un traino esaltante e una carica festaiola generata dall’unione tra un ritmo trascinante e la perfetta simbiosi del piano con la cara vecchia 6 corde. Un riffing altrettanto antiquato e coinvolgente pervade Man On The Loose, la quale però, da metà brano, si rende protagonista di un paio di decelerazioni con linee corali vicine al gospel, tanto per ricordare a chi, insieme al rhythm and blues, si deve la paternità del rock. Lenta e solitaria, Whippin’ Boy recupera i modi dei cori femminili dalla traccia precedente e li mischia a qualche lieve contaminazione folk rock dal sapore del centro-sud US. A pochi minuti dall’opener ecco ripresentarsi un altro capolavoro di attitudine goliardica e presa, due minuti e trenta di puro divertimento chiamati Sex Party. La voce rauca di Spike si ripresenta al meglio in Sweet Mary Ann e I Don’t Love You Anymore, brani che trovano le loro muse ispiratrici nel dopoguerra statunitense e in quel country rock da Route66 che ai fan di gruppi come gli Aerosmith non suonerà di certo nuovo. Coordinate che la band riproporrà anche con Roses And Rings, dove si respira un inevitabile profumo di Lynyrd Skynyrd. Tra i pezzi più riusciti e travolgenti di questo album e di tutta la produzione dei The Quireboys non si può dimenticare Hey You. Attitudine da vendere, piano e chitarra uniti come sempre nella solita efficacia conditi da un ritornello con la sua immediata e incredibile presa probabilmente si merita il gradino più alto del podio per quanto riguarda la carriera della band londinese. Sono le parti di piano d’altri tempi a dominare Misled, mentre la successiva Long Time Comin’ ributta tutti nei caratteri dominanti dell’album, grazie a un paio di lead di armonica che si affiancano ai soliti coinvolgenti arrangiamenti di piano e chitarra. Quando il rock incontra il musical ci si trova di fronte alla blueseggiante There She Goes Again, capace di rendersi accattivante mischiando il rude rock’n’roll ad artifizi blues più fini. La conclusiva Take Me Home si presenta come la tipica ballatona in chiusura di album ma non tarda a trasformarsi in un pezzo rock sognante e cullante nei modi di quello che ormai possiamo definire lo stile dei The Quireboys, e poco importa se le progressioni sono simili tra loro, se i lead si somigliano e se le scelte ritmiche sono piuttosto simili: this is just fuckin’ rock’n’roll.

Prendete i Rolling Stones, metteteci un quel piano estremamente coinvolgente che infuocava gli States nella seconda metà degli anni ’50, qualche piccolo piccolo tocco targato Ac/Dc, un paio di passaggi alla Chuck Berry, folk rock e country rock, non dimenticate qualche passaggio corale al limite del gospel ed eccovi i The Quireboys, band che quasi vent’anni dopo riporta agli antichi fasti gli stilemi migliori degli anni ’70, tra cariche di adrenalina e malinconiche ballate da stazioni di servizio e pub USA.


Se nel vostro cuore esiste anche soltanto un angolino dedicato al caro vecchio rock’n’roll, questo album vi conquisterà. Defender, blackster, depressoni, progster e compagnia, troppo integralisti, troppo convinti della superiorità del vostro genere preferito sugli altri, troppo intenti a deridervi vicendevolmente alle spalle, troppo impegnati a organizzare chissà quale cerchia elitaria rivendicando una supremazia che appartiene solo a voi… passate oltre e lasciate che a godere della spensieratezza e della brillante trivialità di A Bit Of What You Fancy siano altri, tanto resterete sempre e comunque convinti di non esservi persi nulla…


Tracklist:
01. 7 O’Clock
02. Man On The Loose
03. Whippin’ Boy
04. Sex Party
05. Sweet Mary Ann
06. I Don’t Love You Anymore
07. Hey You
08. Misled
09. Long Time Comin’
10. Roses And Rings
11. There She Goes Again
12. Take Me Home


Alessandro ‘Zac’ Zaccarini

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